Un libro, una canzone: insieme
Piccole donne e la comfort zone
Ci sono alcuni momenti in cui abbiamo bisogno di stare nelle nostre zone di comfort, di rintanarci sotto la nostra coperta di Linus e non pensare a nulla. Le persone fanno ciò in tanti modi diversi e attraverso differenti strategie. C’è chi si sente bene e scarica la tensione attraverso lo sport (spoiler: non io), c’è chi si immerge nello studio o nel lavoro e non pensa ad altro, c’è chi legge un libro nuovo al giorno.
Ora, dal momento che tendo a dipingermi più colta di quello che in realtà poi sono, vorrei poter dire di appartenere a quella schiera di persone che affronta i “momenti no” leggendo La nausea di Sartre, trovando in un “potrebbe comunque andare peggio” o in un “lo dicevo io che è tutto uno schifo” la propria catarsi. A malincuore, dunque, sono costretta ad ammettere che la mia comfort zone si compone essenzialmente di un barattolo di gelato al caramello salato, una lunga maratona di Gilmore Girls (quello vero, non quel rifacimento di dubbio gusto uscito qualche anno fa) e libri che non fanno dubitare nemmeno per un secondo della bontà umana. Per questo motivo oggi parliamo di Piccole donne di Louisa May Alcott.
Piccole donne è un romanzo per ragazzi uscito per la prima volta nel 1868. Io lo lessi per la prima volta durante le scuole medie, dopo averne trovata una copia ancora in lire nella libreria di casa.
I punti di forza e i punti deboli
Se ci si approccia a questo romanzo dopo i quattordici anni, si potrebbe avere l’impressione di leggere la descrizione di una specie di processione dei buoni sentimenti e nulla più. Ciò è in parte vero, ed è proprio per questo che Piccole donne, secondo me, è il libro da tirare fuori in caso di emergenza: non delude mai, e nel momento in cui lo estrai dallo scaffale sai già che ti mostrerà il bicchiere mezzo pieno. É un romanzo che non va letto da adulti, ma se da adulti lo si rilegge, si avrà l’impressione di tornare a casa, in un posto caldo e accogliente.
La trama di Piccole donne è notissima ed estremamente semplice: la storia segue la crescita di quattro sorelle che vivono insieme alla madre in una situazione economica non proprio rosea mentre il padre è al fronte a combattere nella Guerra di secessione americana. La Alcott descrive minuziosamente i caratteri dei suoi personaggi e la maturazione a cui essi vanno incontro, dipingendoli sempre in bilico tra lo stereotipo e la descrizione psicologica approfondita, riuscendo così a strapparli alla facile classificazione di “macchiette”. Bisogna tuttavia ricordarsi che il libro è uscito nel 1868, e quindi alcuni stereotipi ivi descritti sono semplicemente figli del loro tempo. Per onor di verità di seguito lascio un esempio di quanto appena detto.
Meg, mia cara, io valuto molto più la femminilità che reca gioia in una casa, che non due mani bianche, all’ultima moda. Sono orgoglioso di stringere questa buona, industriosa manina e chissà che essa non sia richiesta più presto di quel che crediamo.
Jo March
Ma ora passiamo al vero fulcro della storia: Jo March. Quale bambina non ha letto Piccole donne desiderando essere come lei? Creativa, intelligente, ribelle, indipendente, Jo è la protagonista indiscussa del romanzo. La Alcott si sofferma sui suoi tentativi di vendere i propri racconti ai giornali, sulla sua determinazione, sulla sua indole anticonformista, e ovviamente sulla sua storia di amicizia e amore con Laurie (e dai, non lo vogliamo mettere un giovane affascinante vicino innamorato della protagonista?).
Inoltre, ci vengono descritti i giochi che Jo organizza e a cui prendono parte le sorelle e Laurie. I ragazzi mettono in scena piccoli spettacoli teatrali e fondano il “Pickwick Club”, un circolo segreto che prevede la redazione della “Cartella Pickwick”, un giornalino dove tutti i membri del circolo possono scrivere da poesie ad articoli di cronaca riguardanti la famiglia.
Poche righe bastano per descrivere la personalità esuberante e indipendente di Jo:
Signorina non sono e, se portare i capelli annodati all’insù basta per diventarlo, allora voglio portare le trecce sino a vent’anni, – esclamò Jo, strappandosi la reticella e facendo ricadere la capigliatura castana. – Non voglio diventare grande, non voglio essere la signorina March, portare le gonne lunghe e stare impalata come un’orchidea cinese.
Ecco dunque che spicca su uno sfondo di donne forti ma sempre garbate e composte, pronte a stare al posto assegnato loro, una quindicenne esuberante, energica e mai soddisfatta.
Anch’io odio il mio nome così sentimentale. Vorrei che tutti mi chiamassero Jo, invece di Josephine.
Le ragazze fanno grandi sogni
Jo è la ragazzina descritta da Louisa May Alcott nel suo romanzo, ma è anche il riflesso di molte e molti adolescenti dei nostri giorni e dei giorni passati. Lo prova il fatto che Edoardo Bennato nelle prime strofe di Le ragazze fanno grandi sogni descriva proprio queste infinite possibili Jo March con grande acume, tramite il suo personalissimo modo di narrare e descrivere.
Le ragazze fanno grandi sogni
Forse peccano d’ingenuità
Ma l’audacia le riscatta sempre
Non le fa crollare mai
[…]
… E qui dall’altra parte …
E qui dall’altra parte siamo noi
convinti e indaffarati siamo noi
che, non ne veniamo mai a capo
mai a capo …
[…]
Sia il romanzo della Alcott sia la canzone di Bennato parlano di una giovane ragazza in cerca del proprio posto nel mondo, con grandi sogni, insoddisfatta di quello che ha, sicura di sé ma anche estremamente fragile, come lo sono tutte e tutti i quindicenni. Questa è Jo, queste sono le ragazze descritte da Bennato. Questi sono anche gli adolescenti in generale, e sicuramente questa ero io una decina di anni fa.
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