Raccontiamo l’attualità con una canzone
Maria Maddalena vive nella mia città. Ha i capelli biondi, passo lento e sicuro, un sorriso di una persona che non dovrebbe piangere mai. Maria Maddalena sembra un angelo, infatti agli angeli ci crede. Ne ha tre tatuati sul corpo. Non è una persona da tatuaggi, ma sulla sua pelle – laddove si posano gli anni di felicità e di amarezze, le albe delle occasioni colte e i tramonti dei sogni infranti – i tatuaggi viaggiano tra i ricordi, come una foglia sulla strada, un ramo nel fiume, un sorriso nella notte.
Maria Maddalena è bella, ma di una bellezza nascosta che nulla c’entra con il mondo d’oggi. Vivono, in lei, due tempi. Quello passato – di fatti possiede in sé quel nutrito senso di nostalgia che animano le decadenti rovine romane – quello, cioè, di una luce smarrita, un relitto spiaggiato, un fugace tramonto. I suoi occhi, azzurri e stanchi, lottano contro il passare del tempo in ogni sfumatura di colore, come se in quelle pupille dovesse passarci un buco nero capace di inghiottire l’universo stesso.
Ma porta con sé anche il tempo futuro. Come un quadro anticipatore di una nuova espressione artistica. È il romanticismo nell’illuminismo. Il salto Fosbury per l’atletica. Una canzone di Bob Dylan per la musica classica. A suo modo è un errore, qualcosa che può generare paura e curiosità. Perché non si può capire, non c’è un metro per paragonarla a qualcos’altro. Lei è qualcos’altro. È la protagonista della canzone Via della povertà di Francesco De Gregori.
È un tipo di bellezza, questa, immortale, seppur destinata a rimpiangere sé stessa. Ne sanno poco le ragazze, niente gli uomini. Nulla può una modella, con le sue curve ondulate e la sua perfetta armonia, contro la luce spenta e sfuocata di Maddalena, che conosce, dentro quel lento e sicuro andare, i segreti della seduzione e della tenerezza.
L’ingrediente fondamentale tra il nascere donna e l’esserlo.
Maria Maddalena fa l’infermiera, vede persone diverse tutti i giorni, ma non v’è traccia in lei di quella cinica determinazione nello scindere il lavoro dal divertimento, caratteristica obbligatoria per la schiacciante maggioranza di chi lavora in ospedale. Lei balla, inclina la testa quando ascolta qualcuno, schiaccia l’occhiolino per rassicurare gli altri, infilando dentro di esso tutte quelle frasi che ognuno di noi merita di sentirsi dire, almeno una volta nella vita, per tirare avanti.
Maria Maddalena non si chiama Maria Maddalena. Vive nella mia città, ma in realtà vive in ogni città, in ogni paese, in ogni via. È una figura di passaggio, è il modo che ha il mondo di darti fiducia, per dirti “è complicato, amico, ma ce la si può fare”.
Perché Maria Maddalena, quella che vedo io, è anche triste, stanca e pensierosa. E basterebbe una sua rassegnazione, una sua perdita di fiducia, per far crollare tutta quella bellezza. Ma nonostante il mondo andrà per la sua strada, Maddalena continuerà per la sua. Standosene lì – icona di un tempo andato e che mai ci sarà, decadente elogio per noi gente solitaria – a confortarci con i suoi sorrisi e la sua dorata chioma bionda.
Maria Maddalena, un giorno ti farò leggere questo articolo. Per ringraziarti di questa leggerezza che ti porti addosso, unica nel suo genere, contagiosa. Ecco. Forse ora ho trovato. Come al solito, ho alzato tutto questo polverone per arrivare a dire l’essenza nell’ultima riga. Maria Maddalena: amica di tutti. Ecco, così mi piace di più. Leggero, semplice, tenero. Un po’ come te.
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