venerdì 22 Novembre 2024

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Dissacrare i concerti negli stadi è davvero un problema?

Una nuova generazione di artisti conquista gli stadi italiani: è dissacrante per la musica?

Malgrado la stagione estiva sia a malapena raggiungibile con la fantasia, l’agenda degli stadi italiani nei pochi mesi in cui il campionato di calcio sarà quest’anno fermo si sta sempre di più affollando. Forse troppo, secondo il parere di molti addetti ai lavori musicali e non.

Il tema |

Prendendo spunto dall’articolo del nostro Nick Tara (qui il link), che esprime le legittime riserve riguardo la precocità di Blanco nell’approcciare una dimensione scenica che da sempre appartiene ai grandissimi, ho pensato che considerare il bicchiere mezzo vuoto anche questa volta sia un qualcosa di assurdo. Il riferimento, naturalmente, non è al pezzo, che argomenta ed estrae dubbi di materia discografica/artistica, con cui mi trovo assolutamente d’accordo. Ciò che è a mio avviso incomprensibile sono le critiche e le polemiche incondizionate, spesso di utenti adulti, che condannano a priori il semplice fatto che uno come Blanco possa far cantare un’arena da 80mila posti.

Una volta i grandissimi, ora Blanco. E con lui i Pinguini Tattici Nucleari, Gazzelle, i Maneskin. L’estate 2023 puzza di supplizio per la nostra musica: “dove finiremo”?

Dove finiremo? |

Nessuno può saperlo, come nessuno sapeva, prima delle edizioni straordinarie del TG1, che gli stadi sarebbero stati chiusi per 2 anni. Tra le crisi e i conseguenti malumori scoppiati nei vari settori economici e sociali, la musica durante la pandemia non si è salvata. E come può essere altrimenti? Indelebile la questione Sanremo-Dario Franceschini, che ha costretto Amadeus ad un Festival blindato nel 2021 sull’onda di ferocissime critiche che urlavano alla “dittatura sanitaria” e altre follie.

“Dove finiremo”? Più che mai questo angosciante interrogativo si è incastonato nella nostra mente nei mesi del 2020 in cui ci siamo mostrati paurosi di fronteggiare un futuro incerto. Davanti a morti ed ospedali pieni in molti si sono spesso dimostrati più interessati al ritorno in discoteca piuttosto che ai concerti o negli stadi.

In un attimo, con una campagna vaccinale di mezzo, il problema è improvvisamente diventato l’approdo di Blanco a San Siro. I funerali ad una generazione che non può divertirsi, che è irrimediabilmente destinata a cadere nel vortice della depressione e dell’antisocialità si interrompono per lasciare spazio al “ai tempi miei”. Come se, in un periodo di oblio, la gente si sia scordata che i giovani hanno una loro distinzione anche quando si esce fuori di casa e che non sono soltanto dei nativi digitali che aiutano i genitori a partecipare alle call di lavoro.

L’incubo è finito, gli stadi sono stati riaperti e i ragazzi, incredibilmente, sono tornati ai concerti. Comprano sciarpe del proprio idolo, cantano a squarciagola, si innamorano e fanno tutto quello che in tempi bui ci si auspicava. Si prendono i loro spazi e vivono la loro libertà. La questione è semplicissima: gli artisti (sì, anche Salmo e Blanco lo sono) prenotano gli stadi non perchè ritengono che la loro musica sia adatta per gli stadi, ma perchè questi sono molto capienti e possono contenere la gente che ha voglia di musica, di sognare e di vivere dopo i concerti trasmessi in diretta su Twitch.

Nell’era dello streaming, della crisi del disco fisico, della pirateria, i concerti sono inoltre linfa vitale per l’industria discografica. Un’industria che deve assolutamente tornare al largo a dispetto di un’obsoleta retorica che la spinge verso la riva.