A tu per tu con il giovane cantautore in uscita con il suo secondo progetto discografico “Senza filtri”
Ciao Alessio, bentrovato su RecensiamoMusica. Partiamo da “Senza filtri”, disponibile dal 7 settembre, com’è nato tutto il flusso creativo e cosa rappresenta per te questo nuovo album?
«Era da un bel po’ che non tornavo sul mercato con un disco, l’ultimo lavoro risale al 2016. Ho voluto prendermi del tempo per scrivere qualcosa che mi rappresentasse al meglio, mi sono fermato per ritrovare me stesso e fare una ricerca approfondita per capire in quale direzione intendo proseguire il mio percorso. Trovate le coordinate, sono riuscito a riprodurre fedelmente chi è oggi Alessio Bernabei».
C’è una qualche veste precisa che hai voluto dare alle tracce presenti, sia a livello di sonorità che di testi?
«E’ un album che mi rappresenta molto a livello testuale, contiene sei pezzi ed esprime in maniera concisa tutto ciò che voglio raccontare al mio pubblico. Come sonorità, ho voluto utilizzare l’elettronica in maniera diversa, meno EDM rispetto al precedente disco ma con più riferimenti agli anni ’80, come nel caso di “Non ti preoccupare”, sperimentando cose nuove come in “Ti ricordi di me?”, che strizza l’occhio al mondo rap, trap, hip hop, indie e tutto ciò che va in voga adesso. Mancava giusto il reggaeton (ride, ndr)».
In questo album hai cercato più di consolidare la tua identità artistica o sei andato all’avanscoperta di nuovi orizzonti?
«Ho cercato di trovare un compromesso tra scoprire chi sono veramente e approfondire la conoscenza di nuovi generi, ho viaggiato e mi ha fatto bene conoscere altre culture e altri punti di vista. Mi sono aperto molto a livello musicale, ascoltando dalle hit in tendenza ai generi meno attuali, è stata una grande ricerca, mi sento di poter affermare di aver ritrovato me stesso grazie alla musica. L’obiettivo era quello di creare un nuovo stile che piacesse in primis al sottoscritto, solo in questo modo si può essere convincenti e credibili agli occhi del pubblico».
Eliminato ogni tipo di filtro, credi di aver raggiunto il giusto equilibrio tra chi sei e chi vorresti essere?
«Forse si, anche se credo che un artista non possa mai ritenersi soddisfatto al 100%, riascoltando a posteriori un progetto trovi sempre la virgola che avresti voluto cambiare, tendi a volerti perfezionare. Diciamo che con questo album ho voluto rompere il ghiaccio, lo ritengo un primo episodio che ne introdurrà altri. Cercherò sempre di migliorarmi, non riuscirei mai ad adagiarmi sugli allori, bisogna sempre puntare a dare il massimo come in una continua lotta con se stessi, più che con gli altri».
Citando il singolo apripista “Ti ricordi di me?”, come si sente oggi il caro Jack all’alba dei suoi ventisei anni?
«Bene, mi sento proprio come ho descritto in questa canzone, ad oggi, quella che mi rappresenta di più. Parla in maniera metaforica del mio passato, che ricordo con il sorriso e senza rimorsi, Jack è il mio secondo nome e sono fiero di portare avanti in egual misura ciò che sono e ciò che sono stato».
In “Messi e Ronaldo” racconti una storia d’amore prendendo come riferimento due grandissimi personaggi del mondo dello sport. Com’è nata questa idea?
«Premetto di non essere un grande tifoso di calcio, l’idea era quella di mettere a confronto due numeri uno e, metaforicamente parlando, paragonarli a due eccellenze, anche in rivalità tra loro. Ho trovato interessante questo connubio tra la concretezza di una disciplina sportiva e un qualcosa di più astratto e sentimentale. Due persone che si amano, in quel preciso istante, sono per me due numeri uno del loro amore».
Cosa vuol dire per te “essere un numero uno”?
«Sai, con il tempo ho cambiato idea sulla risposta che sto per darti. Da bambino, quando suonavo nel mio garage, mi ripetevo che volevo diventare il numero uno, con il tempo ho mantenuto questo obiettivo ma ho capito che bisogna ambire a diventarlo per se stessi. Il successo vero è poter fare quello che ami per tutta la vita, che sia il palco della sagra di paese o quello di San Siro. Per la prima ho già dato, per la seconda ipotesi ci stiamo lavorando (ride, ndr). Scherzi a parte, a qualsiasi livello ti trovi, se hai la fortuna di fare quello che ami puoi davvero ritenerti soddisfatto».
Stai già pensando a come poter strutturare il tuo prossimo tour?
«Dopo il lancio del disco cominceremo a concretizzare tutto, mi piacerebbe suonare il prossimo inverno nei club, magari in location piccole ma piene. Ad un certo punto della mia carriera, ho come avuto l’impressione di aver bruciato le tappe, sono partito dagli stadi, passando per i palazzetti, fino all’Arena di Verona, mi sono sentito parecchio scombussolato. Anche se può sembrare demoralizzante visto dall’esterno, vivo questa cosa con grande filosofia, anzi, lo considero uno stimolo in più per ricominciare da capo, scalando ogni fase nel giusto ordine, con tanto impegno e ancora più fame di prima».
A cosa si deve la scelta di non inserire in questo disco “Nel mezzo di un applauso” e “Non è il Sud America”? Li consideri più parte del passato piuttosto che del presente?
«Esatto, facevano parte di un Alessio che non è più quello attuale. Considero questi due brani una fase di passaggio da “Noi siamo infinito” a “Senza filtri”, fanno parte di un 2017 che è stato per me un anno di svolta e di ricerca. Li considero due singoli distaccati tra loro e da qualsiasi altro progetto, che porterò comunque con me nel corso della mia carriera, riproponendoli nei live, perché sono stati apprezzati molto da chi mi segue».
A proposito di fan, come descriveresti il rapporto con loro?
«Semplicemente? Siamo cresciuti insieme. Le persone che mi seguivano per la moda talent sono scomparse, mentre chi mi apprezza davvero è rimasto. Questo per me è molto importante, perché saranno coloro che mi porterò dietro nel prossimo futuro, almeno spero. L’obiettivo di ogni artista è quello di allargare il proprio bacino, aumentando sempre di più il numero di fedelissimi per arrivare a più persone possibili».
Pubblico che stai per riabbracciare nel lungo e consueto instore tour. Come ti stai preparando fisicamente, ma anche psicologicamente, ad un calendario così fitto di date?
«Guarda, sicuramente il peggio l’ho già passato e credo di essere un campione di pesi massimi di firmacopie (ride, ndr). In passato con la band abbiamo fatto cinquanta giorni di seguito, con dei numeri di affluenza davvero impressionati data la sovraesposizione che si ha appena si è usciti da un talent. Mi preparo con grande positività, rivedrò tante persone che mi vogliono bene e che credono in ciò che faccio, sono pronto ad accoglierli uno ad uno con un forte abbraccio».
Se dovessi scegliere un’epoca del passato, quale decennio sarebbe più vicino al tuo modo di intendere il mestiere musicale?
«Sono un grande amante degli anni ’80, mi reputo molto vicino all’onda anglosassone e alla scena statunitense, dal primo Michael Jackson a Billy Idol, passando per David Bowie. Mi appassiona molto la new retro wave, questa corrente che prende spunto dalle sonorità di quel decennio e le ripropone contestualizzandole ai giorni nostri. Forse non dovevo nascere in quest’epoca, non ho vissuto in prima persona quello spirito, ma dai racconti di chi c’era mi rendo conto che si respirava più positività. La mia ancora di salvezza è la musica, senza questa fortuna non so quanto mi troverei in pace con me stesso e a mio agio in questo tempo».
Questa sorta di sterzata sociale l’attribuisci all’avvento del web?
«Anche, ma non del tutto. Non voglio fare la solita ramanzina che i social network hanno portato sia cose positive che negative, sono tutte cose stradette e chiare agli occhi di tutti. L’unica cosa che ci tengo a sottolineare è che il “virtualesimo” ha sminuito le emozioni, una volta chiamavi al numero fisso della ragazza che ti piaceva e correvi il rischio che rispondesse suo padre, mentre adesso te la cavi con un messaggio vocale e tutto è diventato alla nostra portata. Manca quel brivido che c’era allora, anche se non l’ho vissuto appieno, ricordo che il mio primo telefono era in bianco e nero, non aveva fotocamera e non si collegava nemmeno su internet. Si comunicava tramite uno squillo, c’era più spazio all’immaginazione e, forse, anche alle emozioni. Oggi si vive l’amore in un altro modo, magari davanti ad un film su Netflix piuttosto che davanti ad una bella cenetta in un posto romantico. Non voglio essere frainteso, la mia è solo un’analisi nostalgica, credo sia fondamentale stare al passo coi tempi, un po’ come i nostri nonni che hanno accettato l’avvento della televisione».
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«E’ racchiuso nel titolo del disco, ciò che voglio trasmettere alle persone con cui mi relaziono, è chi sono veramente. Credo che nella vita sia fondamentale la sincerità, perché ripaga sempre. Bisogna dire la verità, anche se rischi di incorrere in brutte figure o di risultare poco accondiscendente. Le persone che mi seguono mi conoscono e sanno come sono fatto, in questo disco ho voluto dimostrare, ancora una volta, tutta la mia trasparenza. Non voglio mettere in mezzo il karma o il destino, ma sono convinto che chi bluffa, prima o poi, venga smascherato. In questo momento della mia vita mi sento in pace con me stesso, così: senza filtri».
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Nico Donvito
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