Raccontiamo l’attualità con una canzone
Ho conosciuto una volta una persona di nome Aster che aveva un chiaro e specifico segno distintivo: non era mai triste. Il buonumore aleggiava nelle sue giornate e nulla pareva intaccare il suo meraviglioso mondo. Capitavano a volte dei momenti cupi, o delle scelte ardue da compiere, ma niente di tutto questo lo turbava più di tanto. Tempo una manciata di minuti e il sorriso ricompariva sul suo volto.
Una sera, però, mi accadde di vederlo triste. Anzi, non direi triste, bensì, disperato! Un fiume di lacrime grondava dai suoi occhi e la bocca tremava come se un terremoto perenne si fosse insinuato in essa. Ho cercato di rincuorare quella povera anima in pena, ma nel chiedergli il motivo di questo suo malessere, non ottenni benché minima risposta.
Conoscevo già casi di persone che si tenevano dentro molti pensieri e turbamenti, sempre più grandi, sempre più grandi, fino a diventare delle vere e proprie bombe in attesa di esplodere. Questo non poteva essere però il caso di Aster. Di fatti, fino a quel giorno, non aveva avuto alcun minimo caso di sconforto o di pesantezza nella sua vita. Tutto, nel suo muoversi e nel suo parlare, era oliato e pulito, senza macchia e senza ingranaggi da riparare. Mi fu per questo assai strano vederlo così in tremendo stato, quasi da pensare che un grandissimo lutto fosse accaduto nella sua, fino ad ora, solare vita.
Gli chiesi come mai fino al giorno precedente la sua vita fosse così bella, mentre ora si trovava in così totale sbaraglio. Fu così che mi raccontò la sua storia.
Fin da quando era piccolo, Aster odiava la tristezza, di tutti i tipi: dalle persone che piangevano perché erano cadute dalle scale, chi se la prendeva per un brutto voto, chi perché guardava mielosi film d’amore, e via così. Scoprii ben presto, però, che la tristezza fosse inevitabile nel corso della vita. Capitava sempre quell’incidente che ti spiazzava, capace di distruggerti in un attimo il miglior piano per il futuro. Vivere una vita sempre felice era impossibile. Allora Aster pensò ad un metodo innovativo: se non si poteva scappare dalla tristezza, quanto meno si poteva cercare di fregarla.
Fu così che Aster, a quei tempi ancora un bambino, si mise così a piangere. Senza un vero senso, non era davvero triste o sconsolato. Però pianse, e pianse a lungo. Qualcosa come due o tre settimane consecutive. Arrivò ad avere le guance scavate dalle lacrime e le occhiaie tumide. Non c’era consolazione che lo rincuorasse, o pensiero che lo distraesse, o parole che lo rasserenavano. Il suo pianto sembrava durare in eterno.
Poi, ad un tratto, tutto finì. Senza nessun vero motivo; la tristezza lo abbandonò e il suo viso ricominciò a splendere di un sorriso luminoso e contagioso, come se una stella si fosse finalmente accesa trovando il suo posto nel cielo.
Aster aveva giocato d’astuzia: non potendo rinunciare alla tristezza, decise di viverla tutto in una volta, così da sfogare tutti i momenti brutti in un quel lasso di tempo.
In questo modo, nei giorni a seguire, nulla lo abbatté. Il suo sorriso e il suo buonumore aveva la vinta su tutto, come nella canzone Senza titolo di Lucio Corsi.
Visse felice e contento, e soprattutto lontano dalla tristezza, fino a quel momento. Mi disse, in parole povere, che l’effetto era finito: non si poteva piangere la tristezza di una vita intera già da bambino. Bisognava ricaricarla, anche solo ogni tanto, almeno una volta ancora quando si era ragazzi, una volta da adulti e, nel caso, anche una da nonni.
Mi raccontava tutto ciò Aster, piangendo e insozzando tutti i miei vestiti con le sue lacrime. Gli sarebbe bastata qualche settimana, o forse mese, e presto sarebbe ritornato l’Aster che conoscevo: sorridente, ottimista e senza ombra di timore nel suo viso.
Pensavo a questo ma un fitto dolore si insinuò nel mio cuore, nel guardare quella povera anima, sola e disperata, senza che nessuno, oltre al tempo e al suo lento scorre, potesse aiutarlo. Lo salutai dicendogli di tenere duro, ma quando mi allontanai mi ricordo che mi venne da piangere. E così feci. E questo mi confortò molto, perché laddove non ci sono le parole, le idee, o delle emozioni a sostenerti, c’è sempre l’imprevedibilità di un pianto a ridare ordine, tutto sommato, a questo caos che è la vita.
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