Annalisa: “Fare musica è il mio modo per risolvermi” – INTERVISTA

A tu per tu con Annalisa che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo disco “Ma io sono fuoco”. La nostra intervista alla popolare cantante savonese
È uscito lo scorso 10 ottobre “Ma io sono fuoco“, il nuovo album di Annalisa, un progetto in cui l’artista mescola pop contemporaneo, sonorità anni ’80 ed elettronica internazionale per raccontare un viaggio fatto di trasformazioni interiori, emozioni che scaldano e lasciano il segno. Undici brani pervasi dal simbolismo del fuoco, che simboleggia la scintilla creativa, la passione, la resistenza, ma soprattutto il cambiamento, la capacità di reagire, evolversi e affermare sé stessi. Il progetto è stato anticipato dai singoli “Maschio” (qui la recensione) e “Piazza San Marco” (qui la recensione) in duetto con Marco Mengoni.
Il titolo del disco, “Ma io sono fuoco”, risuona come una dichiarazione potente e consapevole: essere fuoco significa affrontare la vita con determinazione, anche quando tutto sembra volerti spegnere. In questa intervista, Annalisa ci accompagna dentro il suo nuovo mondo sonoro ed emotivo, tra testi sempre più affilati, collaborazioni importanti e una nuova stagione live che la porterà nei palasport di tutta Italia (qui tutti gli appuntamenti in calendario).
Annalisa racconta il disco “Ma io sono fuoco”, l’intervista
Nel nuovo disco si percepisce una scrittura ancora più diretta e pungente. Come ci sei arrivata?
«È un lavoro che porto avanti da tempo. Ho imparato a scrivere come parlo, togliendo il superfluo per arrivare dritta al punto. In questo album sono andata ancora più a fondo: l’ironia, che è sempre stata una mia cifra, si è fatta più tagliente, a tratti provocatoria. Mi diverte e credo sia anche un segno di crescita. Più vai avanti, più senti il bisogno di affermare chi sei davvero. Il disco segue un suo percorso emotivo: si apre con la rabbia di “Dipende“, che diventa malinconia in “Piazza San Marco“, si fa ironia in “Emanuela” ed “Esibizionista“, poi torna rabbia in “Avvelenata“, ma con più distacco, quasi prendendomi in giro. Alla fine resta solo il bisogno di un’amica a cui confidare tutto questo turbinio di emozioni».
Poco prima dell’uscita di “Bellissima”, avevi annunciato il pezzo come un Incontro tra Nada e Dua Lipa. Ascoltando “Esibizionista”, l’incrocio sembra tra Antonella Ruggiero e Lady GaGa. Com’è nato questo pezzo?
«È il pezzo preferito di mia mamma. Anche a me piace molto, anche se faccio fatica a sceglierne uno solo. È un brano ironico, divertente, uno di quelli in cui mi sono lasciata andare. Parlo del giudizio, dei cliché. Di come certe etichette ti vengano appiccicate addosso solo perché sei una “brava ragazza”. Ma poi, alla fine, ci caschiamo tutti in questi stereotipi. Musicalmente parlando, mi piace tanto l’elettropop, mi rappresenta sia nella parte emotiva che in quella più leggera. Lo avevo già esplorato in “E poi siamo finiti nel vortice”, ma qui c’è anche più calore, più fisicità. Si sentono gli strumenti, le dita che suonano: c’è più umanità».
Il fuoco è il filo rosso che unisce le tracce disco. Che significato assume per te?
«Il fuoco è trasformazione, è la capacità di reagire. Prendere qualcosa che fa male e farlo diventare un’opportunità, senza perdere sé stessi. In questo disco racconto tanto: ci storie mie, altre appartengono ad amiche, alcune me le sono inventate. È un mix di esperienze, osservazioni, riflessioni sul giudizio che subiamo e diamo, e parlo anche di come oggi si tenda a santificare o distruggere qualcuno in base a un dettaglio. In tal senso, il “ma” del titolo pone l’accento proprio sulla reazione, su ciò che di negativo possiamo ribaltare in opportunità. Magari abbiamo sofferto, ma se lo vogliamo possiamo cambiare, trasformarci senza perdere l’essenza, evolverci. Alla fine penso che questo sia l’unico modo per conservarsi, per non spegnersi: riuscire a mutare insieme alle cose che cambiano attorno a noi».
Nel disco figurano due collaborazioni con Marco Mengoni e Paolo Santo. Ma c’è una collega con cui ti piacerebbe lavorare? E perché in Italia le collaborazioni femminili sono ancora così rare?
«Non credo sia una questione di volontà, ma di incastri. È difficile far combaciare i progetti, bisogna trovare la canzone giusta, il momento giusto e il tempo per dedicarle il giusto spazio. Io sogno una collaborazione al femminile che sia davvero una bomba, qualcosa che faccia rumore. Mi piacerebbe anche lavorare con artiste più giovani, magari molto lontane da me per linguaggio o stile. Ma voglio che sia fatta bene. Le colleghe che stimo sono tante, di tutte le generazioni: serve solo l’occasione giusta».
Un’altra traccia centrale del disco è “Amica”, cosa racconta?
«È forse il brano che rappresenta di più l’intero album. C’è ironia, schiettezza, ma anche il bisogno di mostrare le fragilità, senza più nasconderle. Parla della necessità di avere accanto qualcuno che ti ascolti senza giudicare. Subito dopo arriva “Una tigre sul letto continua a parlarmi“, la coda finale. Lì parlo con i pensieri che non ti lasciano dormire, ma che nutrono la creatività. Mettere ordine tra le emozioni è un modo per comprenderle davvero».
A proposito del tour nei palasport, come ti stai preparando a questa nuova avventura live?
«È uno dei momenti che amo di più, mi diverte moltissimo. Non sono ancora entrata in sala prove con i musicisti, ma abbiamo già lavorato sugli arrangiamenti. Sarà uno show ricco, con una trentina di brani in scaletta, quindi durerà circa due ore. Ho fatto molta fatica ad escludere alcuni pezzi, ce ne sono diversi a cui tengo tantissimo. Anche se magari non sono mai stati singoli ufficiali, per me e per il pubblico hanno un valore speciale».
Per concludere, ti viene più semplice affrontare le situazioni di petto o buttarle già in musica?
«A dire il vero faccio fatica. Sono più portata a trasformare le cose che mi accadono in canzoni, piuttosto che affrontarle di petto. Ogni volta che provo a tirare fuori gli artigli, finisco per perdere il tempo giusto. Ma è lì che entra in gioco la musica: scrivere è il mio modo per risolvermi».