venerdì 22 Novembre 2024

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Ale Ice: “Racconto emozioni cercando di dare importanza alla verità” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore bellunese, fuori con il suo omonimo EP contenente quattro tracce

Tempo di nuova musica per Alessandro Minichino, in arte Ale Ice, cantautore classe ’99 che, a differenza dei suoi precedenti progetti, si presenta in una veste più intima e cantautorale, profondamente ispirata da ascolti anni ’70 e ’80. Quasi un cambio di rotta che in realtà si traduce come una nuova tappa del processo evolutivo del giovane artista bellunese, perfettamente a suo agio in questa veste che mescola la tradizione pop all’innovazione tipica dell’hip hop e della nuova scena urban.

Ciao Alessandro, partiamo omonimo nuovo EP, cosa hai voluto raccontare attraverso questo progetto?

«Ho cercato di raccontare più che altro delle emozioni, cercando di dare massima importanza alla verità. Ho quindi tentato di trovare la massima purezza possibile di suono e contenuto così da far arrivare all’ascoltatore parole e melodia in modo immediato».

A livello musicale hai spaziato parecchio, quali sonorità hai voluto abbracciare?

«Ho provato a lasciare un po’ da parte le radici rap, che penso si sentano comunque sopratutto a livello dei testi, provando ad andare verso il mondo cantautorale italiano del passato».

In “Prendimi la mano” svisceri le sensazioni di una delusione d’amore. Quali sono, secondo te, le principali difficoltà dei rapporti di oggi?

«L’unica cosa che posso dire è che probabilmente siamo tutti alla ricerca egoistica della realizzazione personale, cosa secondo me fondamentale per ogni persona, ma nella mia esperienza questo ha sempre influito molto in maniera negativa, non dando abbastanza importanza ai momenti semplici e quotidiani. Poi i problemi possono essere sempre tutto e niente. Ecco, probabilmente siamo generazioni che non credono nell’amore quanto dovrebbero».

“Nato fuori tempo” descrive un po’ la nostra attuale società, quali sono gli aspetti che principalmente non ti convincono di quest’epoca?

«Innanzitutto sono troppi ed essendo sotto gli occhi di tutti mi chiedo come mai non vadano a genio solo a me e a pochi altri. Se apro Instagram ad esempio vedo artisti mettersi in ridicolo o spogliarsi per poter attirare attenzione sui loro lavori, in più la massa è costituita da un età media molto bassa. Questa massa non fa altro che imitare i propri idoli in modo imbarazzante secondo me, le ragazzine si fotografano le chiappe e se quattro imbecilli non le fanno i complimenti, queste si prendono male. Le carriere sono in vendita, il denaro è sempre più il punto cardine, il che non è un problema essendo noi in un sistema capitalistico, ma lo è nel momento in cui viene a mancare qualsiasi altro punto a supporto, come il buon senso e la logica».

“Solo” è forse il brano più autobiografico, quello in cui ti racconti. Se ti guardi allo specchio che immagine vedi?

«Cerco di guardarmi raramente allo specchio proprio per evitare questa domanda, penso che da sempre i punti interrogativi più grandi li ho su me stesso, sul mio passato e su tutto quello che compone la mia immagine allo specchio. Un brano come “Solo” serve infatti per alleggerire il peso delle domande».

Infine in “Bambino” ripercorri le tappe fondamentali della tua infanzia. Che bambino sei stato?

«Mi hanno sempre detto che fin da piccolo caratterialmente sono stato molto tranquillo. Ho cambiato molti posti, da sud a nord, ho cambiato case, scuole e di conseguenza compagnie. Probabilmente anche questo mi ha reso sempre molto introverso». 

Quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?

«Mi ricordo che ascoltando la musica stoppavo il tempo e i pensieri, avendo così una sensazione di serenità totale e illusoria che solo la musica sapeva darmi». 

Quali ascolti hanno segnato e influenzato il tuo percorso?

«Sicuramente il cantautorato italiano prima di tutti, Masini, Vasco, Bersani, Venditti… Poi in piena adolescenza ho scoperto il rap italiano, con Fibra, Marracash e i Dogo. Sicuramente nasco dall’incrocio di queste culture. Anche se sono sempre più incentrato sul cantautorato». 

Come valuti l’attuale situazione musicale del nostro Paese? Cosa ti piace e cosa meno?

«Mi piace il fatto che il panorama musicale sia diventato accessibile a tutti. Ma non mi piace com’è diventato, essendo accessibile a tutti. Nella nostra scena si vede troppa quantità e banalità, a discapito della qualità. Gli artisti si assomigliano tutti, stessi temi, stesse sonorità e stessa apparenza. Vedo nascere continue copie di ciò che è tendenza, siamo pronti a tutto pur di rendere la vita facile agli ascoltatori». 

Per concludere, dove e a chi ti piacerebbe arrivare con la tua musica?

«Non saprei, sono una persona da “qui e ora”, sto dando il massimo per la musica e se darà i giusti frutti arriverà dove deve».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.