Due nuovi esempi di canzoni che raccontano l’amore per la nuova generazione
Achille Lauro e Mahmood, due giovani artisti per due singoli appena nati. “Stupidi ragazzi” e “Cocktail d’amore” snocciolano le fatiche dell’amore in questa generazione, con un beat pop-urban che alleggerisce la densa semantica dei testi.
Primo dato di partenza: la tematica amorosa resta complicata anche per l’odierna gioventù. L’incipit dei due testi non preannuncia leggerezza, ma evidenzia un punto comune nell’accostamento dell’idea di amore a “qualcosa” di stupefacente come la droga (Achille Lauro – “non c’è un amore perfetto se non ti ha fatto un po’ male Sì, siamo la stessa cosa come la droga e la pace Cosa ti ha portata qui?”/ Mahmood – “perché per stare bene Ho bisogno di toccare il fondo Sono un bugiardo se ti faccio vedere che ho tutto sotto controllo Ma più rido, più mi si fredda il cuore Dici di stare lontano dalle droghe”).
Altro punto di contatto è il richiamo alla letteratura sacra e alla mitologia greca: due ambiti solenni, di potente intensità evocativa, per descrivere l’amore sia come dolce inganno (Achille Lauro -“è dolce come il bacio di Giuda”) sia come rischiosa occasione che trasforma la persona in essere libero di volare e, allo stesso tempo, indomabile, proprio perché sciolto da ogni briglia (Mahmood – “volevo Le ali di Pegaso Che tu mi capissi quando cadevo giù”).
Se per Achille non esistono le mezze misure, visto che l’amore “è diventato più nulla, più nulla, oh no, oh no”, anzi “una giungla, una giungla, una giungla”, rimane il fatto che “è bellissimo dividerci la fine di un’era”. Su quest’ultima, entrambe le canzoni hanno una messa a fuoco ottimale che fa vedere ad Achille la decadente fragilità di un periodo, (“e mentre cadono i palazzi, stupidi ragazzi Prima di lasciarsi, sono gli ultimi ad amarsi”) dove l’amore si nutre di romanticherie e di gaudenti corse forsennate (“l’amore in un drive in, l’amore in cristalli Corse di cavalli, un bacio e centomila orgasmi”), mentre fa cogliere a Mahmood le emozioni di un’affettività fatta di solitudini virtuali, divise tra computer ed effetti psichedelici (“io credevo Fosse più tenero Farlo davanti al PC Se mi amerai fallo così Stammi bene, mi mancherà Morire insieme Tra i laser light”).
Stare in coppia oggi ha sfumature nuove: sembra voler dire stare con la persona scelta, senza perdere la dimensione del Sé individuale, in una estrema e costante ambivalenza. A livello testuale, è interessante l’uso della metonimia, che costruisce il messaggio con parole scelte sulla base di una relazione di vicinanza di significato, e l’introduzione di neologismi, volti ad innescare significati multipli, in certi casi, perfino estremi.
Chi è il “motherfucker” di Mahmood? Probabilmente, fa riferimento all’uso più comune del termine, con cui si indica una persona cattiva, spregevole o viziosa, ma traducibile pure, in senso positivo, con “bastardo figlio di puttana”, cioè persona impavida e sicura di sé (Achille Lauro – ‘ancora, ancora, ancora Centomila orgasmi Mi sento freddo, Cortina Mi uccidi piano, morfina Come esplodere, Hiroshima (Centomila orgasmi) Così lontana e vicina, astinenza, nicotina Lacrime, acquamarina (E mille volte)” / Mahmood – “io ti volevo, volеvo, volevo Perché per starе bene Ho bisogno di sfogarmi solo Non sono il tipo che convive né che ti chiede la mano in cortile Se c’è freddo ti do la mia giacca Se ferisci sarò, motherfucker”).
Uno sguardo attento sul finale potrebbe fondere i due testi in continuum semantico perfetto, che lascia saldamente aperti gli interrogativi sull’amore (Achille Lauro – “ancora Cos’è l’amore Che vuoi che sia Ancora Antibiotico anestesia Ancora) e intatte le intenzioni dei narranti, (Achille Lauro – “fammi sbagliare è la vita mia” / Mahmood – “perché per stare bene Ho bisogno di toccare il fondo”) a tal punto da poter parlare di una circolarità compositiva totale. Fatto non nuovo nella musica, ma nemmeno così degnamente riuscito come in questa occasione.
Francesco Penta
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