A tu per tu con la cantautrice lombarda classe ’70, attualmente in radio con il singolo “E poi arrivi tu”
Dal 30 novembre disponibile in radio e in digitale “E poi arrivi tu”, il nuovo singolo della cantautrice milanese Arianna Vitale in arte Ahri, primo estratto dall’ Ep “Non siamo le maschere che portiamo“. Il brano è dedicato all’incontro con la musica che, giocoforza, ha radicalmente cambiato la vita dell’artista.
Ciao Arianna, partiamo da “E poi arrivi tu”, cosa rappresenta per te questo brano?
«”E poi arrivi tu” è il singolo di apertura del mio nuovo EP “Non siamo le maschere che portiamo” e di fatto rappresenta un tributo personale alla musica in generale e alla chitarra, come strumento, in particolare».
Nel brano racconti il tuo incontro con la musica, che valore aggiunto ha dato alla tua vita questa forma d’arte?
«La musica è sempre stata presente nella mia vita, ma in forma passiva. Ho sempre cantato e ho sempre amato ogni cosa legata ad essa, il ballo compreso. Ma aver cominciato attivamente a creare musica ha aperto una porta che era sempre rimasta socchiusa. Ora è la mia migliore forma di espressione, una compagna di vita che mi cura e mi sostiene. Oggi posso dire che vivo quasi in funzione di essa. E’ il mio scopo primario e la mia maggior fonte di soddisfazione personale».
A livello musicale, invece, quali sonorità avete scelto per rappresentare al meglio il significato del testo?
«Come si evince facilmente dal brano, le sonorità sono inclazanti, briose ed accattivanti. Un pop rock che trasmette immediatamente voglia di muoversi. Però ho rinunciato consapevolmente a suoni troppo artefatti, ho rinunciato all’autotune e ogni altra diavoleria tecnologica. Tutto è suonato e cantato dal vivo, in presa diretta. Tutto è perfettamente imperfetto. Come la musica quando è vera».
Si tratta del primo estratto dall’EP “Non siamo le maschere che portiamo”, come mai la scelta di lanciare proprio questo pezzo?
«Onestamente è stato scelto questo brano in quanto il più adatto ad una programmazione radiofonica e quello ad impatto più immediato nell’ascolto».
Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip dirette da Michele Grecchi?
«La risposta è facile! Io suono la chitarra e la mia amica Valeria balla. Dalla mia vita annoiata e abitudinaria di donna che lavora e si occupa della casa e della famiglia, il lampo di vita arriva dalla musica, in ogni sua forma. Ed è l’unica cosa che mi fa sentire veramente appagata, perchè lascia spazio alla mia parte creativa».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come ti sei avvicinata alla musica?
«La musica l’ho sempre avuta nel sangue. A otto anni suonavo la tastiera ad orecchio e già con il flauto a scuola i maestri si erano accorti della naturale attitudine per il tempo, le melodie, il senso musicale, l’intonazione. Solo in famiglia questa dote non è stata presa seriamente, così non ho mai potuto studiare ed ho trascorso un’ infanzia e un’adolescenza turbolente, tra parecchi problemi famigliari. Finchè non sono diventata mamma, e q auel punto i problemi sono stati altri… ma di fatto non ho mai studiato.
Solo nel 2013 ho trovato il tempo di fermarmi e scendere da questa giostra, grazie ad un licenziamento che mi ha dato tempo e modo di guardarmi dentro. Ed è così che ho cominciato a scrivere… a quasi 44 anni. E a 46 ho imbracciato la mia prima chitarra, con cui a orecchio compongo e mi accompagno nei live. Per scaramanzia continuo a non studiare nulla però. Mi piace sapere che quello che faccio è quello che sono naturalmente».
Quali ascolti hanno accompagnato la tua crescita?
«Sono cresciuta ascoltando musica classica, Beethoven in particolare, musica classica russa (Borodin), i Pink Floyd, Alan Parson, Luciano Rossi, Fabrizio De Andrè».
Con quale spirito ti affacci al mercato e come valuti il livello generale dell’attuale settore discografico?
«All’odierno mercato discografico approdo disincantata, consapevole della poca importanza dei contenuti e dei meriti in un ambiente che ormai viaggia sull’onda dei consensi social e suddito delle facili apparenze. E poi oggi la musica non viene ascoltata. E’ troppo facile reperirla per darle il suo giusto peso. Non mi aspetto niente. Mi piacerebbe solo essere ascoltata ed apprezzata, perchè tutto quello che faccio è farina del mio umile ed economico sacco.
Non ho mai grossi budget da investire nelle produzioni, nè nella promozione dei miei lavori. E questo, oggi, fa la differenza. Ecco, mi piacerebbe si desse il giusto spazio a chi non può permettersi di spendere cifre esorbitanti. Per esempio, mi piacerebbe diventare autrice per altri interpreti e vedere cosa succederebbe delle canzoni che scrivo se andassero in mano a chi conta davvero nel settore».
Buoni propositi e sogni nel cassetto per il 2019?
«Il buon proposito del 2019 è divertirmi con la musica, spaziando tra diversi strumenti. Ho in corso un progetto acustico, oltre alla band già avviata. Un concerto a teatro di prossima realizzazione e un progetto con dei ragazzi meno fortunati. Il sogno nel cassetto è sempre quello: vorrei poter fare solo questo. Vorrei fare tanti live in giro per l’Italia. Vorrei continuare a scrivere canzoni. Vorrei che la gente mi conoscesse. E infine vorrei uno studio tutto mio dove poter comporre interamente la mia musica».
Per concludere, qual è il messaggio che ti piacerebbe trasmettere, oggi, attraverso la tua musica?
«Non ho la pretesa di inviare qualche messaggio in particolare. Nei miei brani c’è la mia vita, che non è stata per niente facile. Ci sono io lì dentro. Goffa, timida e nascosta, come sempre. Ma questo è quello che sono. Ci sono le mie paure, i miei sogni, i miei sentimenti. Qualcuno mi ha detto che si emoziona quando ascolta i miei pezzi. Che arrivano dritti al cuore. Ecco, questo mi basta. Sapere che qualcuno riesce a sentirmi».
Nico Donvito
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