A tu per tu con la band romana, vincitrice della 71esima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo
Portano sul palco la loro identità Damiano, Victoria, Thomas e Ethan, alias i Maneskin, vincitori di Sanremo 2021 con il brano “Zitti e buoni“, un trionfo sorprendente quanto meritato. “Teatro d’ira – Vol. 1“ è il titolo del loro secondo disco pubblicato lo scorso 19 marzo per Sony Music, un lavoro in cui viene fuori la loro vita all inclusive, rabbia compresa.
Ciao ragazzi, bentrovati. Partiamo naturalmente dal vostro nuovo album, intitolato “Teatro d’ira – Vol. 1”. Quanto avete dovuto scavare, a mani nude e in profondità, per portare alla luce queste otto canzoni?
«Nel processo di scrittura del disco abbiamo subito tante influenze, che ci hanno portato a renderci conto di quello che volevamo esprimere esattamente e di volerlo fare nel massimo dell’autenticità, della sincerità. Questo si percepisce sia nei suoni che nei testi. Sicuramente è stato un lavoro molto importante, un processo interno che abbiamo realizzato tutti insieme, perchè esporsi in maniera così trasparente è una cosa che va fatta di comune accordo».
Un disco in cui viene fuori il vostro istinto, non a caso avete scelto di registrarlo in presa diretta. Una panoramica fedele della vostra natura, pur toccando corde differenti, infatti si passa da “Coraline” a “In nome del padre”, due brani di matrice profondamente diversa. Cosa vi rende più orgogliosi di questo album?
«Aver fatto insieme questo percorso interiore, che è durato tanto tempo. Parliamo di circa due anni: un lasso di tempo durante il quale siamo cambiati e maturati. Siamo orgogliosi di questo progetto perchè è partito da noi stessi, abbiamo osato e giocato tanto con la musica. Per fortuna, il pubblico ha apprezzato questa sincerità e di questo non possiamo che esserne felici».
Qualche anno fa Caparezza cantava che il secondo album è sempre il più difficile. Voi venite dal grande successo de “Il ballo della vita”, avete avvertito un po’ il peso dei grandi riscontri del vostro debut album?
«Sicuramente il grande Capa ha ragione, perchè il secondo album può sia consacrarti che buttarti giù. Per quanto ci riguarda, abbiamo sentito questo tipo di pressione, ma non per il confronto con il passato. Sai, per fare un disco ci vogliono molte energie, ma anche tantissimi ragionamenti dietro: una mole di lavoro importante. Quando ti dedichi così tanto ad un progetto, hai un po’ l’ansietta di come può essere percepito all’esterno. Però, per adesso, ci sembra che stia andando molto bene. Rispetto a “Il ballo della vita”, abbiamo cambiato il nostro approccio mentale verso la scrittura e la musica. Questa è stata per noi una sfida, il risultato di una maturazione sia individuale che collettiva».
Per la vostra evoluzione hanno sicuramente inciso le varie esperienze dal vivo, quali skills pensate di aver acquisito in questi ultimi due anni?
«Le varie esperienze live che abbiamo avuto ci hanno aiutato a capire cosa effettivamente ci divertiva più suonare, quali sonorità ci rappresentavano al meglio nel momento in cui andavamo a proporci davanti al nostro pubblico. Anche a livello tecnico, i concerti ci hanno insegnato parecchio riguardo l’improvvisazione, permettendoci di sviluppare maggiormente il suono dei nostri singoli strumenti».
Ragazzi, non so se ve l’hanno detto… ma avete vinto il Festival di Sanremo! Di riconoscimenti in questo periodo ne state ricevendo parecchi, ma qual è la gratificazione che vi rende più felici?
«La cosa che più ci inorgoglisce di questo percorso è la velocità, ma anche la profondità, con la quale siamo stati capiti dal pubblico, sia quello nostro precedente che le persone che ci hanno conosciuto sul palco dell’Ariston. Essere riusciti a far apprezzare la nostra musica che, magari, in questo momento non è quella di maggior tendenza o che si trova nelle classifiche. Proprio per questo, la risposta della gente è stata impressionante, senza ombra di dubbio l’aspetto per noi più gratificante».
Altra notizia è che rappresenterete l’Italia all’Eurovision Song Contest, un palco dove il vostro genere negli anni è stato ampiamente sdoganato, molto più rispetto a Sanremo. Pensate che possa essere il giusto trampolino di lancio per gettare le basi di un’ipotetica carriera internazionale?
«Speriamo di sì. Parteciperemo all’Eurovision con l’intento di portare la nostra musica anche al pubblico di altri Paesi, come avevamo in parte fatto con il nostro tour europeo. Questo ci ispira e ci piace tantissimo. Abbiamo tanta voglia di fare e di ampliare i nostri orizzonti, portando anche il più lontano possibile questa tipologia di musica che, come hai giustamente sottolineato, all’estero è già un pochino più consolidata. Non vediamo l’ora di farci ascoltare da un pubblico internazionale, noi abbiamo sempre sognato in grande e continueremo a farlo. Siamo partiti dalla strada per arrivare a Wembley (sorridono, ndr)».
Per concludere, “Teatro d’ira – Vol.1” è un disco suonato, cantato e concepito per spaccare dal vivo. Abbiamo tutti voglia di concerti, lo testimoniano i 60.000 biglietti già venduti e i quattro sold out che avete già portato a casa. Come ve lo immaginate questo ritorno live dopo tutto questo tempo?
«Ancora più bello di prima! Sicuramente siamo cresciuti e la nostra esperienza ci porterà a realizzare dei live di maggiore qualità, oltre ad essere più spigliati sul palco. Sì, questo è un album concepito per essere portato dal vivo, per cui ci sarà sicuramente molta interazione tra noi e il pubblico, molta energia. Dopo tutto il processo che abbiamo affrontato internamente, siamo molto motivati a mostrare la nostra crescita suonando, mostrando tutto quello che abbiamo imparato».
Nico Donvito
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