A tu per tu con la cantautrice toscana, in uscita con il suo primo album solista intitolato “Psychodonna“
Un lavoro intenso e profondo, potremmo definirlo così questo nuovo progetto di Rachele Bastreghi, il primo da solista dopo la ventennale militanza nei Baustelle. Si intitola “Psychodonna“, un viaggio all’interno di un mondo femminile fatto di contrasti, sfumature e il desiderio di mettersi a nudo, sperimentando nuove soluzioni sonore, approfondendo concettualmente la conoscenza di se stessi.
Ciao Rachele, benvenuta. Partirei da “Psychodonna”, come descriveresti la sua genesi?
«Un momento interiore di arrivo e di partenza, a livello personale e umano, nato da un’urgenza espressiva e creativa che, forse, era latente in me da tempo, aspettava solo il momento giusto per poter venir fuori. Volevo fare le cose con calma per realizzarle al meglio, perchè sono molto pignola e critica con me stessa, anche un po’ Penelope. Ogni cosa ha il suo tempo».
Quanto hai dovuto scavare, a mani nude e in profondità, per portare alla luce queste canzoni?
«Nel fango e col sangue, direi. Mi piace sporcarmi le mani e vomitare le cose che sento, in più volevo che fossero sincere. Per trovare tutto questo, ho dovuto rifugiarmi in momenti bui della notte dove tutto tace, per urlare piano e tirare fuori tutto quello che avevo dentro, senza sbraitare, perchè è una cosa che non mi piace per niente. Avevo semplicemente bisogno di sentirmi libera di esprimermi, di giocare, di cambiare e, soprattutto, di ascoltarmi».
Tra le canzoni che più mi hanno colpito c’è “Lei“, com’è nata?
«E’ uno dei primi brani che ho scritto, quando non avevo ancora ben chiara l’idea di questo progetto. Tendo a scrivere molto, ho tante cose nell’hard disk, alcune le lascio lì. Poi, magari, arriva il momento in cui torno su quella determinata traccia, cerco di approfondirla e svilupparla. Questo è accaduto anche con “Lei”, una fotografia di me nel preciso istante in cui recepisco me stessa, in cui mi sento pronta a tutto, anche ad immaginarmi che domani potrà essere davvero un altro giorno».
In scaletta c’è la cover di “Fatelo con me” di Anna Oxa, un pezzo scritto da Ivano Fossati. A cosa si deve questa scelta?
«Lo considero un brano all’avanguardia, attualissimo ancora oggi, anzi, forse ancora più avanti. All’epoca c’era un certo modo di sperimentare, di dire le cose in modo provocatorio e con strafottenza, in modo estremamente libero, da parte di donne che non avevano paura di cantare e di autori che non avevano paura di scrivere determinate cose. Non dico che oggi non ci siano più artisti in grado di osare, ma non so quanto vengano apprezzati, ascoltati e tenuto sott’occhio. “Fatelo con me” mi sembra nuovo ancora oggi, figurati quarantatré anni fa».
Sei una dei pochi artisti, direi reduci, a non aver mai calcato il palco dell’Ariston di Sanremo, qual è il tuo pensionale pensiero sul Festival? La consideri una manifestazione in linea con il tuo modo di intendere l’arte?
«Ti direi di no, nel senso che finora non lo è stato. Non lo escludo a prescindere in futuro, perchè magari tra un anno mi ritrovo tra le mani un pezzo che mi sembra adatto e, soprattuto, mi sento in vena di confrontarmi con un mondo che, onestamente, un po’ mi spaventa. Per mettermi in gioco nelle cose ho bisogno di sentirmi a mio agio, perchè la voglia di buttarmi in situazioni nuove ce l’ho ma bisogna ponderare bene le cose. Sai, è un gioco che va anche oltre la musica, devi essere pronta. Da bambina sognavo Sanremo, sono nata guardando il Festival. Poi crescendo ho fatto un altro percorso e non mi sembra una tappa così essenziale, almeno per quanto mi riguarda. Non è un voler essere snob, ma le competizioni in genere non mi interessano».
Per concludere, alla luce di tutto quello che ci siamo detti, sono curioso di chiederti qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«Riuscire a trasformare il proprio lato oscuro, quello più autodistruttivo, in un qualcosa di costruttivo. L’autocritica è un insegnamento pesantissimo, ma importante. E’ sempre una guerra fra pancia e testa, ci sono alcuni casi e alcuni momenti in cui può sembrare difficile, ma grazie all’esperienza si arriva a riconoscersi. Trovo importante avere una visione di se stessi, così come del suono».
Nico Donvito
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