sabato 23 Novembre 2024

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Antonio Lombardi: “La musica mi ha aiutato a capire, crescere e rialzarmi” – INTERVISTA

A tu per tu con Antonio Lombardi in occasione dell’uscita “Canzone della Contea di Levante” progetto composto da un album e da un romanzo

Disponibile dallo scorso 27 settembre “Canzone della Contea di Levante”, il nuovo album del cantautore Antonio Lombardi che pubblica contestualmente anche l’omonimo romanzo in uscita per Squilibri. Di seguito la nostra intervista.

Partiamo naturalmente da “Canzone della Contea di Levante”, come nasce l’idea di articolare la narrazione sia in album che in un romanzo?

«Guarda io avevo in quel periodo pensieri sgarbati, maleducati, se avessi dovuto scrivere o cantare qualcosa mi sarebbe interessato come titolo dell’opera “la musica uccide”.
Avevo un conflitto interno un po’ burrascoso. La musica mi ha dato tanto, ma anche preso tanto, quindi facevo fatica a restare equilibrato. Poi invece un giorno ho cominciato a farmi un po’ di domande, molto semplici, volevo capire da dove avevo iniziato a suonare, perché mi ero avventurato su quello strano percorso di ricercatore di canzoni, così ho iniziato a scrivere su fogli di carta per veder se tornasse a galla qualcosa che mi tranquillizzasse un po’. Per lo meno mi aiutasse a capire meglio le scelte, gli errori. Invece il racconto è partito dalle mie radici e man mano che buttavo giù parole riaffiorava un mondo di un “macondo” nostrano, uno spoon river limpido cristallino, dovevo per forza partir da li per riuscire a capire.
Parallelamente si è delineata una storia di personaggi del mio territorio che poi è la “Contea di Levante”, come diceva spesso il mio amico Paolo Bertolani, voce importantissima del ‘900.
Così la voglia di riprendere la chitarra in mano è stata forte ed emozionante. Appena presa ha iniziato veramente a sgranchirsi a buttar fuori le prime note ed istintivamente ho cantato: “ti scrivo questa lettera per dirti ancora che mi manchi quando leggerai che t’amo”. Era mio padre che scriveva quelle lettere celestine via posta aerea che arrivavano durante l’anno e che mia madre apriva delicatamente. Lui, cuoco di bordo che aveva studiato ma che per sopravvivere si era imbarcato su vecchie carrette, petroliere con 10 persone d’equipaggio, girando i mari di tutto il mondo e sbarcando una volta l’anno. Da li ho capito che avevo intrapreso una strada di grandi verità, dove ogni parola era verissima e puntuale, avrei dovuto raccontare i vari personaggi che popolavano quella contea, ed erano tanti. Non mi sarei più fermato».

La striscia di terra stretta tra il Levante ligure e le Alpi Apuane fa da sfondo sia al racconto musicale che a quello narrativo. Cosa rappresentano concretamente per te questi luoghi?

«Sai noi liguri apuani siamo una razza anomala, abbastanza bastardi da metter in difficoltà i romani del console Marcello, ma io in particolare arrivo da due regioni la liguria da parte di mio padre, e la sardegna da parte di mia madre, quindi il territorio è molto radicato nei cromosomi, il mio fiume il mio mare le mie apuane. Vedi come sono mie».

Un progetto che esce a dodici anni di distanza dal tuo precedente lavoro musicale, un lasso di tempo voluto o casuale?

«Chiudo spesso roba nei cassetti. A riascoltarla a volte mi dico: ma come è possibile? Hai fatto uno studio su Sergio Endrigo su 200 brani con un inedito che parlava dal mio incontro con lui nel secolo scorso al festival delle nuove tendenze della canzone d’autore a Recanati, e poi cestino tutto. Insomma forse sono un po’ troppo severo. E’ passato tanto tempo e non me ne sono accorto. Ma sai non è mai arrivato denaro dalle corde della mia chitarra, quindi per me era normale cercare altri lavori per sopravvivere. Ora mi sento ricco d’animo».

Se di album in passato ne hai composti altri, in questo caso si tratta del tuo primo romanzo. Com’è stato metterti alla prova con questo genere di scrittura e quali principali differenze hai riscontrato rispetto alla forma canzone?

«Il racconto è stato l’apripista per farmi riscrivere in musica, ma musica e parola parlano la stessa lingua, raccontano gli stessi personaggi. Chiaramente la forma di canzone ha le sue regole, nella scrittura del libro sei più libero, nella canzone vanno trovate le parole con la loro musicalità, ma la strada doveva in questo caso portarmi esattamente nel solito luogo».

Che idea ti sei fatto dell’attuale scena musicale? Cosa ti piace e cosa meno?

«Ti sembrerà strano ma a volte resto incantato a sentire Eminem che canta sua madre, oppure Gemitaiz, che sa usare benissimo poesia metropolitana, ma so ascoltare tutti i grandi della scena italiana, resto assorto se riascolto Dalla. Ti posso garantire che a volte arriva roba davvero bella, ma il mondo è saturo. Basta stare un po’ attenti».

Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che pensi di aver appreso dalla musica fino ad oggi?

«Ho sofferto, ma mi ha anche aiutato a capire, crescere rialzarmi. Sai oggi farei fatica a riabbandonarla. No, non potrei più».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.