giovedì, Marzo 28, 2024

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Achille Lauro: “1969? Il vecchio che diventa nuovo” – INTERVISTA

A tu per tu con l’artista romano fuori con “1969”, anticipato dai singoli “Rolls Royce” e “C’est la vie”

Polemiche e pregiudizi scansatevi, arriva “1969”. Attraverso la sua musica Achille Lauro è riuscito a far ricredere diverse persone, tra cui il sottoscritto, conquistando giorno dopo giorno la credibilità e l’attenzione che merita. Se l’è sudata ma ce l’ha fatta. Il suo è un disco spiazzante, innovativo e che non passerà di certo inosservato. Prodotto da Fabrizio Ferraguzzo e dal fedele Boss Doms, in scaletta sono presenti dieci brani inediti tra cui spiccano due collaborazioni con Coez e Simon P. Alle già note Rolls Royce e C’est la vie, si aggiungono otto interessanti e sperimentali tasselli: “Cadillac”, “Je t’aime”, “Zucchero”, la title track “1969″, “Roma”, “Sexy Ugly”, “Delinquente” e “Scusa”. Di seguito la nostra video intervista realizzata con l’artista.

Achille Lauro, bentrovato nel 1969. Cosa ti ha spinto a viaggiare nel tempo?

«Sicuramente la ricerca di qualcosa di diverso e di nuovo, sono stato contaminato da artisti che fanno parte del patrimonio mondiale, essendo un musicista ho deciso di riproporre le sonorità da cui sono affascinato in chiave nuova. Penso che gli anni ’60 e ’70 abbiano rappresentato un momento di grande cambiamento, di grande espressione artistica, di libertà e sono contento di riportare l’attenzione su tutti questi aspetti».

Nella tua musica sei sempre stato un futurista, forse per la prima volta peschi nel passato per creare qualcosa di nuovo. Come hai avuto questa intuizione?

«Beh penso che la musica abbia fatto talmente così tanto il giro, che il vecchio è diventato nuovo (ride, ndr)».

Quindi sei voluto uscire fuori dai binari della trap, anche se in realtà non possiamo considerarti un reale esponente del genere, più che altro sei stato tra i primi ad utilizzare in Italia quel tipo di sonorità. La domanda è: non cavalcare una moda in particolare, potrebbe rappresentare il segreto per durare nel tempo?

«Assolutamente sì. Quei pochi esponenti che hanno portato la trap in Italia, tra cui io, si sono inventati qualcosa di nuovo senza cavalcare una moda, quello che ho tentato di fare anche con il mio precedente disco, mettendo insieme trap, elettronica, samba, salsa e qualunque altra cosa. “Pour l’amour” mi ha dato parecchie soddisfazioni permettendomi di fare oltre centoventi spettacoli dal vivo in giro per il Paese, facendomi conoscere a più persone».

“1969” è un disco che nasce in maniera suonata e analogica, il che suggerisce un ottimo adattamento live, in vista della tua tournée che partirà il prossimo autunno. Cosa puoi anticiparci a riguardo?

«Non posso anticipare nulla (sorride, ndr), per me è un momento importante perché sto proponendo una musica che mi piace e voglio che nei live venga messa la stessa cura maniacale che abbiamo utilizzato nel disco. Non ho seguito alcun filo conduttore e nessuna legge di marketing, bensì unicamente i miei stati d’animo, fotografando gli alti e bassi che contraddistinguono la vita di tutti, creando un giusto compromesso tra leggerezza e malinconia».

Infatti, hai detto di sentirti per la prima volta nel posto giusto al momento giusto. Cosa intendi esattamente? 

«E’ un discorso che potrebbe appartenere anche alla mia vita, ma dal punto di vista artistico sono sempre arrivato prima e non lo dico con presunzione, perché arrivare prima non è arrivare giusto, molte volte ho creato qualcosa che è diventato fondamentale per chi è arrivato dopo. Io, invece, ho continuato a evolvermi, non sono mai rimasto fermo, ho lasciato indietro delle cose con la convinzione che, prima o poi, sarebbe arrivato il momento giusto e penso proprio che sia questo».

“Rolls Royce” è stata un grande successo, al punto da uscirne scalfita e indenne dalle polemiche sanremesi. È sempre bello sottolineare quando la musica sovrasta il chiacchiericcio, tu come l’hai vissuta questa esperienza del Festival?

«Il Festival in sé è stata una cosa fantastica, un’esperienza divertente, mi ha fatto conoscere un nuovo mondo, la stampa ha mostrato interesse verso il brano ancora prima di presentarlo a Sanremo, per cui ero già al settimo cielo prima ancora di esibirmi. Mi reputo un personaggio particolare, non è scontato che la mia musica, seppur sperimentale, possa piacere agli altri, di conseguenza tutta questa attenzione non me l’aspettavo e mi ha aiutato a non dare peso alle polemiche, a concentrarmi su quello che dovevo fare senza badare a queste scemenze».

A proposito di Anna Tatangelo, l’hai definita una bella Ferrari a cui andrebbe messa la giusta benzina. Ci spieghi meglio questa frase?

«Intendo che ha una voce incredibile, è una professionista e un chirurgo della musica spaventoso, ha un corpo come una bella carrozzeria di una Ferrari, ma come interprete andrebbe un po’ indirizzata».

In questi giorni si parla di una tua possibile partecipazione ad X Factor. Fermo restando che, anche se ci fosse qualcosa di reale, non me lo diresti… mi incuriosisce chiederti quale apporto potresti dare ai ragazzi in base alla tua esperienza e, viceversa, cosa potresti apprendere tu da questo tipo di esperienza?

«Ho già partecipato con Mara Maionchi ad una puntata di X Factor e mi sono molto divertito, prima di tutto perché non ho pregiudizi nei confronti della televisione, poi perché la ricerca dei talenti è anche il mio lavoro, con la mia squadra facciamo già attività di scouting, siamo stati artefici dell’operazione di “Thoiry remix”, prendendo una piccola idea di un ragazzo emergente che aveva tre-quattromila views e trasformarlo in un pezzo da sessanta milioni. Trovare i ragazzi che valgono, per questo credo di avere fiuto perché, sai, molte volte i dirigenti delle case discografiche non si rendono bene conto del marciapiede, quelli che provengono da quel contesto come me riescono a captare i primi segnali senza snaturarli, limandoli al punto giusto. Per cui credo che in un ambiente come X Factor mi proporrei semplicemente per fare il mio lavoro, portando quello che faccio nella vita anche in tv».

Per concludere vorrei farti l’ultima domanda su “C’est la vie”, una canzone che mi ha molto colpito. Vorrei chiederti semplicemente come è arrivata?

«Fermando uno stato d’animo, mi ricordo esattamente il momento in cui è arrivata, avevo scritto circa quindici strofe in due giorni, era un periodo di massima ispirazione. A volte mi capita di non scrivere per tre mesi, quindi è arrivata così per caso, avevo tanti pensieri che mi giravano per la testa e li ho semplicemente acchiappati».

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Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Nico Donvito
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