venerdì 22 Novembre 2024

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Letteratura a 45 giri: “Il caso Bramard” – Davide Longo e Max Gazzè

Un libro, una canzone: insieme

“Preso perché me l’ha consigliato la mia libraria di fiducia, dopo che glielo ha consigliato un suo amico, che si è fatto consigliare da un altro suo amico, che se lo è fatto consigliare da Baricco. Così lo preso, perché se ho capito una regola in questo strano mondo è che non bisogna mai dubitare dei librai di fiducia, o dei suoi amici.”

Eppure a me i gialli neanche piacciono. Con quel loro modo sempre pretenzioso e minuzioso di indagare i dettagli, scoprendo grandi verità su alcuni delitti che fino ad un attimo prima neanche conoscevi. Aspettavo da un po’ un libro che mi facesse cambiare idea. Inevitabile conclusione: l’ho trovato.

Il caso Bramard” è scritto come una sottilissima carezza. Ogni frase del romanzo trasuda di nostalgia e di fragilità, da sempre gli ingredienti migliori per infondere tenerezza nei solitari e nascosti lati delle nostre debolezze. Davide Longo scrive in un presente che ti tiene lì, assieme a Bramard, un tempo il commissario più giovane d’Italia, prima che un killer chiamatosi “Autunnale” gli spazzasse via dalla sua vita moglie e figlia. Ora è solo un alcolista suicida. Tutto però sembra cambiare quando, con il suo amico Arcadipane, il caso si riapre, ed ecco che la giustizia e l’appuntamento col destino proseguono sul loro corso.

Così si sale sulla barca di Bramard, in questo lago calmo in superficie ma tenebroso in profondità che è poi la letteratura poliziesca. La bellezza di questo libro, però, non l’ammiriamo nella storia, che invece procede energica e sicura come l’andamento quieto e perpetuo delle onde.

È nel paesaggio: nell’incertezza di cosa può diventare un uomo quando si spegne o si accende la fiammella della speranza; nel nord Italia, con la sua tristezza e con il suo splendore, con la sua disperata schizofrenia e col suo cinismo inarrestabile; nei piemontesi – una razza strana, fidatevi – e nell’amicizia, quella bella, quella che non ha bisogno di parole né di abbracci, ma di sguardi.

Disperazione e salvezza, come la canzone Teresa di Max Gazzè.

Davide Longo ha uno sguardo che sa l’esatta distanza da tenere rispetto al cuore della storia. Mai troppo lontano per non farci perdere interesse nei personaggi, e mai troppo vicino da vederne il loro abisso e sprofondare con essi. Un equilibro che è poi quel giusto ingrediente che fa la bellezza. Un modo dolce e soave per andare a dormire pensando che se alla fine se ce la fanno Bramard e Arcadipane, conciati come sono, a trovare un po’ di quiete nelle loro esistenze, perché noi non potremmo?