venerdì 22 Novembre 2024

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Andrea Tich: “Le mie riflessioni su un tempo che non ritornerà più” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore, in occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro discografico “Storia di Tich

E’ disponibile negli store digitali il nuovo disco di Andrea Tich, intitolato semplicemente Storia di Tich, inciso insieme alla Magister Espresso Orchestra. Il risultato è una suite composta da undici brani, un viaggio tra suoni e contenuti. Approfondiamo la sua conoscenza.

Ciao Andrea, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo album “Storia di Tich”, ci racconti la sua genesi?

«Quando ho deciso di scegliere le canzoni che avrebbero fatto parte del mio nuovo album, mi sono accorto che tutte avevano in comune visioni evanescenti e fantasie. Parlavano di sogni, ricordi e voli pindarici in mondi pieni di colori. Pensai che casualmente avevo trovato la caratteristica dell’album: avrebbe raccontato di sogni e ricordi.

Man mano che passavano i giorni, le idee si facevano più chiare e definite. Così pensai di creare un comune denominatore che delineasse  una continuità d’ascolto e che tutte le canzoni sarebbero state legate tra loro da interventi reali di gente comune che dice cose relative alla canzone successiva. La suite era quasi pronta, ma per una casualità che ha quasi dell’incredibile ho rincontrato Alessandro Sbrogiò, uno straordinario musicista e dotato scrittore, che grazie ad antichi collegamenti si riaffacciava nella mia vita. Da lì il brevissimo passo, la sua Magister Espresso Orchestra insieme a Claudio Panarello, mio fido batterista, avrebbero impreziosito l’intera suite con i suggestivi e meravigliosi suoni di un’orchestra vera».

Quali riflessioni e quali stati d’animo hai incluso in questo lavoro?

«Riflessioni su un tempo che non ritornerà più e che trasforma i ricordi in sogni, e i sogni che misteriosamente si insinuano nelle nostre notti regalandoci spesso viaggi assoluti e pieni di stimoli. Anche gli stati d’animo che in maniera incontrollata pilotano la mia vita, ispirandomi a comporre le canzoni che hanno raggiunto l’intento, lo scopo, l’estremo confine tra sogno e realtà».

A livello musicale, quali sonorità hai voluto abbracciare?

«Tutto capita per caso, non scrivo canzoni pensando ad uno stile o sonorità. Tutto capita per caso, a volte mi “auto-ispiro”, cioè le armonie, gli accordi, le parole diventano qualcosa che ha una sua precisa collocazione ed ecco allora che nasce una canzone stile anni ’80 o psichedelica o tipica pop. Sono loro, le note, che comandano. Noi siamo solo lo strumento fisico che esegue».

L’album è anticipato dal singolo “Megavita megamore”, cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip?

«La fortuna è che sono circondato da artisti che hanno numerosi punti di contatto con me. Jacopo Tich, della stessa stirpe che mi ha generato, è un vero talento col suo bizzarro workshop, ha realizzato perfettamente l’idea in video che volevo per “Megavita Megamore”. Avevo pensato di ricreare lo stile dei Beatles nel loro filmato d’addio “Let It Be”. Mi piaceva lo stile “in lavorazione”, aveva quel sapore di malinconica allegria forse un po’ forzata. Invece noi propositivi al massimo abbiamo enfatizzato la voglia di continuare a produrre musica. “Megavita Megamore” è una specie di trailer dell’intera suite: parla di tre momenti della mia vita vissuta tra sogni e speranze, una ballata agrodolce che rispecchia lo stato delle cose che trascorrono ma restano indelebili nella nostra anima».

Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?

«Per puro caso. Girava per casa una chitarra che aveva visto tempi migliori… gli erano rimaste soltanto due corde. Un giorno, avrò avuto 9 anni, l’ho presa in mano e mi sono divertito a posizionare le dita sui tasti accorgendomi che il casuale e gradevole suono che scaturiva da quella cassa armonica di legno, sprigionava in me meravigliose sensazioni che spalancavano le porte delle infinite combinazioni melodiche. Avevo scoperto la “mia” musica, quella che mi avrebbe accompagnato nel corso della vita… e ancora oggi lo fa».

Quali incontri e quali artisti hanno segnato la tua crescita?

«L’incontro chiave della mia vita artistica è stato senza dubbio quello con Gianni Sassi. Lui aveva creato l’etichetta discografica CRAMPS ma di fatto non era un vero discografico. Lui creava, inventava, produceva tutto quello che reputava avesse un valore artistico in tutte le sue declinazioni. E infatti fu proprio lui che accettò di pubblicare nel 1978 il mio primo disco dal titolo “Masturbati” e grazie a quello oggi posso proseguire la mia strada artistico/musicale e continuare a produrre le mie strane canzoni. Ma a noi piace così perché apparteniamo alla resistenza musicale.

Sono tanti gli artisti che mi hanno ispirato, per esempio Frank Zappa per me è stato una folgorazione, ha cambiato completamente il mio modo di comporre musica. La sua genialità, l’arte di creare musica in maniera così artigianale e inconsueta, stimolava in me la voglia di imitarlo. Anche il primo Battiato, con sue le atmosfere, gli intarsi di voci, formule fisico/idrauliche e le citazioni classiche (nell’album “FETUS”, il pianto di Battiato sulle note della Moldava di Smetana è struggente). Anche i Kraftwerk mi hanno ispirato, sarà anche perché le mie origini sono Tedesche. La loro musica è fatta con il cuore, e racchiude tutta l’energia con la bellezza e delicatezza delle armonie».

In che modo si è evoluto, secondo te, il mercato musicale? Ti senti rappresentato dalle attuali proposte discografiche?

«C’è stata un’evoluzione epocale del mercato musicale, soprattutto in questi ultimi anni. In parte è un bene perché il contatto e la diffusione sono più immediati. Per un’artista riuscire a fare arrivare la propria musica dove in tempi passati sarebbe stato complicatissimo, è fantastico. C’è però il rovescio della medaglia. Troppi musicisti contano esclusivamente sulle nuove tecnologie tralasciando quello che è autentica ispirazione. Molti si sono arricchiti “costruendo” a tavolino canzoni e musiche, ma in realtà questo succede da sempre. Io perseguo la mia linea musicale, poco mi interesso di quello che mi gira intorno, pur badando però alle novità interessanti che possono stimolarmi e ispirarmi e credetemi, ce ne sono parecchie in giro».

Venendo all’attualità, con quale spirito stai affrontando questo delicato e inedito momento?

«Lo sto affrontando con lo spirito di chi crede fortemente in quello che fa nonostante quello che stiamo vivendo. Questo disco è stato finalizzato in pieno lockdown, il primo, quello più spaventoso perché non sapevamo esattamente cosa stava succedendo. Ma abbiamo continuato fiduciosi. Ho scritto la canzone “Riavremo le ali”, bonus track nella versione CD, proprio perché volevo come tanti altri artisti cercare di esternare tutte le sensazioni che scaturivano dal terrore di essere in una trappola mortale».

Cosa ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà “Storia di Tich”?

«Abbiamo tutti bisogno di evadere, liberandoci da questa patina che ci ha costretti a rimanere chiusi ingrassando per la disperazione… Spero che “Storia di Tich” riesca a trasmettere quello che trasmette a me che vivo di fantastici voli nella fantasia. Lasciatevi andare all’ascolto e provate a vestirvi adattando il vostro io alle immagini che la musica vi regala, come un treno in corsa che non si ferma mai. Fatelo con serenità. Il mio alter ego Tich vi accompagnerà e vi canterà dolci melodie».

Storia di Tich Andrea Tich

© foto di Marzia Di Legge Benigna

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.