venerdì 22 Novembre 2024

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Attilio Fontana “Mi piace quando la musica riesce a smuovere un pensiero” – INTERVISTA

A tu per tu con l’artista romano, in uscita con il nuovo singolo intitolato “Gesù (l’ultimo comunista)

Tempo di nuova musica per Attilio Fontana, artista che ricordiamo per il successo riscosso negli anni ’90 con i Ragazzi Italiani, oltre che per il suo successivo percorso da solista, sia come attore che come cantante, anche attraverso la partecipazione televisiva alla terza edizione di “Tale e quale show”. Si intitola “Gesù (l’ultimo comunista)” il singolo che segna il suo ritorno, impreziosito dal featuring con Ivan Granatino, astro nascente dell’urban italiano. Il brano, disponibile in radio e sui digital store a partire dallo scorso 6 dicembre, anticipa il nuovo lavoro del cantautore romano, la cui pubblicazione è prevista nel prossimo anno.

Ciao Attilio, benvenuto. Partiamo da “Gesù (l’ultimo comunista)”, un titolo abbastanza provocatorio, cosa hai voluto raccontare in questo pezzo?

«Guarda, spero di fartela breve: è un’idea che ho avuto tantissimi anni fa, quella di realizzare uno spettacolo dove incontro per strada e per caso Gesù, con lui che non si ritrova molto in questo mondo notevolmente cambiato. Ovviamente, poi, si è tutto moltiplicato dal punto di vista della velocità, così ho deciso di trasformare tutto questo in una canzone. Il titolo prende spunto da una frase che ho sentito in giro che descriveva Gesù come il primo comunista in realtà, secondo me, è diventato l’ultimo, perché alla fine siamo tutti presi dal nostro iper-ego, da questa grande vanità, dal voler mostrare sempre tutto, occupandoci sempre meno degli altri. Mi piaceva l’idea che si aprisse un po’ un dibattito su questo argomento, anche se la cristianità e il comunismo possono sembrare due figure antitetiche, volevo raccontare questa solitudine di valori morali nella quale oggi ci ritroviamo. Non volevo che questo pezzo diventasse una predica, in fondo anch’io sono un po’ un esibizionista, l’obiettivo era quello di mettere l’intera nostra società allo specchio».

Infatti, “una società così esibizionista lui non l’aveva prevista” canti nella canzone. Quali pensi siano i principali aspetti negativi e quelli positivi di questo attuale momento storico?

«Mah, in realtà non sono un sociologo, ma è un argomento che mi appassiona. Dal mio punto di vista, essendo nato nell’epoca del gettone telefonico, ritrovarmi ad osservare il mondo dietro un monitor per me è strano. Oggi come oggi, siamo tutti costretti a misurarci con le classifiche, i numeri, i like, originariamente l’algoritmo poteva sembrare una comodità, mentre adesso stiamo diventando quasi schiavi di questa algoritmia sfrenata. Tutto ciò ci impone di andare a 300 all’ora ogni minuto della nostra giornata, onestamente non so se questo può avere un’accezione positiva, perché se stacchi sei considerato un misantropo o un asociale, se non stai al passo coi tempi sei di conseguenza escluso, quindi io credo che questa situazione generi solo una grande frustrazione. In questo enorme buco nero si tende a perdere di vista le cose semplici, come guardarsi o tendersi una mano. Da bambino per me Gesù era un supereroe, riconoscevo in lui una forza immensa perché dotato di un cuore grande, quindi mi piace l’idea che questo brano possa trasmettere questo concetto, soprattutto attraverso il videoclip».

A tal proposito, cosa aggiungono al brano le immagini del video ufficiale?

«Aggiungono forza a questa visione, viviamo in un’epoca fortemente legata alle immagini, quando ero piccolo ascoltavo centinaia di volte lo stesso disco facendo anche in reverse, oggi ci si annoia già dopo qualche minuto, per cui i videoclip diventano fondamentali per attirare l’attenzione. Ho voluto porre l’accento sul significato della canzone, che non vuole essere ironica, ma più sarcastica e più agrodolce, infatti abbiamo smontato l’arrangiamento diverse volte perché all’inizio sembrava quasi un brano alla Elio e le Storie Tese mentre, secondo me, la situazione più che comica è piuttosto grave. Ho cercato sonorità che aiutassero a smuovere una riflessione, per questo con il video non ho voluto realizzare qualcosa di didascalico, bensì rendere il racconto più urbano e attuale possibile. Tra l’altro quando ho scritto la frase del “rosario in bellavista” era prima che alcuni politici lo facessero veramente, come a dire… a volte la realtà supera di gran lunga la fantasia!».

Com’è nato l’incontro con Ivan Granatino e com’è stato collaborare con lui?

«L’incontro è avvenuto attraverso la mia etichetta, in particolare grazie a Massimo Bettalico, perché venivo da un disco più cantautorale e questa volta avevo bisogno di sentire l’asfalto, con Ivan abbiamo trovato subito una sintonia, anche se siamo diversi come artisti, la provenienza è simile. Abbiamo voluto entrambi scommettere su questo progetto, ci siamo ritrovati in coppia a raccontarci in un territorio un po’ di stallo, con questa canzone che, come dicevi tu, vuole essere un po’ provocatoria, un po’ forte, ma mi piaceva fosse così anche con il videoclip. Gesù viene messo dentro un ring subendo tutta la serie di archetipi che ti ho raccontato, arrivando al dodicesimo round, rischiando il ko, di fronte a persone che gli passano davanti e preferiscono chattare su WhatsApp piuttosto che cercare di capire chi sia. In fondo, se oggi incontrassimo davvero uno come Gesù sulla Tuscolana, forse nemmeno ce ne accorgeremmo».

Che ruolo gioca la musica, oggi, nel tuo quotidiano?

«La musica resta sempre il mio primo grande amore, scrivo canzoni, non sempre alla stessa velocità degli artisti di oggi, anzi ho impiegato circa due anni per ultimare quelle che faranno parte del mio nuovo EP. Lo considero sia un rapporto d’amore che di conflitto, perché poi vivo anche di teatro. Per me la musica è un po’ come il richiamo di una sirena che continua a cantare forte, in più sono molto affascinato e incuriosito dall’attuale modo di comunicare, ad esempio Achille Lauro è un artista che mi piace parecchio. Mi stuzzicava l’idea di potermi confrontare con la nuova scena, tirando fuori quello che ho dentro da anni, con canzoni magari meno romantiche e meno intimiste, ma al tempo stesso più contemporanee e, perché no, con dei temi sociali».

Come riesci a coniugare la tua attività teatrale con quella musicale? Sai, c’è un retaggio tutto italiano che non sostiene la poliedricità di un artista, mentre se vai oltreoceano ti rendi conto che il saper fare più cose è un vantaggio…

«Se Gesù è l’ultimo comunista, io in questo senso sono l’ultimo anarchico (sorride, ndr), perché mi sono sempre scontrato contro i discografici che mi dicevano “se fai una cosa non puoi fare l’altra”. Il teatro mi dà la possibilità di esplorare l’umano, ho studiato e sto continuando ad approfondire il mondo della recitazione con un grande coach che lavora con le star di Hollywood, un percorso che ormai ho intrapreso da oltre dieci anni, che mi interessa proprio a livello di ricerca. Essendo un creativo non riesco ad essere monogamo, a catalogarmi, mi annoia. Vedermi su un palco esclusivamente a cantare o recitare non mi affascina per niente, mi piace avere più cose da dire e anche mettermi alla prova. Capisco che possa essere considerato poco comodo, però mi piace contraddirmi, adoro esplorare e fare ricerca, nonostante la mia età non sia più adolescenziale, la musica è in grado di tirar fuori la mia creatività senza limiti o vincoli».

Che rapporto hai con il tuo passato? In particolare con i tuoi esordi con i Ragazzi Italiani, ricordo che avevate raggiunto un successo incredibile

«Sai, sono grato a quell’esperienza, non mi và di rinnegarla, anche se sono sempre stato famelico, pieno di voglia di esprimermi con cose mie, ero già proiettato in questa specie di adolescente che, per assurdo, germoglia adesso. È stata un’esperienza fortissima a livello umano e professionale, abbiamo fatto tornei mondiali e venduto qualche milione di dischi, lo considero un po’ uno tsunami nella mia vita. Calcola che non essendoci i social network, la percezione del successo era molto diversa, pensa che avevamo un ufficio dove arrivavano circa mille pelouche al giorno, più una vagonata di letterine, ai tempi il consenso del pubblico era più viscerale e tangibile. Ricordo queste piazze piene di gente dove venivamo scortati dalla polizia, diciamo pure che sono stato uno dei Beatles e per qualche anno (ride, ndr), solo che andava tutto talmente veloce che non ho dei ricordi nitidi. È difficile da spiegare, però mi reputo fortunato perché all’età di 22 anni ho vissuto cose uniche e pazzesche, con tanti lati positivi ma anche qualche aspetto spiacevole, perché comunque vivi dentro un tritacarne, non sempre puoi dire la tua e questa cosa era diventata un po’ frustrante, soprattutto crescendo, ma quando ti capita un successo così popolare queste cose accadono spesso, anche ad altri artisti con cui mi sono poi confrontato. In molti abbiamo pagato un po’ lo scotto di un successo così improvviso in età giovanile, non potendo autogestirti essendo un cucciolo, qualcuno fà di te qualcosa di molto simile ad un hamburger…».

Poi è arrivato Sanremo ’97, eravate in gara con “Vero amore” accanto a mostri sacri della musica leggera italiana. Cosa ricordi di quell’esperienza?

«Beh, era l’anno di Patty Pravo con il pezzo di Vasco, c’era anche Alex Baroni che era un amico carissimo, Niccolò Fabi con “Capelli”, Nek con “Laura non c’è” e poi era l’anno della vittoria dei Jalisse, che comunque è rimasta alla storia. È stato bellissimo, ricordo che mi sono veramente “cagato sotto”, quel palco è tremendo, molto emozionante, perché rappresenta sia la storia che il DNA di noi italiani. Saremo è il tempio della nostra educazione culturale e musicale, ho tanti ricordi, in particolare questo esplodere così all’improvviso, una cosa che non ti puoi programmare ma succede, il pubblico ad un certo punto chi sceglie senza lasciarti neanche il tempo di realizzare. Mi dispiace non essere stato totalmente consapevole all’epoca, oggi avrei capitalizzato e mi sarei goduto molto di più dei momenti che magari potevano sembrano scontati».

Nel 2013 hai partecipato e ti sei aggiudicato la vittoria della terza edizione di Tale e Quale show, c’è un’esibizione che ti è rimasta particolarmente nel cuore?

«Sicuramente quelle di Lucio Battisti, Rino Gaetano e Francesco De Gregori, ma anche Lucio Dalla con cui ho collaborato e scritto canzoni, abbiamo lavorato insieme per circa due anni per la “Tosca”. Anche l’interpretazione di Ornella Vanoni è rimasta molto impressa (ride, ndr), onestamente non avrei mai immaginato di vincere un programma da imitatore, per me è stata una bella sfida, anche per fammi rivedere dopo anni di studio e di teatro, le persone hanno cominciato a conoscermi. perché prima mi dicevano che ero bello, poi finalmente anche che sono bravo. Sinceramente mi reputo una persona curiosa e anche talentuosa, che merita di poterlo fare questo mestiere, nonostante il successo rapido ottenuto in giovane età, che di certo non può marchiarti a vita, perché si può anche crescere e migliorare, io credo di averlo fatto».

Riguardo ai progetti futuri, invece, cosa puoi anticiparci dell’EP attualmente in lavorazione?

«Navigo un po’ a vela, non sono poi così certo di quello che ti dirò, ma questa esperienza del featuring non mi dispiace, così negli ultimi giorni ho cominciato a pensare che sarebbe bello poter ampliare le collaborazioni anche nel resto del progetto. Ho dei brani che mi piacciono molto e mi incuriosisce poterli ascoltare e condividere in duetto con altri artisti. Ora non so se succederà o meno, però quest’idea mi stuzzica».

Per concludere, a chi ti piacerebbe arrivare attraverso la tua nuova musica?

«Mi piace quando una canzone riesce a smuovere un pensiero che non sia qualcosa di prefabbricato o di scontato, vorrei che sia questo brano che quelli successivi riuscissero ad aprire un dibattito, il fatto che qualcuno possa riflettere su ciò che ho scritto per me è già una vittoria, che ci si trovi d’accordo o meno non importa. Non tutti oggi sviluppano questo tipo di capacità,  perché ci si accontenta con facilità di canzoni con all’interno frasi scontate o marchi di magliette, senza volersi avvicinare ad alcun tipo di analisi, cosa che tanti artisti che ho amato molto hanno sempre fatto in passato. In quest’epoca si tende a digerire tutto, senza nemmeno masticare e sapere realmente cosa stiamo mangiando».

© Foto di Matteo Casilli

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.