Aka 7even: “La verità è una maschera che, più la indossi, più ti segna” – INTERVISTA

Aka 7even

A tu per tu con Aka 7even per parlare del suo nuovo Ep “Non x soldi”, fuori per Columbia Records / Sony Music da venerdì 2 maggio. La nostra intervista al giovane artista campano

A quattro anni dal suo ultimo album e dopo oltre un anno di silenzio discografico, Luca Marzano, in arte Aka 7even, torna con un progetto che segna un nuovo inizio. “Non x soldi“, il suo nuovo Ep, è molto più di una semplice playlist di brani: è una dichiarazione d’intenti, un viaggio intimo e maturo che mette al centro la musica, la scrittura e la verità.

In questo lavoro, Aka 7even abbandona le sovrastrutture per riscoprire il gusto del suonato, dando spazio alla sua anima di musicista e a una narrazione profonda, sincera, mai filtrata. “Non x soldi” è dunque un invito ad ascoltare senza distrazioni, ma anche a cadere senza paura, perché è nella vulnerabilità che si nasconde la forza più grande.

Lo abbiamo incontrato per parlare di identità, futuro, orgoglio, e del bisogno urgente di essere reali, in un mondo che spesso chiede il contrario.

Aka 7even presenta l’Ep “Non x soldi”, l’intervista

Partiamo dal processo creativo: com’è nato questo progetto e che sapore ha per te questo ritorno?

«Questo ritorno ha un sapore bello forte, perché rappresenta un’evoluzione sia umana che musicale. Il processo creativo è stato molto intenso, è durato quasi tre anni ed è stato fondamentale per tirare fuori cose che probabilmente avrei tenuto dentro. Musicalmente mi ha permesso di esplorare ciò che mi è sempre piaciuto: ho suonato molte parti, ho partecipato attivamente alla produzione. Ma soprattutto a livello testuale è uscito un lato di me che non sapevo nemmeno di avere».

Hai scelto un sound più suonato e autentico. Com’è stato riscoprire il tuo lato da musicista?

«È stato bello. Ai tempi del liceo musicale suonavamo con l’orchestra e amavo l’armonia che si creava tra gli strumenti. Non è la tecnica singola che fa la musica, ma la coesione. In studio eravamo in tre, quattro, cinque teste, tutte connesse. Questo ha reso il disco un posto dove chi entrava poteva davvero accedere al mio mondo».

Un tema ricorrente nel disco è la rinascita, sia personale che artistica. C’è stato un momento preciso in cui hai sentito la necessità di voltare pagina?

«Più che un momento preciso, sono stati tanti piccoli momenti. Più che voltare pagina, ho recuperato parti di me: ascolti che facevo da piccolo, gusti musicali, modi di scrivere. È nato tutto da un provino che mi ha fatto dire “questa è roba mia”, e da lì in poi, sessione dopo sessione, ho capito che quello era il suono giusto».

Nel brano “Non x soldi”, apri l’ascolto con una rima tra voce e croce. Cosa ti ha fatti pensare al tuo talento come ad una condanna?

«C’è stato un periodo in cui sentivo che si puntava tutto sulla mia voce, e mi sono chiesto se bastasse. Mi dicevano che avevo una bella voce, ma dovevo imparare a scrivere. Quella cosa ti resta. Ho voluto dimostrare che potevo fare di più: nel disco ho scritto tanto, e ho capito che la voce è uno strumento, ma non è tutto. Serve anche il resto».

Sempre nella title track dici: “la verità è una maschera che indosso”. Quanto è difficile restare autentici oggi?

«È difficile. Io sono una persona molto diretta, e questo a volte crea problemi. Ma preferisco essere vero ed educato piuttosto che fingere. La verità è come una maschera che più la indossi, più ti segna. Oggi il mondo ti spinge ad essere performante, ad essere fake. Ma io cerco sempre di rimanere fedele a me stesso».

Sia in “Stripper” che in “Sentimento criminale”, un altro tema ricorrente è l’orgoglio. Nei tuoi testi, l’orgoglio è visto più come un limite o come una forma di difesa?

«Entrambe le cose. Nel lavoro lo amo, nei rapporti personali no. Spesso l’orgoglio divide, specialmente se ti relazioni con persone orgogliose quanto te. L’ho vissuto anche io nel tempo: è come un’altra maschera, che a volte ti protegge, ma spesso ti allontana».

Parliamo di “Mi manchi 2”. Com’è nata l’idea di realizzare questo sequel?

«È nata dal bisogno di scrivere con più calma. Il primo “Mi manchi” era di pancia, qui invece c’è più ragionamento. È una dedica a un rapporto finito. Come un giocattolo rotto: puoi provare ad aggiustarlo, ma rimane la crepa. Nel brano c’è anche un inciso musicale del primo pezzo, come un filo invisibile tra i due».

Nel disco ci sono molte immagini forti. Qual è quella a cui sei più legato?

«La frase “il futuro è il mio passato senza l’ordine da rifare”, sempre in “Mi manchi 2”. È nata con due amici e co-autori, Vito Petrozzino e Alessandro Caiazza. Hanno saputo tirar fuori cose che nemmeno io sapevo raccontare. Più vado avanti, più mi rendo conto che alcune cose si ripetono, e quella frase lo rappresenta in pieno».

Qual è la traccia che ti è venuta più di getto? E quella su cui hai faticato di più?

«Di getto sicuramente “Stripper”, scritta in mezz’ora. Ho fatto top line, testo e strofa, e il ritornello l’hanno scritto Alessandro e Vito. È venuta fuori senza pensarci. La più complicata invece è stata “In una lacrima”, anche perché ci sono stati cambiamenti dopo la scrittura e ha richiesto quasi un mese di lavoro».

E qual è il brano che non vedi l’ora di cantare dal vivo?

«Sempre “In una lacrima”. È l’intro del disco e me la immagino come apertura perfetta di un live. La sento fortemente mia».

Chiudiamo con una frase che hai scritto nel presentare l’EP: “quando tutto tace, resta la musica”. C’è una lezione che la musica ti ha insegnato più di tutte?

«Sì: ascoltare sé stessi. Gli altri non potranno mai percepire al 100% quello che provi, quindi bisogna fidarsi del proprio cuore. Prendere ciò che viene da fuori, certo, ma filtrarlo. Cercare sempre di essere unici. È questo che fa la differenza».

Scritto da Nico Donvito
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