Eri davvero bella quando cadevi e dicevi “Ahia!”
La parola del mese di dicembre è cicatrice, la cui radice latina rimanda al verbo legare, cingere attorno e che nella sua definizione è il segno che rimane sulla pelle della ferita rimarginata.
A un anno dalla nascita di questa rubrica, quante cose sono cambiate e quante sono rimaste esattamente identiche. Ricordo il mio primo articolo, la paura nello scriverlo, il supporto dei miei amici. Parlava del Natale, e normalizzava la mancanza, la solitudine, che alcuni avrebbero provato causa le restrizioni, altri inevitabilmente come tutti gli anni. In questi mesi più mi sono promessa di essere poco autoreferenziale e più lo sono stata, spiegando a poco a poco a me stessa che valore avesse questa rubrica per me.
Strappare lungo i bordi
La parola del mese trae ispirazione da una scena, della serie “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare, il fumettista che ha raccontato in 6 episodi il dissidio interiore di un ragazzo che si affaccia alla vita adulta, galleggiando sospinto dal susseguirsi degli eventi. Zero, il protagonista, vive strappando lentamente lungo i bordi di una sagoma intagliata dal mondo per lui “perché ha 17 anni e tutto il tempo del mondo”.
Il contenuto di questa serie è universale, e la domanda che mi sono sempre posta su come mai siamo tutti così concordi sulla bellezza, ora si ripropone, sul come sia possibile che dentro, portiamo tutti gli stessi demoni e sul perchè ne parliamo così poco.
Uno dei personaggi che soccombe davanti a tutti questi interrogativi mai condivisi è Alice, una giovane aspirante insegnante, amica da sempre di Zero. Alice nel corso della serie vive svariate sofferenze, il precariato, una relazione violenta, e trova quasi sempre il suo posto sicuro tra le braccia di Zero. I due però non si capiscono mai, è come se parlassero due lingue diverse, ci sono l’uno per l’altra ma a loro modo, facendo sì che all’occhio dello spettatore il loro rapporto appaia sempre distaccato. È terribile e frustrante questo loro non raggiungersi mai , la mancanza di un lieto fine, al quale siamo così abituati, rende però la serie del tutto vera.
Alice muore, si uccide, e al funerale proiettano un video in cui lei racconta ai bambini con i quali faceva volontariato, una favola scritta da Zero. Il protagonista della favola cade e i bambini si domandano se si faccia molto male, Alice li fa riflettere sull’importanza della cicatrice. I bambini si chiedono quando questa cicatrice se ne vada dalla pelle e Alice risponde prontamente, perché di ferite rimarginate, lei ne ha molte. “La cicatrice non passa mai, è come una medaglia che nessuno ti può portare via”. Quanto è vero, la cicatrice cambia i connotati, ed è spesso nascosta, la mostriamo quando ci apriamo agli altri e raccontiamo loro cosa ci è accaduto, è il simbolo di un dolore superato, della pelle che si è inspessita, forse per paura di lacerarsi nuovamente.
Ahia!
Questa serie mi ha fatto pensare alla canzone dei pinguini tattici nucleari “Ahia”, che perfettamente, già dal titolo si rifà al dolore, al riconoscimento dello stesso.
Ieri ho pensato che
Vorrei andare in montagna
Per dimenticarmi di te
La canzone si apre col desiderio di dimenticare, ma si sviluppa sul ricordo insidioso e costante, di una persona, di un dolore.
Sapessi i pensieri che ho perso
Che ho scacciato via dalla mia testa
Perché tu ci dormissi comoda dentro
E ti sentissi speciale come in un giorno di festa
Ha fatto posto tra i suoi pensieri, tra i ricordi idilliaci di infanzia, dimenticando le filastrocche, per lasciare posto ad una persona. Quante volte per far sentire speciali gli altri ci annulliamo? È amore davvero questo? Amare qualcuno che ci svuota? Sentirci così potenti da pensare di poter colmare i vuoti altrui.
E ancora so che ti piace il McFlurry
Ma solamente alle tre del mattino
E del tuo primo bacio agli autoscontri
Che hai dato a quel cretino
Un bullo del tuo paesino
Lei si è così infilata tra i suoi pensieri, da fare in modo che i ricordi dei due si confondessero, noi non sappiamo niente di lui e tutto di lei.
E forse un po’ ti farà pena
Questa mia povera testa
Che sa ancora tutto di te
Perché per quanto mi sforzi
Sei tutto ciò che mi resta
La convinzione, o forse la giustificazione che da a se stesso, per aver reso lei il centro del suo mondo, è che null’altro gli resta. Anche questo è un sintomo di una relazione tossica forse, pensare di non avere altro, di non avere altre possibilità, peggio, essere noncuranti di tutto il resto e così a poco a poco perderlo.
Le cicatrici che c’hai sulle gambe
Son magi che raccontano una storia
Di una bimba che cadeva sempre
Nelle ore di motoria
E che conosco a memoria
Ecco le cicatrici, procurate da una sofferenza, emerge quanto lui l’abbia aiutata, quanto si sia fatto carico delle sue sofferenze e abbia cercato di colmare tutti i vuoti e le mancanze che questa ragazza ha avuto.
Ed ora che sai camminare dritta
E forse non finisci gambe all’aria, ah
Ti prego fatti dire, amore mio
Che eri davvero bella
Quando cadevi e dicevi, “Ahia!”
Ne vale la pena?
Qui un copione già visto, lei sta meglio, forte dell’aiuto dato da lui e se ne va, ormai sa camminare dritta, e lui le dice che era bella quando cadeva, quando gridava in cerca di aiuto perché non stava bene. Spesso le relazioni ci fanno innamorare della malattia dell’altro, del suo essere da salvare, poiché essere d’aiuto fa molto bene al nostro ego. All’apice dell’egoismo, che mascheriamo come amore profondo, sta l’arrivare a pensare che forse vorremmo non guarisse mai, per avere così per sempre bisogno di noi. Mentre noi ci svuotiamo lentamente.
In realtà, la serie sul finale spiega molto bene quanto ci illudiamo di avere potere sugli altri e quanto poco ne abbiamo in realtà.
Zero scopre che Alice lo ha sempre amato, che non si sono mai capiti e teme che forse, se l’avesse capita prima si sarebbe salvata. Sara, un’amica comune molto risoluta, gli spiega di quanto sia egoriferito, Alice è morta, eppure lui si pone al centro, teme di averla uccisa, si sente responsabile del gesto estremo di una persona di cui ha conosciuto solo una piccola sfaccettatura.
Zero non capisce più nulla, sentirsi in colpa è il solo modo che conosce per starle vicino, ma non gli è concesso. Si chiede perché stia partecipando al funerale, se non può provare nulla. Sara gli spiega che qualcosa può fare, loro infatti sono lì per cucire la ferita, mettere i punti di sutura e un punto a quella storia, per fare in modo che la ferita non sanguini più, per quanto toccandola farà male sempre.
Vi consiglio di guardare questa serie, se ancora non lo avete fatto e di domandarvi se intessere rapporti voglia davvero dire salvare gli altri, oppure lasciare che imparino, supportandoli, sperando in una loro guarigione, amandoli perché stanno bene e non perché hanno bisogno di noi.
Tutto questo articolo per parlare di un percorso in via di svolgimento, in questo anno, nei prossimi, chissà. Le ferite smettono di sanguinare, la pelle cicatrizza, alcune volte dobbiamo mettere dei punti, e il corpo non sarà mai più lo stesso, e un po’ ce ne vergogneremo, nascondendola.
E allora chissà se ne vale la pena, per una persona che ferisce, non avere più il coraggio di farsi accarezzare.
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