venerdì 22 Novembre 2024

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Adolfo Durante: “La musica mette in risalto virtù e debolezze” – INTERVISTA

A tu per tu con l’artista in uscita con il singolo “È questa la notte” a sostegno dei diritti dell’infanzia

Ciao Adolfo, benvenuto su RecensiamoMusica, partiamo dal tuo nuovo singolo “È questa la notte”, che cosa racconta esattamente?

«Parla di matrimonio infantile, una pratica tradizionale effettuata in molti paesi che vìola i diritti dei bambini e delle bambine, ne impedisce la libertà fisica e la capacità di decidere del proprio futuro. Le spose bambine spesso sono trattate alla stregua delle donne adulte e generalmente devono farsi carico dei ruoli e delle responsabilità per lo più ricoperti dagli adulti, malgrado la loro tenera età. Le bambine concesse in sposa prematuramente a seguito di matrimoni combinati sono più vulnerabili e più esposte a subire violenze e abusi sessuali».

Un bel segnale la scelta di devolvere i ricavati del progetto ad Amnesty International Italia. Cosa ti lega in modo così sensibile al tema dell’infanzia?

«Nonostante i bambini rappresentino il nostro futuro, ci si preoccupa poco di loro. Questa è la motivazione che mi ha spinto a pensare a un tema così importante e di parlarne attraverso la musica. Il contesto in cui mi sono trovato a prendere consapevolezza delle spose bambine è stato quello di “Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty”, che nel 2016 aveva come campagna proprio questa tematica. Da allora, è stata una naturale evoluzione che si è concretizzata con la realizzazione di questo singolo. La parte più complicata del lavoro è stata quella di trovare il modo di non rendere retorico e banale un argomento così delicato».

Cosa avete voluto raccontare attraverso le immagini del videoclip diretto da Michele Pastrello?

«Il regista ha cercato un mood accorto, con l’intento di voler far percepire il dramma nel momento prima di accadere. È un video evocativo, che spinge alla riflessione e pone l’attenzione su cosa provano le bambine spinte a un destino che le vuole adulte prematuramente, quando sono in condizioni in cui non hanno potere di decidere».

Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come è nata la tua passione per la musica?

«La mia passione per la musica risale davvero a molto tempo fa, avevo solo 16 anni quando già lavoravo negli studi di registrazione come vocalist o come corista. Tutto si è evoluto in maniera naturale, dalle prime formazioni live ai primi dischi, per poi raggiungere una consapevolezza maggiore rispetto a chi volevo essere e a cosa volevo cantare».

Quali ascolti hanno arricchito ed accompagnato il tuo percorso?

«Sono sempre stato anticonformista negli ascolti della musica, ho sempre amato quegli artisti che avevano la forza di cambiare i loro percorsi musicali in favore della propria crescita artistica, senza pensare alle vendite massificate dei loro dischi. Ho amato artisti coraggiosi come Kate Bush, Peter Gabriel, i Maria Bazar della sperimentazione, Alice e cantautori come Ivano Fossati».

Personalmente, ti collochi in un genere particolare?

«Io vivo la musica da interprete, poiché non scrivo quel che canto. Da una parte, può essere visto come un limite, mentre in realtà vivo questa dimensione come una ricchezza e come una libertà di espressione nell’abbracciare contenuti e stili diversi tra loro. Sono una persona che fatica a stare rilegato o vincolato a stereotipi o ad affrontare le cose nello stesso modo. Quindi, chiedermi di collocarmi in un genere mi riesce difficile».

Come valuti l’attuale scenario discografico?

«Se dovessi dar retta a come vanno le cose nella musica, non dovrei più produrre e incidere dischi: gli spazi si sono ridimensionati per tutti, anche per coloro che hanno avuto trascorsi importanti e di grande notorietà. I dischi non si vendono e gli spazi per la musica inedita sono ormai ridotti all’osso. Da una parte, con l’avvento dei social network, la distribuzione indipendente di musica ha permesso una possibilità maggiore per il fruitore di scegliere e non farsi imporre un artista come succedeva in passato; dall’altra, invece, l’offerta si è centuplicata e nel mare delle proposte bisogna anche avere una cultura musicale che ti permetta di discernere. Non è solo una questione di gusti personali: credo che una formazione culturale e lo studio della musica possano aiutare ad apprezzare soprattutto ciò che non è supportato dalle grandi produzioni e che ha poca visibilità». 

Qual è il tuo rapporto con i social network?

«Il mio rapporto con i social è proporzionato all’utilizzo che ne faccio per promuovere le mie proposte musicali. Non sono un fanatico, non ne sono dipendente ma allo stesso tempo mi rendo conto che chi svolge la mia attività non possa fare a meno dei social: ignorarli significherebbe essere ancora più invisibili».

Pensi che l’avvento del web abbia portato più vantaggi o svantaggi al mondo della musica?

«Nel caso di produzioni indipendenti credo sia stato un vantaggio a sfavore di case discografiche, che per anni hanno detenuto il potere e hanno fatto il bello e il cattivo tempo a fronte anche di artisti di indubbia qualità». 

Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?

«Il prossimo anno uscirà il mio nuovo disco, “Nell’attesa Di Un Bacio”, un progetto eterogeneo nella scelta degli stili musicali. Alberto Lombardi, che ha prodotto e arrangiato il disco, ha saputo ricreare quelle atmosfere adatte alla duttilità della mia voce. È un album dove a suonare sono veri musicisti e nulla è lasciato ai campionatori, ritornati di moda negli ultimi anni. Nel frattempo sto ipotizzando e formalizzando alcuni eventi per promuoverlo, tenendo conto della dimensione teatrale, a me più congeniale».

Per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«Per la mia musica, negli ultimi anni mi sono avvalso di un autore, Alessandro Hellmann, che ho scelto per la sua capacità di trasmettere contenuti profondi con semplicità, ma allo stesso tempo lasciando, in chi ascolta, momenti di riflessione personale rispetto a ciò che siamo oggi come società, come uomini del nostro tempo, con le nostre virtù e le nostre debolezze. Credo che la musica, fra i suoi innumerevoli compiti, abbia anche quello di far riflettere, di mettere gli altri nella condizione di prendere consapevolezza della propria vita anche attraverso storie di altri, nelle quali, per qualche ragione ci rispecchiamo».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.