A tu per tu con il cantautore romano, fuori dal 15 maggio con il nuovo singolo intitolato “Che Disagio“
A pochi mesi di distanza dalla nostra precedente intervista, ritroviamo con piacere Andrea Febo per parlare del suo nuovo singolo “Che disagio”, in uscita per Matilde Dischi/Dischi dei Sognatori dallo scorso 15 maggio. Scritto in collaborazione con Marco Rettani, il brano fotografa uno stato d’animo comune a molti, con quel guizzo d’ironia che contraddistingue da sempre le produzioni del cantautore romano.
Ciao Andrea, bentrovato. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Che disagio“, da quali intuizioni e da che tipo di riflessioni è nato?
«In questo periodo di isolamento ho letto molto, un giorno mi sono ritrovato con il dizionario in mano e, per curiosità, ho iniziato a leggere per approfondire la conoscenza di termini che, magari, non ho mai usato. Mi sono soffermato sulla parola “disagio”, la sua spiegazione esprimeva alla perfezione il mio stato d’animo, così ho cominciato a scriverci una canzone. L’idea è partita da questo, poi c’ho messo dentro delle immagini relative alla mancanza dell’amore o alla paura di essere giudicati. Questo brano va a toccare un po’ queste corde sentimentali».
A quali situazioni ti riferisci esattamente? Quali sono questi “bellissimi disagi” che canti nel brano?
«Sai, gira tutto intono all’amore, come molte delle mie canzoni. Il disagio che ho voluto raccontare è riferito a quando ti manca una persona, quando vieni giudicato in modo sbagliato dalla stessa persona che ami. C’è una frase molto forte all’interno della canzone, con un riferimento sessuale molto esplicito, l’ho fatto appositamente per non lasciare adito a libera interpretazione. In un rapporto di coppia ci sono tanti elementi, ho voluto includerli in questo pezzo, senza tropi giri di parole».
Nel corso della nostra precedente chiacchierata, realizzata in occasione dell’uscita del singolo “Giuda sputa“, avevamo appena iniziato la quarantena e abbiamo parlando di quello che era un po’ il tuo stato d’animo. Come stai vivendo questa seconda fase e questa graduale ripartenza?
«Guarda, per certi versi con un senso di liberazione, un conto è che tu decidi di stare rinchiuso per tua volontà, un conto è che tu sia costretto. D’altra parte non ti nascondo che ho un po’ di paura, alla fine sono ormai mesi che siamo bombardati dalla mattina alla sera da notizie, di persone che non ce l’hanno fatta e di ammalati che hanno sofferto tantissimo. Tutto questo ha messo nella mente della gente una sorta di paura, questa “tana libera tutti” un po’ di ansia me la mette, il pensiero di ritornare indietro non si può nascondere. Questa deve essere la fase della nostra coscienza, dobbiamo essere intelligenti, educati e prestare la dovuta attenzione a ciò che abbiamo imparato in questo ultimo periodo».
A livello discografico, sono stati fatti un sacco di appelli nei confronti di tutta la categoria, diciamocelo, in ginocchio. Come credi potrà uscirne l’industria musicale da questa ulteriore crisi?
«L’industria musicale ha sicuramente avuto difficoltà, un calo che hanno avuto purtroppo tutte le aziende. Quello che sta soffrendo e che sicuramente soffrirà di più è il settore dei concerti, le società che organizzano eventi e tutte le maestranze che lavorano intorno ad ogni singolo spettacolo, che in questo momento si ritrovano praticamente senza un mestiere, al contrario dell’artista o del cantante che, mettendoci la faccia, in qualche modo cerca di adattarsi e di reinventarsi. E’ difficile, non si sa neanche che soluzione trovare, quello che stiamo chiedendo al Governo è semplicemente di essere considerati come tutte le altre categorie».
Per concludere, stiamo vivendo una situazione di disagio, che messaggio ti senti di rivolgere a chi in questo momento vive nella più totale incertezza del futuro?
«Guarda, auguro a tutti noi di riprendere la vita che abbiamo inevitabilmente accantonato e, soprattutto, che si risistemi il mondo del lavoro perché è quello che in questo momento sta mancando, riprendere le nostre abitudini e ricominciare da ciò che abbiamo dovuto necessariamente lasciare in stand-by».
Nico Donvito
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