Anastasio: “La musica mi insegnato l’importanza della libertà” – INTERVISTA

A tu per tu con Anastasio per parlare del nuovo disco “Le macchine non possono pregare”, fuori per Woodworm dall’11 aprile. La nostra intervista al rapper-cantautore
Tempo di nuova musica per Anastasio, che da venerdì 11 aprile renderà pubblico su tutti gli store il nuovo album “Le macchine non possono pregare”, il primo su etichetta Woodworm.
Un progetto ampio, che non comprende solo un disco, ma che sarà accompagnato anche da un fumetto o, come lo ha definito lo stesso artista, da una graphic novel in uscita per Edizioni BD.
Anastasio ha realizzato così una vera e propria opera rap, un’epopea poetica e urbana, un lavoro che ha richiesto cinque anni e che merita di essere ascoltato, assimilato e riascoltato.
Anastasio racconta il nuovo disco “Le macchine non possono pregare”, l’intervista
Come si è sviluppato il processo creativo di questo nuovo lavoro?
«È stato molto interessante perché per la prima volta mi sono confrontato con una persona, il poeta Davide Nota, con il quale abbiamo sviluppato il concept. Molte delle canzoni sono nate da un nostro dialogo, quindi insieme abbiamo individuato la direzione di molti dei temi trattati. L’album non è altro che una storia e in quanto tale c’erano tanti modi per svilupparla. È una piccola storia che passa attraverso le epoche, ed è nato tutto dai nostri fitti scambi epistolari su WhatsApp. La cosa bella è che di molte canzoni potrei tranquillamente ricostruire la storia attraverso la cronologia del mio cellulare, con alcune ci sono riuscito, con altre no perché alcune canzoni risalgono addirittura al 2020, a circa cinque anni fa».
L’hai definita un’epopea, un’opera rap, ma anche il tuo album d’esordio. Immagino che non si tratti di un voler rinnegare il passato, ma da cosa nasce questa sensazione di nuovo inizio?
«Si tratta del progetto in cui mi sono sentito veramente consapevole di tutto, dove mi posso ritenere realizzato e soddisfatto. Credo che ascoltando questo disco, chiunque possa dire che questo è Anastasio al 100%. Tutto mi rende orgoglioso di quanto realizzato, davvero. Come le parole e i suoni si incastrano, come riesco a parlare sia di argomenti legati all’attualità che di temi universali. Parlando dell’umano e della macchina, poi finisci per chiederti che cos’è l’umano e che cos’è il non umano. Mi rende fiero essere riuscito a raccontare Baudelaire e le rivolte del ’48, attraverso un pezzo rap. Insomma, credo di aver sentito fortemente questo album, al punto che ogni parola mi rende particolarmente fiero perché la sento mia».
Un’altra definizione che hai dato a questo lavoro è: “l’album che renderebbe fiero il ragazzino che sono stato”. Se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo per parlare con quel ragazzino, quale traccia di questo disco gli faresti ascoltare per prima e che consiglio gli daresti?
«Gli direi: “Stai tranquillo, tu un giorno pubblicherai un dischi che si chiama “Le macchine non possono pregare”. Puoi iniziare a godertene”. Poi gli consiglierei di comprare bitcoin. Scherzi a parte, gli farei ascoltate tutto il disco, nell’ordine in cui è stato concepito, partendo dalla prima traccia “La mosca” fino all’ultima, proprio perché la tracklist ripercorre una storia. Sono certo che rimarrebbe incuriosito, anche se non lo capirebbe subito al promo ascolto. E proprio questo che mi piaceva da ragazzino, crescere insieme a un album. Da fruitore, spesso ci mettevo anni per comprendere un disco, più crescevo e più lo capivo. Ed è probabile che questa cosa possa succedere a un ragazzo di oggi con questo lavoro, anzi è l’augurio che mi faccio. Spero succeda la stessa cosa, spero che qualcuno, sentendolo e non capendo, non si arrenda al primo ostacolo, ma che rimanga affascinato al punto da voler provare ad approfondire ascolto dopo ascolto».
Per concludere, qual è la lezione più importante che pensi di aver tratto dalla musica fino ad oggi?
«La musica mi insegnato quanto è importante la libertà con tutti i suoi rischi. La libertà non te la dà nessuno, te la devi conquistare da solo. E con troppa o poca libertà ci si può far male, ma è il prezzo da pagare per sentirsi in pace con se stessi».