Un libro, una canzone: insieme
Io non ho paura
Un paesino di quattro case nella campagna del sud Italia, un’estate torrida, sei bambini in sella alle loro biciclette giocano tra i campi di grano e le cascine abbandonate. Un terribile segreto incombe su uno di loro.
Io non ho paura di Niccolò Ammaniti è una storia di giochi e rapimenti, di amore familiare e violenza, di coraggio e paura, tutti dosati e combinati perfettamente tra loro. La trama è semplice ed essenziale: Michele, bambino di nove anni sveglio e coraggioso, scopre un terribile segreto custodito dai suoi genitori suoi e da quelli dei suoi amici. In fondo ad una fossa, sporco, ferito ed evidentemente in stato confusionale, si trova un bambino, Filippo. E così la storia comincia.
I personaggi
Ammaniti indaga in profondità la psicologia dei suoi personaggi, ed in particolare quella infantile, regalandoci ritratti dinamici e mai banali o stereotipati. Sebbene, in una narrazione di questo tipo, sarebbe facile cadere nel cliché “bambini buoni e puri contro adulti malvagi e corrotti”, l’autore non si abbandona mai a queste semplificazioni. Anche per quanto riguarda gli amici di Michele, che a volte ricalcano effettivamente un “tipo” molto diffuso nell’immaginario comune come il bullo o il suo “lacché”, questa stereotipizzazione non è mai fine a sé stessa, ed è circoscritta ad alcuni personaggi molto precisi. Per quanto riguarda tutti gli altri, infatti, Ammaniti ci mostra pregi e difetti dei bambini come degli adulti. Ci parla delle ombre di Michele che, anche se buono, coraggioso e compassionevole, “vende” il suo segreto (e quindi Filippo) in cambio di un gioco.
I mostri
Michele, quell’estate calda e terribile, dice addio all’infanzia e all’innocenza. Vede il male che c’è nel mondo come non lo aveva mai visto prima. Osserva da vicino, nella vita vera, i mostri che prima dominavano solo i suoi sogni e le sue paure, e scopre che questi hanno il volto del padre e del vicino di casa. All’inizio ne è terrorizzato, e la paura lo paralizza, gli impedisce di agire.
Cercavo di chiamarlo con il pensiero.
Filippo? Filippo mi senti?
Non posso venire, non posso. […]
Torna indietro, Michele. Torna indietro, mi ha detto la vocina di mia sorella.
ho girato la bicicletta e mi sono lanciato nel grano, tra le buche, pedalando come un disperato e sperando di passargli sopra la schiena a quei maledetti mostri.
Ad un certo punto però, quando si rende conto che Filippo ha i minuti contati, Michele fa la sua scelta e affronta i mostri. E lo fa guardando in faccia sia quelli immaginari…
Il richiamo stridulo di una civetta, l’abbaio di un cane lontano. C’era silenzio. Ma sentivo lo stesso i loro bisbigli nelle tenebre. Me li immaginavo ai bordi della strada, degli esseri piccoli, con le orecchie da volpe e gli occhi rossi, che mi osservavano e discutevano tra loro.
Guarda! Guarda un ragazzino!
che ci fa di notte da queste parti?
Pigliamolo!
Sì, sì, sì, è buono…pigliamolo!
…che quelli reali:
Poi ho sentito il cane di Melichetti. E delle voci. Erano arrivati.
Un bambino contro i mostri
Il grande crimine degli adulti viene raccontato da Michele, che vive in prima persona questo dramma, e lo vive come farebbe un bambino di nove anni. In Quando sarai grande di Edoardo Bennato c’è una strofa che rende bene l’idea della sensazione di impotenza che affligge Michele:
Ti hanno iscritto
A un gioco grande
Se non comprendi
E se fai domande
Chi ti risponde
Ti dice “è presto”
Gli adulti cercano il più possibile di tenere Michele all’oscuro, di fargli dimenticare ciò che ha visto e chi ha conosciuto. Per loro è solo un bambino, non svolge un ruolo attivo nella questione. Capiranno solo alla fine, a spese loro e di Michele stesso, quanto si sbaglino.
Attraverso il buco ho visto papà. In una mano teneva una pistola, nell’altra una pila elettrica.
Aveva perso.
Come al solito.
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