martedì, Marzo 19, 2024

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Alessandro Quarta: “Tra la musica classica e il pop non c’è nessuna differenza” – INTERVISTA

L’incontro con il violinista pugliese all’indomani della sua ospitata al Festival di Sanremo 2019

“Non esiste musica classica e musica leggera, esiste musica bella e musica brutta”, comincia con una citazione del compositore statunitense Leonard Bernstein la nostra chiacchierata con Alessandro Quarta, violinista di fama internazionale che abbiamo avuto modo di apprezzare sul palco del Teatro Ariston.

Ciao Alessandro, benvenuto su RecensiamoMusica. Vorrei cominciare dalla tua recentissima partecipazione a Sanremo in qualità di ospite de Il Volo nella serata dei duetti. Come hai vissuto questa esperienza?

«Direi benissimo, non mi aspettavo la chiamata di Michele (Torpedine, ndr) e dei ragazzi. Come puoi immaginare, per me è stata un’emozione importante, stimo profondamente questi tre artisti così giovani, la loro è una grande dote musicale e credo che abbiano ancora tanto da dare al pubblico, perché possiedono sia la tecnica che la testa, caratteristiche che non sempre vanno di pari passo».

Cosa ti ha spinto a collaborare con loro?

«Con i ragazzi abbiamo in comune la stessa grande passione, loro per il bel canto io per il violino, la capacità di unire bellezza, passione, morbidezza e violenza insieme, consapevole di quello che vuoi e puoi dare. Non ho mai fatto differenza tra musica classica e musica pop, apprezzo tutto ciò che arriva dritto al cuore e ti fa venire i brividi, indipendentemente che sia Mozart o Il Volo». 

Musicalmente parlando, invece, ci sono delle cose che non ti piacciono?

«Sicuramente, a me dà fastidio tutto ciò che si urla per farsi sentire, ma questo non per forza basta per farsi notare, anzi c’è il rischio che avvenga proprio il contrario, che il fastidio ti spinga a cambiare canale o stazione. Ho accettato di collaborare con loro perché li considero degli innovatori, certo non sono stati i primi, ma seguono il grande esempio tracciato da Luciano Pavarotti e proseguito da Andrea Bocelli». 

“Musica che resta” ha fatto storcere il naso a qualcuno, l’hanno definita una canzone troppo tradizionale, perché secondo te il termine “classico” è vissuto oggi come un’asserzione negativa?

«E’ semplice, tutto ciò che è etichettato è già di per sé pregiudizievole. Ti faccio un esempio, se mi vedi camminare per strada non penso che mi chiederesti mai che ore sono, perché dal mio aspetto posso sembrarti un evaso messicano, è molto più rassicurante qualcuno in giacca e cravatta che, magari, ti fotte il portafogli. Purtroppo è vero ciò che si dice, è l’abito che fa il monaco, la stessa cosa accade nella musica. Quello che consiglio a tutti è di ascoltare prima di giudicare, soprattutto ai giovani che sono più influenzabili di quanto possono immaginare».

Due anni fa sei stato premiato come Miglior Eccellenza Italiana nel Mondo per la Musica”, quale miglior interlocutore per la prossima domanda: come se la stanno passando l’arte e la cultura?

«Male, molto male, non sono per niente contento di come si stiano gestendo le nostre immense risorse artistiche. L’Italia sta vivendo di eredità culturale, ci vorrebbe maggiore responsabilità da parte delle istituzioni, che dovrebbero innovare e valorizzare il nostro presente, non soltanto il glorioso passato. Se tornassimo indietro nel tempo, tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, scopriremmo come i grandi della musica Erik Satie, Maurice Ravel e Claude Debussy non hanno riscosso subito successo, pur avendo riformato l’arte. Senza di loro, oggi, non avremmo quello che abbiamo».

Hai girato il mondo, conosci tante realtà, perché è un discorso anche di mentalità. Siamo amati in giro per il mondo per il bel canto all’italiana, perché fatichiamo noi stessi a riconoscerlo?

«Bella domanda, secondo me siamo un po’ troppo legati alle opinioni degli altri e ci fidiamo poco dell’istinto che ci suggerisce il tipo di emozioni che vogliamo provare. Spesso è solo una questione di mode, si segue il gregge piuttosto che tirar fuori la propria personalità elogiando i propri gusti. Poi, per carità, non tutto può piacere, ma perché criticare qualcosa prima ancora di conoscerla? Un piatto non va giudicato dall’aspetto, bisogna assaggiarlo e non fotografarlo».

Tu sei un musicista polistrumentista, cosa ti lega così tanto al violino rispetto a tutti gli altri strumenti?

«Non chiedermelo, non saprei cosa risponderti, per me il violino non è uno strumento, fa parte del mio organismo. Suono anche il pianoforte, la chitarra, il basso e la batteria, ma non c’è una risposta alla tua domanda, è come se fossi nato con l’archetto in mano, ho iniziato all’età di tre anni, fa parte di me e mi accompagna in giro per il mondo anche semplicemente riposando nella sua bella custodia (sorride, ndr)».

Parlando dei tuoi prossimi progetti, il 22 febbraio uscirà per il mercato italiano “Alessandro Quarta plays Astor Piazzolla”. Cosa puoi raccontarci a riguardo?

«Credo che sia molto importante riportare il tango alle atmosfere in cui è nato, dalla sensualità alla sessualità, tutto ciò che non si può dire a parole o vedere con le immagini può essere raccontato attraverso la musica. Come dicevamo prima, il violino non è soltanto uno strumento dolce e romantico ma, soprattutto, passionale. Per secoli è stato considerato noioso, in realtà non c’è niente di più rock ed erotico del suo suono».

Qual è la lezione più importante che senti di aver appreso da tutti questi anni di attività musicale?

«Innanzitutto che è importante il sacrificio, perché volere è potere. Forse, l’insegnamento che ho appresso è quello di rimanere sempre se stessi, anche quando nei momenti bui nessuno ti crede o fa fatica a capirti, è in quei momenti che viene fuori la tua vera anima, da quel preciso istante in poi le persone cominceranno a conoscerti per quello che fai e non per quello che sei».

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Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Nico Donvito
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Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.