Spesso nella musica si parla di monotonia o scarsità d’innovazione facendo riferimento ai cosiddetti “big” della scena discografica ma spesso ci si dimentica di guardare a quel cosiddetto background che se solo avesse le possibilità saprebbe portare non poche novità. An electronic hero, all’anagrafe Federico Foria, è una di queste realtà oramai sempre più numerose. L’abbiamo intervistato in occasione dell’uscita sulle piattaforme digitali del suo secondo ep, Isoipstar, che ci ha raccontato unendo al suo racconto anche curiosità sul suo modo di vedere la musica.
Già a partire dal titolo del tuo ep si nota un certo carattere innovativo ed insolito in te: che cosa sono le “isoipstar”?
“Isoipstar” è un neologismo, una parola che non esiste creata da me. E’ la fusione di due parole: isopsie e star e, in parole povere, indica le linee immaginarie che uniscono le stelle ad una stessa quota. Il tutto sempre in una dimensione metaforica. Io sono dell’idea che quando si fa un album il titolo debba essere particolare.
Nel titolo quindi sta racchiusa la figura della stella, immagine molto usata dalla musica mainstream: per te e la tua musica che cosa racchiude?
Il fatto che è un’immagine molto comune nella musica tradizionale è vero ma è questa la bellezza: prendere qualcosa che ormai è sdoganato per parlarne in un senso più profondo come significato. Per me le stelle sono scoperta e magia: le “isoipstar” sono le magie che noi viviamo nella nostra vita, ad ogni età si scopre una magia diversa.
Dolcenera ha intitolato il suo ultimo album “Le stelle non tremano” che, da un certo punto di vista, può sembrare in linea con la tua idea: per lei l’amore riesce a far si che le stelle non abbiano paura e noi di conseguenza, per te sono le “isoipstar” a creare quel manto protettivo dalle paure terrene o è qualcosa di diverso?
La stella teoricamente è qualcosa che non esiste: nel momento in cui tu la guardi già non esiste più, però, rappresenta la tua aspirazione. Appunto perché è un’immagine così romantica molto spesso associarla a sentimenti molto superficiali come lo è l’amore, anch’esso molto sdoganato, è limitativo. La stella per me va ad indicare proprio questo: quella cosa che noi guardiamo, ammiriamo e inseguiamo non esiste già più. E’ il riassunto del nostro modo di vivere oggi, inseguire delle cose che già non esistono più.
Prima traccia è “earth 1989”, altro titolo che nasconde una storia alle spalle giusto?
Rappresenta la nascita. Il 1989 è l’anno della mia nascita ed “earth” l’ho usato per indicare l’idea che è racchiusa nel testo: il momento della nascita è l’unico attimo in cui noi siamo sulla terra, il momento in cui abbiamo un contatto viscerale con essa; tutto il resto è un viaggio nel sogno e nelle esperienze rimanendo legato solo in parte alla terra.
“Fireworks” è la seconda traccia che ripropone un’altra immagine abbastanza comune. Cosa indicano per te i fuochi d’artificio in questo brano?
A me piace molto utilizzare le immagini comuni per evidenziare quel poco che c’è dietro, è bello utilizzare immagini in un modo totalmente diverso da quello che viene proposto comunemente facendo riferimento a quello che c’è dietro. Il concetto che a me piace come titolo è quella che esprime come noi ci stiamo perdendo staccandoci dai bisogni terreni e l’immagine che abbiamo di quello che avevamo prima sono fuochi d’artificio. Nel momento in cui siamo lontani viviamo di ricordi: sono immagini che partono e nel momento in cui ricordiamo esplodono sono magnifici.
L’ep è chiuso da “After the universe” quasi a voler mettere un punto al viaggio compiuto fin qui. Cosa c’è dopo l’universo per te?
E’ impensabile per me che qualunque cosa finisca: io non so cosa c’è ai confini dell’universo, però so che c’è qualcosa e quel qualcosa è una scintilla che è ciò che muove tutto. In teoria non dovrebbe esserci nulla ma quel nulla è quel qualcosa che tiene insieme tutto.
Sei autore, compositore e arrangiatore di tutti i tuoi brani come mai non canti?
Non canto perché ho un’idea, anzi spero di avere un’idea, molto precisa di come si facciano le cose in modo professionale quindi ho messo un confine tra le cose che penso e so di far bene e quelle che non sono compito mio: il canto è una cosa che so non essere parte mia. Il mondo abbonda di cantanti oggi, e per me anche questa è una mia piccola rivoluzione: proporre un progetto dando importanza al musicista in un’epoca in cui conta così tanto il cantante. E’ un progetto in cui si deve dare importanza a tutto quello che c’è dietro. Chi mi ascolta deve fare una piccola ricerca su quello che c’è dietro una voce.
In tutti e tre i brani di questo disco dai testi emerge un senso quasi di sfiducia o sofferenza verso il mondo e la società che sembra aver creato un inganno sottolineato anche dalle atmosfere piuttosto cupe delle tue composizioni. Sono pezzi autobiografici e se si, perché vedi il mondo in questo modo?
Sono sempre dell’idea che quando qualcuno fa qualcosa che richieda il comunicare qualcosa debba essere obbligatoriamente autobiografico, si deve mettere se stessi in quello che si fa. Le atmosfere che si sentono nell’ep rispecchiano il mio essere che è giovale e ottimista ma pur sempre realista. Il mio messaggio è dire come siamo tutti eroi e tramite l’essere realisti che permette di reagire e cambiare le cose.
Sei sicuramente ancora in una fase primordiale per quanto riguarda la tua carriera: tra qualche anno dove ti vedi?
Do sempre una risposta che ho visto piacere molto. Quando ero piccolo due cose mi piacevano: suonare e giocare con i lego. In teoria ora la mia professione dovrebbe essere ingegnere civile. Tra qualche anno mi piacerebbe continuare a giocare con i lego e gli strumenti, sarebbe la cosa più bella di tutte perché quando si perde il sogno, il gioco, la vita è finita.
A quali artisti ti ispiri? Quale musica ascolti solitamente?
Il mio genere si etichetta soprattutto come elettronica ma io non mi sento così tanto legato all’elettronica. Sono cresciuto con il progressive rock anni ’70 e l’hard rock anni ‘80 e ora ascolto anche la musica disco degli anni ’90 oltre a qualunque cosa moderna da cui filtro quello che più mi interessa.
Cosa ne pensi della musica italiana?
Mamma mia (ride). La musica italiana di oggi ha una delle scene underground (ma molto underground) più belle del mondo. Dall’altra parte ha una scena dominata dalla major e dalle etichette discografiche medie che è quella che fa più pena del mondo. La musica italiana alta di oggi non ha spessore, non ha pensiero o arte nonostante abbiamo musicisti fenomenali o gruppi importanti che non riescono a sfondare perché fanno una musica diversa da quella che vogliono le grandi etichette.
Nella scena discografica attuale ci si aggrappa sempre di più su nuovi canali di comunicazione come i social e sull’aspetto esteriore degli artisti. A questo si aggiunge il fatto che l’elettronica sta pian piano prendendo piede presso il grande pubblico. Da parte tua esiste il timore che anche l’elettronica possa essere utilizzata come è stato fatto con il pop dalla discografia?
Si, purtroppo questa è già una cosa tangibile. La componente elettronica oggi è un po’ più forte nella scena musicale anche italiana ma purtroppo i veri estimatori del genere dovranno sempre lottare perché l’elettronica ha radici in generi non troppo apprezzati dal grande pubblico. Noi stiamo importando le cose peggiori della musica elettronica: non stiamo importando musicisti elettronici ma produttori o qualche leggero effetto che si poteva ascoltare anche trent’anni fa.
Un progetto coraggioso quello di An eletronic hero che non ha paura di fare una musica di qualità mettendo al centro la propria idea e non i tradizionali canoni imposti dalla discografia. Un viaggio fatto da tre tracce che costituiscono un vero e proprio percorso (cosa assai rara ai nostri giorni dove un disco appare sempre più un ammasso di canzoni che poco hanno a che fare l’una con l’altra) che porta l’ascoltatore a spasso nell’universo musicale che sta racchiuso in questo giovane ed interessante musicista dalle idee chiare. In bocca al lupo Hero!
Ilario Luisetto
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