A tu per tu con la giovane artista lucana, in uscita con il suo EP d’esordio intitolato “Monolocale“
Veicolare le proprie fragilità attraverso la nobile arte della musica, questa la missione di Angelina Mango, cantautrice classe 2001 che stiamo imparando a conoscere grazie al suo primo lavoro discografico intitolato “Monolocale”, rilasciato lo scorso 13 novembre. Otto tracce che mettono in risalto l’animo sensibile e determinato dell’artista che, nonostante la sua giovanissima età, dimostra di avere una forte identità, uno stile ben definito e del tutto genuino.
Ciao Angelina, benvenuta. Partiamo da “Monolocale”, il tuo EP d’esordio che ho trovato molto ispirato ed evocativo nelle intenzioni, ma anche molto casalingo nelle produzioni. Come si è svolto il processo creativo e come si sono susseguite le fasi principali della lavorazione?
«Le tue impressioni sono giuste, perché si tratta di un disco scritto, realizzato e prodotto da me in casa, un lavoro assolutamente home made. Il fatto che in alcuni aspetti possa sembrare anche un po’ grezzo è estremamente voluto, un concetto che ho vissuto sulla mia pelle e che mi piaceva rappresentare, perché a volte tendiamo a rimandare, ad aspettare il momento giusto. Considerato il periodo e vista la mia età, mi rivolgo a chi ha voglia di trovare la propria strada nella vita, un modo per superare gli ostacoli e le limitazioni, portando avanti ciò che amiamo. Anzi, devo dirti che mi piace che si senta questo retrogusto casalingo, proprio perché è sincero, per questo ho voluto presentarmi così».
Nel disco c’è tanta ricerca, elementi di contemporaneità ma non solo. Quali sono gli ascolti che hanno influenzato la tua crescita? Tendi a cibarti di quale un genere in particolare oppure ti reputi piuttosto onnivora?
«Sono decisamente onnivora, però ho vissuto diverse fasi nella mia vita, in cui ho ascoltato generi e artisti differenti. Quando ero più piccola ascoltavo capisaldi della musica italiana e internazionale, anche perché crescendo con musicisti si impara a familiarizzare con la bellezza. Col tempo ho iniziato ad incuriosirmi da sola, ad ampliare i miei orizzonti, scoprendo dei mondi completamente diversi da quelli che conoscevo. Adesso, in realtà, ascolto tanta musica contemporanea, da Salmo a Tedua, passando per Ghali oppure Cosmo, anzi, penso che quest’ultimo mi abbia influenzato nelle produzioni di “Monolocale”, non volontariamente, perché tendiamo ad assimilare ciò che ascoltiamo».
E’ un progetto in cui vengono fuori la tua anima, le tue radici, le tue esperienze, la bambina che sei stata e la ragazza che sei oggi, ovvero la terra dove sei nata, la Basilicata, e la Milano che ti ha accolta negli ultimi anni. Come confluiscono nella tua musica questi mondi e approcci diversi?
«Sicuramente, la terra da cui provengo è molto calda, carnale e cruda. Di conseguenza, mi ha aiutata a vedere le cose in modo schietto, a volte anche più violento di quello che dovrebbe essere. Al tempo stesso, mi ha insegnato a restare sempre con i piedi saldi per terra, un po’ come una radice che mi sorregge. Milano mi ha dato la possibilità di aprire gli occhi, di incuriosirmi, di scoprire che oltre al mio ecosistema c’è tanto altro da scoprire, dandomi la possibilità di conoscere persone che mi hanno cambiato la vita. Sono innamorata di questa città e delle persone che ho trovato qui. Quindi, sia Milano che la Basilicata si completano e sono entrambe fondamentali per il mio percorso».
Chiederti come la musica sia entrata nella tua vita è scontato oltre che banale, ma c’è stato un momento in particolare, una qualche epifania, una scintilla che ti ha fatto dire “ok, è qualcosa di più di una semplice passione”?
«In realtà ho sempre fatto musica, non lo dico così per dire, ma quando ero piccola giravo per casa canticchiando cose a caso, disturbando la mia famiglia che magari stava cercando di fare altro (sorride, ndr). Diciamo che tutto è avvenuto in maniera molto naturale: iniziare a scrivere, produrmi delle cover, cominciare a smanettare su Logic. Insomma, ho seguito l’istinto, non ho mai scelto di farlo. Poi, chiaro, ho avuto sempre molti modi per confrontarmi e mettermi alla prova, arrivando a capire in cosa riuscivo e in cosa riuscivo di meno. La musica ha sempre fatto parte della mia vita in maniera normale, non avevo mai pensato a cosa fare da grande. Poi, finito il liceo artistico, ho dovuto prendere una decisione, quindi ho iniziato a ragionare in prospettiva, ma non ho alternative nella mia testa, questo sono e questo devo fare».
Tiziano Ferro sui social ha scritto una cosa bellissima, ha definito la tua voce rotta dalle tracce di Pino e piena dei colori di Laura, ma con uno stile tutto tuo. Una sintesi perfetta, a cui aggiungerei soltanto un altra peculiarità: il “ritmo” che si rifà a tuo fratello Filippo, anche lui musicista, in particolare batterista. La vostra è una famiglia unita, una famiglia di artisti e tu sei la più piccolina di casa. Tenendo conto di tutto quello che puoi aver assorbito, alla fine in questo disco ci sei tu, tu e nessun altro. Come stai vivendo dentro di te questo momento?
«Innanzitutto penso di essere stata fortunata, perché assimilare tutta questa bellezza, esperienza e talento, non può che essere un privilegio per me. In più, mi ritengo fortunata anche perché ho sempre fatto tutto da sola, cercando dentro di me il modo migliore per esprimermi, non ho mai avuto dei limiti o dei paletti, che avrebbero potuto darmi anche involontariamente delle presenze così ingombranti. Quindi, questo mio disco non lo considero un cominciare a muovermi con le mie gambe, bensì la conseguenza di tanti passi che ho fatto da sola, ascoltando e osservando artisti lavorare in maniera magistrale».
Perfezionare la tecnica senza tralasciare l’aspetto comunicativo, arrivando ad emozionare. In questo, lasciatelo dire, tuo papà è un talento indiscusso, uno dei pochi che è riuscito a coniugare entrambi gli aspetti, ma non ci è arrivato subito, ci ha messo un po’ di tempo per trovare una sua dimensione. Mentre invece mi impressiona positivamente vedere che in questo tuo lavoro c’è già un’identità, un’impronta, un carisma, uno stile ben definito. Questo è notevole e va sottolineato, seppur tu abbia davanti ancora un mondo di cose da fare e da imparare. Quali pensi siano i tuoi punti di forza e quali i punti su cui vorresti migliorarti?
«Migliorare è qualcosa che mi impongo per andare avanti, sicuramente non scriverei mai una canzone con la consapevolezza che quella precedente era migliore. Ogni cosa che faccio deve essere un tassello in più, non un passo indietro. In ciascuna esibizione devo dare il massimo, altrimenti sarebbe inutile fare musica, no? Detto questo, sono consapevole delle mie capacità, di quello che ho imparato negli anni. Scrivere è il modo migliore per esprimermi, questo lo avverto anche per l’effetto che ha sulle altre persone, perché quando arriva ciò che volevo dire in una canzone… posso considerarmi soddisfatta per aver portato a termine il mio lavoro. Sai, ho sempre cantato in modo naturale, mentre con questo disco ho scoperto anche dei modi nuovi di usare la voce, molte tracce sono cantate in maniera sussurrata.. perché, parliamoci chiaro, in un monolocale alle due di notte non potevo di certo mettermi a cantare ad alta voce, altrimenti i vicini chiamavano la polizia (ride, ndr). Avendo l’urgenza di realizzare queste canzoni, le ho incise sussurrando, per poi alzare successivamente il volume delle tracce al massimo, sperimentando un nuovo approccio, in cui non conta dove arrivi o quante note prendi, bensì tirare fuori quello che hai dentro, un po’ come sussurrare qualcosa all’orecchio di qualcuno. Questa per me è stata una bella scoperta».
Vivi a Milano, città che non è stata risparmiata dalle difficoltà e dagli orrori della pandemia, un po’ come tutta la Lombardia. Essendo tu giovanissima, con quale spirito stai affrontando tutto questo? Da una parte la gioia di un’indipendenza, di una carriera che sta partendo con l’uscita di questo EP, mentre dall’altra tutto quello che sappiamo. Beh, dev’essere una bella altalena di emozioni, no?
«Sì, se non avessi la musica probabilmente non starei bene. Vedere la città spegnersi, riaccendersi e poi spegnersi di nuovo… non è facile. Il primo lockdown è stato, per me e per tutti, una bella botta. Mi reputo molto fortunata nel poter portare avanti il mio lavoro e la mia passione, chiaro… mi piacerebbe poter salire su un palco e poter cantare le mie canzoni, ma so che succederà. Avevo delle date che sono state annullate, ma non fa niente, l’importante è stare bene in questo momento, essere in salute, quindi non posso lamentarmi di nulla».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica fino ad oggi? L’insegnamento più grane…
«La musica mi ha insegnato ad esternare le mie fragilità, a non tenermi tutto dentro. Non viene fuori nulla dal dolore o dall’amore se restano chiusi dentro un corpo, le emozioni bisogna raccontarle, cantarle, scriverle e dipingerle… buttare fuori tutte le sensazioni forti. La musica mi salva, anche perché a parlare non sono proprio brava (ride, ndr), perciò mi aiuta e mi ha insegnato ad esprimermi».
Nico Donvito
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