Alex Wyse: “Viviamo amori che nascono in un giorno e finiscono in un’ora” – INTERVISTA

A tu per tu con Alex Wyse per parlare del suo nuovo singolo “Batticuore”, fuori per Artist First da venerdì 2 maggio. La nostra intervista al giovane artista
Cappello introduttivo – Intervista ad Alex Wyse
Dopo l’emozionante debutto sul palco dell’Ariston con “Rockstar“, Alex Wyse torna con “Batticuore“, il nuovo singolo uscito il 2 maggio per Artist First. Un brano fresco, ironico e irresistibilmente ballabile, che segna una nuova fase del suo percorso artistico: più libera, più matura, ma sempre fedelissima al suo stile.
Con “Batticuore“, Alex racconta l’amore nella sua versione più attuale e instabile: quello che arriva all’improvviso, confonde e svanisce prima ancora di essere davvero compreso. Una canzone che, tra sarcasmo e leggerezza, fotografa perfettamente il caos emotivo della sua generazione.
In attesa dei live al Fabrique di Milano del prossimo 24 maggio e all’Atlantico di Roma il 26 settembre, e dopo l’annuncio del tour estivo, Alex Wyse si prepara a volare oltreoceano con il Sanremo Giovani World Tour, un progetto organizzato dal Ministero degli Affari Esteri e da Rai, portando la sua musica in cinque grandi città del Nord America.
Lo abbiamo incontrato per parlare del nuovo singolo, di emozioni vere e “fake”, della paura di amare e del coraggio di salire su quel palco che per tanti è leggenda: l’Ariston.
Alex Wyse racconta il nuovo singolo “Batticuore”, l’intervista
Come è nato questo pezzo e cosa ti ha spinto a farlo uscire come singolo dopo l’esperienza di Sanremo?
«In realtà, “Batticuore” nasce un po’ come era nata “Rockstar”, guardandomi attorno e prendendo spunto dalle cose che vivevo. Viviamo in un’epoca in cui tutto è veloce: gli amori nascono in un giorno e finiscono in un’ora. Mi è capitata una cosa sulla mia pelle, era fresca e l’ho voluta raccontare. È una presa in giro, sono molto sarcastico nel brano, anche quando dico “fortunatamente era solo batticuore”: non lo so nemmeno io mentre lo dico, ma è un modo per convincermi che sto bene».
Hai collaborato con lo stesso team di “Rockstar”, i ragazzi de Le Ore. Com’è nata la costruzione musicale del brano?
«Tutto è partito da un giro di basso di Matteo de Le Ore. Da lì ci siamo lasciati andare, fantasticando e costruendo il brano con pensieri che avevamo dentro. Abbiamo sentito che era giusto e lo abbiamo seguito».
Tra le righe del testo si percepisce una certa paura di amare. Secondo te, da dove nasce questa paura che sembra molto presente nella tua generazione?
«Penso che tutto ruoti attorno al giudizio. In “Rockstar” parlo proprio di questo. Anche “Batticuore” prosegue quel discorso: imparare a guardarsi dentro, superare il giudizio e cercare cosa ci fa stare bene davvero. La chiave è tutta lì».
Nel brano usi una chiusura molto particolare: la risata finale. Di chi è stata l’idea di lasciarla?
«È successo spontaneamente. Avevo appena finito di cantare e mi è scappata una risata. Era perfettamente in mood con la leggerezza del pezzo, quindi l’abbiamo tenuta. Racconta da sola il messaggio finale: “Dai, lascia stare, prendiamola con ironia”»,
Dalla filofobia passiamo all’aristonfobia. È la prima volta che ci vediamo dopo Sanremo: come hai vissuto l’esperienza dell’Ariston?
«Mi sono divertito tantissimo. Penso che le esperienze passate mi abbiano aiutato a vivere il tutto con più pienezza. Prima ero travolto da troppe emozioni, ora riesco a gestirle meglio. All’inizio pensavo di morire (ride, ndr), ma è andata bene e me la porterò dentro per sempre. Non vedo l’ora di rifarlo».
Il tuo è stato un percorso lungo: dalle audizioni di Sanremo Giovani fino al palco dell’Ariston. Cosa ti porti dietro da questa avventura?
«Mi porto dietro un sogno realizzato, ma anche un inizio. Più di tutto porto con me l’idea di libertà, il concetto di Rockstar come modo di porsi nel mondo. E poi sì, l’orchestra suonava da Dio».
Nel 2025 ti aspettano nuovi palchi: Milano, Roma, il tour estivo e anche l’America con Sanremo Giovani World Tour. Sei pronto per questa esperienza oltreoceano?
«Non vedo l’ora. Sarà un’esperienza pazzesca: Montreal, Toronto, Miami, New York, Chicago… Un sogno. E pensare che due anni fa ero lì solo per turismo. Stavolta torno per cantare, ed è magico. Parto con la valigia piena di vestiti e spero di tornare con il cuore pieno di emozioni».
Visto che hai studiato in Inghilterra, ti piacerebbe costruire una carriera anche all’estero? L’inglese è la lingua a te più affine o c’è spazio anche per lo spagnolo?
«Sì, l’ho pensato spesso. Prima di tornare in Italia ero quasi convinto di fare solo musica in inglese. Poi ho riscoperto l’italiano e me ne sono innamorato. Però sì, mi piacerebbe tornare a cantare in inglese. Lo spagnolo? No, no hablo bueno, nada! Però è una lingua bellissima».
Per concludere, se potessi incontrare quel ragazzino che iniziava a sognare con la musica, cosa gli diresti? E quale tua canzone del tuo repertorio gli faresti ascoltare per prima?
«Non gli darei troppi consigli. Ogni errore mi ha portato dove sono oggi. Da piccolo guardavo troppo il giudizio degli altri e questo mi bloccava. Ti racconto un aneddoto: non sapevo giocare a calcio, e dove vivevo, se non giocavi a calcio, eri tagliato fuori. Ho passato un’estate a tirare la palla da solo contro il muro. L’anno dopo ero bravo e venivo accettato. Ma lì ho capito che non dovevo cercare l’approvazione degli altri. Dovevo cercare ciò che mi appassionava davvero. Quanto alla canzone, gli farei ascoltare “Batticuore” o “Gocce di limone”. Non una ballad, ma un brano up tempo. Così magari scoprirebbe anche altri colori di sé».