Le mie insicurezze
La parola del mese di agosto è insicurezza, per comprenderne l’etimologia iniziamo dal suo contrario, sicurezza deriva dal latino se, negazione e cura, preoccupazione, dunque senza preoccupazione. A questa parola aggiungiamo la negazione in- e così otteniamo tutte le insicurezze, le ansie e le preoccupazioni che ci caratterizzano.
Scelgo proprio questa parola perché ho dovuto recentemente, parlare di me. In realtà devo raccontarmi di continuo davanti ad estranei, che devono decidere se sono la persona giusta da assumere. Imparata la solita filastrocca che ripeto a tutti, alla quale forse alla fine inizio anche a credere, mi ritrovo tremante davanti a uno sconosciuto a dover parlare della mia decisione e della mia impavidità nella vita. Perché delle insicurezze non è concesso parlare, a meno che io non le inserisca in quei tre difetti che chiedono sempre.
L’immagine di me allo specchio
Ho dovuto, però, di recente, parlare di me, davanti a 50 ragazzini adolescenti e, in particolare, ho dovuto raccontare la mia adolescenza, e i traumi che ha portato con sé. Per prepararmi non ci è voluto molto, mi sono messa davanti a uno specchio, un po’ come faccio prima di un colloquio. Questa volta non ho finto, non mi sono infusa sicurezza, non ho cercato di essere altro da me. Mi sono guardata con quello sguardo cattivo che riservo solo a me stessa, elencandomi mentalmente tutti quegli elementi che in spiaggia d’estate, che davanti a una nuova persona, che sui social, in mezzo a un gruppo, mi fanno sentire così insicura. Penso di aver salvato solo i miei denti, così dritti dopo anni e anni di apparecchi. L’unica cosa che guardo con affetto di me, è una cosa che è stata cambiata e studiata per poter essere perfetta.
Impressionanti sono state le parole che sono tornate a me dopo questo mio racconto, quanti “grazie”, quanti “ah ma allora non siamo i soli”. Le insicurezze sono parte di tutti noi, nascono dal confronto peggio, dall’invidia. Qui un’altra etimologia, invidia, significa non vedere bene, perché più che accecati dalla rabbia lo siamo dal non essere come gli altri. In questo guardare male c’è una controindicazione, prima di guardare gli altri per quello che hanno in più di noi, guardiamo noi stessi, vedendo solo quello che ci manca. Quando mi guardo allo specchio, non vedo me stessa, vedo tutto quello che non sono e potrei essere, dunque alla fine non vedo niente.
Canzone contro la paura di Brunori Sas
Pensando a una canzone sull’insicurezza, non ho trovato niente di più vero della “Canzone contro la paura” di Brunori Sas, il testo è ricco di insicurezze, vere, sul suo ruolo di cantante.
Nella prima strofa Brunori si distrugge, atteggiamento tipico degli insicuri, raccontare se stessi ridendo dei propri difetti, così che nessuno possa fare lo stesso.
Scrivo canzoni poco intelligenti
Sono canzoni poco irriverenti
Insomma canzoni come me, che ho perso tutti i denti
Canzoni per chi non ha voglia d’abbaiare o di ringhiare
Canzoni tanto per cantare.
Con queste poche parole Brunori sembra dirci, che è inutile che ci facciamo illusioni e aspettative sul suo modo di scrivere e cantare, le sue canzoni, che a mio avviso sono poesie, sono come lui, semplici, poco intelligenti, nel senso di poco elaborate, escono così dal suo stream of consciousness, senza troppi imbellettamenti. Sono canzoni non irriverenti ma vere, sfacciate, come lui che ci dice di aver perso tutti i denti, ammissione non da poco per un cantante, che se ci pensate lavora con la sua bocca, che è uno degli elementi più ripresi dai primi piani delle telecamere. Canzoni per cantare, come se poi le canzoni servissero ad altro.
Canzoni che parlano d’amore
Perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?
Brunori insiste ancora sulla banalità dei suoi testi, riprendendo un commento che molti si sentono fare, tutti scriviamo o cantiamo d’amore, perché è un sentimento che ci accomuna, tristemente ci assomigliamo nelle rotture e nei ritorni. Questo continuo parlarne però, rischia di diventare, agli occhi dei critici, banale, ripetitivo.
Io canto solo per me
Perciò sarò superficiale
Ma in mezzo a questo dolore
Tutto questo rancore
Io canto solo per me
E allora Brunori ci dice qualcosa di vero, sicuramente si scrive per essere letti e si canta per essere ascoltati, ma le opere degli artisti nascono da un profondo egoismo, abbiamo tutti necessità di esternare ciò che siamo, le nostre insicurezze, i nostri nodi irrisolti. Poi le canzoni sembrano scritte per gli altri, devono piacere e vendere, ma il primo motore che muove un artista è il suo io.
Ho capito dopo aver parlato di me, di quanto ne avessi bisogno io stessa, pensavo di farlo per gli altri, ma più le parole uscivano dalla mia bocca e a fatica incrociavo gli sguardi degli altri, più mi rendevo conto che ciò che raccontavo, la morale dell’amarsi di più, per smetterla di guardarsi con occhi pieni di invidia, la stavo raccontando a me. Brunori canta solo per sé, io raccontavo solo per me.
E invece no, tu vuoi canzoni emozionanti
Che ti acchiappano alla gola senza tanti complimenti
Canzoni come sberle in faccia per costringerti a pensare
Canzoni belle da restarci male
Quelle canzoni da cantare a squarciagola
Come se cinquemila voci diventassero una sola
Canzoni che ti amo ancora anche se è triste, anche se è dura
Canzoni contro la paura
Eppure gli altri vogliono questo genere di canzoni da lui, forti, emozionanti, belle da cantare in compagnia e soli, canzoni contro le insicurezze e le paure.
Il vero miracolo
E Brunori dice una cosa molto bella nella strofa successiva, che il vero miracolo è che queste canzoni sue, superficiali, inconsistenti, poco ragionate, salvano la vita e aiutano a ricominciare, perché a volte
basta una stupida canzone, a ricordarti chi sei.
Basta trovarsi davanti a 50 adolescenti a parlare di sé, di episodi lontani, di dolori ormai così calcificati da sembrare banali. Bastano i loro occhi, il loro sguardo amorevole, contro le mie insicurezze, a ricordarmi chi sono, e quanto questo sia il vero miracolo.
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