Un libro, una canzone: insieme
Non è che puoi troppo star lì a pensarci sù. Certi libri fanno dei viaggi enormi per raggiungerti. Maturano il momento giusto, aspettano che vivi determinate esperienze. E poi eccoli lì. Con una mano tesa pronti a ricevere in dono il tuo spazio, silenziosi compagni che ti guardano e ti scrutano. Rimangono in attesa che tu li scelga, perché poi alla fine i libri sono molto più simili agli amici di quanto si possa credere. Fu con questi pensieri che entrai in libreria e li vidi: i testi di tutte le canzoni del più grande cantautore americano. In arte: Bob Dylan, Lyrics 1961 – 2020.
Sono tre libri spessi così con in copertina un Robert Zimmerman (il nome di Bob Dylan) con una faccia da adolescente sbruffone che due schiaffi non gli farebbero poi tanto male. Poi però ci passi sopra e ti metti lì ad indugiare nei suoi testi. E lì che viaggio amici.
Che siano canzoni d’amore, canzone di protesta, canzoni contro la guerra o contra questa solitudine canaglia, Bob Dylan li canta e li snoda come stesse nuotando in un oceano che è sempre stato solo suo: è il pittore nella sfumatura. Riesce sempre a trovare quello sguardo geometricamente distaccato ma mai banale riguardo a ciò che sta cantando. Pensate di vivere una storia d’amore, e pensate poi magari anche di finirla: rimangono tante parole, tante immagini che non si riescono a capire o a decifrare. Bob Dylan sembra che voglia invece colorarle tutte, quelle sfumature.
Così che poi uno si fa anche delle domande: cosa ne è dei ricordi belli che vivi con la persona che ami quando questa se ne va? Cosa ne è della mia solitudine quando il mio personaggio nasconde il mio dolore? Chi mi salva dalle incomprensioni e da questo male che non ha volto?
La risposta, il giovane Bob, disse che sta soffiando nel vento, ma io me lo immagino lì, l’ormai vecchio Bob, tra una canzone e l’altra a cercare le giuste domande. Quelle che rendono giuste delle esistenze, quelle che rendono uomini le persone, quelle che rendono liberi gli innamorati.
Rubo qualche frase nel vento.
Si dice che la notte è l’ora giusta
per stare col tuo amore.
Di giorno troppi pensieri si mettono in mezzo
però sei sempre tu quella che penso.”
Oppure.
Non è il partire
che mi da dolore,
ma il pensiero del mio amore che rimane.
L’ultima
Fammi dimenticare l’oggi, almeno fino a domani
Ultimissima, giuro.
Ogni ragazza che ho mai toccato
non è stato per farle del male,
e ogni ragazza che ho fatto soffrire,
non l’ho mai fatto apposta.
Ma per restare amici
e far la pace
ci vuole tempo e c’è da stare un po’ indietro.
Si potrebbe andare avanti a citare frasi potenti come macigni all’infinito, giuro.
Non so perché, ma a me è sempre piaciuto Bob Dylan, fin da quando da piccolo sentivo quella sua voce gracchiante che mi ricordava una sorte di zio ubriaco che non ho mai avuto.
Ora mi piace perché dietro quelle frasi, quella musicalità semplice ma universale, ci siete voi. Le persone alle quali scrivo questi miei pensieri confusi. Le persone che amo, che ho amato e che amerò. Quelle che ho fatto soffrire e per cui ho sofferto. Siete tutti qui, racchiusi dietro le sfumature di Dylan. Belle, potenti e solitarie. Come la sua musica.
Perché alla fine siamo tutti un po’ come i personaggi della canzone Desolation row tradotta da Francesco De Gregori in Via della povertà.
Finisci di leggere tutta quella montagna di testi, e, è inevitabile, ti senti un po’ più solo. Pensi di provare anche te le stesse cose che provava lui ma senza la capacità di cantarle al mondo, quelle emozioni.
E allora ti chiedi cosa sia un pensiero senza un nome, un verbo senza la sua parola.
Ma forse basta solo l’intenzione, la voglia di voler bene qualcuno e basta. Il desiderio di vivere la sfumatura di una persona che si ama.
Se c’è mai stato qualcosa, fra me e lei, mio caro lettore, allora vuol dire che c’è una canzone specifica che parla di noi due.
Si chiama “mama you been on my mind”. Legga il testo, mio caro lettore, e mi dica cosa ne pensa.
Mi dica se non la penso, mio caro lettore.
Mi dica se non mi pensa, mia dolce amica.
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