A tu per tu con il rapper romano, in uscita a partire dal 10 maggio con il suo nuovo album “Transition“
Tempo di nuova musica per Marco Donisi, in arte Blayk, in uscita con il suo nuovo progetto discografico “Transition”, realizzato dalla neonata etichetta indipendente N.I.C. United della Nazionale Italiana Cantanti e distribuito da Believe Digital. Tredici tracce in scaletta, tappe di un viaggio fatto di interessanti sonorità e l’ispirato flow che contraddistinguono la cifra del giovane rapper. Un racconto che parte dal suo personale percorso di vita, che attraversa confini spazio-temporali per infondere un messaggio di speranza, invitando l’ascoltatore a trovare la forza di reagire aprendosi a nuovi orizzonti. A sette anni di distanza dal precedente progetto d’esordio “La fenice”, l’artista torna con una nuova e ritrovata consapevolezza.
Ciao Marco, partiamo dal tuo nuovo album “Transition”, cosa racconta?
«Come si evince dal titolo che ho voluto dargli, questo album racconta la mia personale “fase di transizione”. Nello specifico, sono arrivato ad un punto della mia vita in cui mi sono reso conto che quasi tutte le azioni che svolgevo nel quotidiano, in realtà, erano tutto ciò che avevo sempre detestato. Fino a quel momento non ne ero consapevole e non riuscivo ad avere una visione chiara della causa del mio malessere. Ho sentito il bisogno di dover raccontare a qualcuno ciò che mi stava accadendo. Quindi, chi meglio della musica poteva ascoltarmi senza giudicare?».
Da quali considerazioni iniziali sei partito e a quali conclusioni sei arrivato?
«Inizialmente non avevo idea di come strutturare questo disco. Sapevo di dover fare una roba che mi rendesse distinguibile rispetto alle tendenze. Non mi interessava seguire le mode, avevo solo la necessità di esprimermi. Questo mi ha guidato durante tutta la stesura dei testi e sono convinto di essere riuscito nel mio intento».
Quali sono le tematiche e le sonorità predominanti di queste tredici tracce?
«Vengono affrontati argomenti per lo più di natura personale, ma che riguardano un po’ tutti; le tematiche si contrappongono a quelli che sono gli stereotipi sociali. Oramai quasi nulla si fonda più su valutazioni personali e la maggior parte delle persone tende a ripetere meccanicamente azioni ed opinioni. Sono presenti però anche pezzi che parlano di storie d’amore. Per attenuare tematiche così d’impatto e dirette, ci siamo aperti a sonorità totalmente nuove, con l’intento di rendere tutto più melodico ed io stesso mi sono divertito nello sperimentare nuovi flow».
Chi ha collaborato con te in questo tuo nuovo lavoro?
«Appena ho deciso di voler scrivere il disco, ero un tantino fuori allenamento e non sapevo a chi rivolgermi per cominciare il progetto. Avevo messo da parte la musica in quegli anni e di conseguenza avevo perso tutti i contatti. C’è Francesco, un mio amico d’ infanzia, un vero talento nel suonare la chitarra, con il quale ho iniziato a buttar giù le prime idee. Prima non ho avuto modo di lavorare così seriamente a qualcosa con lui, infatti ci siamo trovati da subito sulla stessa lunghezza d’onda e le cose hanno da subito preso la giusta direzione. In seguito ho conosciuto Gianluca (GLN), che ha curato quasi tutte le produzioni del disco.
Sono stato fortunato da questo punto di vista perchè anche con lui c’è stata un’intesa istantanea. Come dice Big Fish, il producer deve essere lo “psicologo” del rapper. E così è stato perchè lui ha perfettamente capito cosa volevo trasmettere ed ha trovato il mood perfetto per farmelo esprimere. Per i featuring ho scelto il mio fraterno amico Twice, anche lui un rapper molto promettente, e Fedy, la mia ragazza, che con la sua voce candida crea un bel contrasto con la mia, che è molto profonda. Lei compare nei ritornelli di “Le sorriderò (nonostante tutto)” e di “Non siamo solo questo”».
Si tratta del primo progetto discografico della neonata N.I.C. United, l’etichetta della Nazionale Italiana Cantanti. Quanto sono importanti per un artista emergente questo tipo di realtà indipendenti?
«La Nic è sicuramente una realtà importante e può essere il trampolino di lancio per un artista emergente che vuole affermarsi. La strada è lunga e la concorrenza è tanta, ma la Nazionale Italiana Cantanti dà principalmente l’opportunità di farti esibire in contesti che fanno crescere e danno visibilità e questo è un vantaggio notevole rispetto ad altre etichette indipendenti».
Quando hai capito che la musica, oltre che una valvola di sfogo, poteva diventare per te un vero e proprio mestiere?
«Diciamo che la musica mi ha sempre accompagnato nei momenti più delicati della mia vita, mi è sempre stata vicina nel momento del bisogno, seppur per un lungo periodo l’abbia trascurata. Oggi non è ancora il mio mestiere, perché attualmente mantengo il posto lavorativo che mi permette di sostenere le spese per fare musica appunto. Sto lavorando h24 e investendo più di quanto ho per far di questa passione, la mia professione. Sono dell’idea che la perseveranza ripaghi».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?
«Ho cominciato come la maggior parte, ascoltando l’Hip-Hop Americano. Quindi Tupac, Notorius, 50cent, Eminem e molti altri. Dopo un po’ di tempo ho scoperto che anche in Italia c’era chi faceva Rap. Ho iniziato ad ascoltare un po’ tutti, in particolare il TruceKlan, Noyz Narcos poi i Club Dogo e tutta la Dogo Gang. Ma quello che più mi ha influenzato è stato Marracash».
Ti senti rappresentato dall’attuale scenario hip hop italiano?
«Se hai ascoltato “Passo e chiudo – Rap samurai”, sicuramente troverai la risposta. Negli ultimi anni l’Hip-Hop si è preso lo spazio che prima non aveva. Diventando mainstream, ha perso di consistenza nei contenuti. Del resto, in Italia la realtà che ci può essere in un quartiere non è paragonabile a quella che c’è in un ghetto in America. Quindi penso che la cosa migliore, per restare credibili e per far arrivare il messaggio, sia quella di trattare argomenti attinenti alla realtà in cui ci si trova, senza giocare a fare i Gangsta per essere presi in considerazione. Ci sono però anche esponenti della nuova scuola in particolare, che trovo molto validi e con i quali in futuro avrei piacere a collaborare».
Cosa aggiunge “Transition” al tuo percorso artistico e quali innovazioni possiede rispetto al precedente lavoro “La fenice”?
«”La Fenice” è un mixtape uscito nel 2012, registrato in un garage e rappato su type beat trovati qua e là sui siti. Lo ritengo anche quello un lavoro valido per l’epoca, pur non avendo nulla a che vedere con “Transition”. Chi ascolta “La Fenice” e poi “Transition”, si rende conto dell’evoluzione da tutti i punti di vista. In “Transition” il linguaggio è più ricercato e non accessibile a tutti. Ho curato molto anche l’aspetto lirico e posso dirti che è stato un disco che mi ha fatto crescere sia come persona che come artista».
Dove desideri arrivare con la tua musica?
«Penso che arriverò dove merito…»,
Per concludere, quale messaggio vorresti venisse recepito dal pubblico, oggi, attraverso le tue canzoni?
«Quando scrivo una canzone, lo faccio principalmente per me stesso. Ma so bene che la musica è un potentissimo mezzo per trasmettere qualcosa di positivo, la “missione” di un artista autentico è anche questa. Mi auguro che chiunque viva una condizione come la mia, in un contesto che non gli appartiene, all’interno di “schemi imposti”, possa trovare attraverso le mie canzoni, la forza di reagire per VIVERE, perché la vita ti regala un sorriso, sta poi a te decidere se ricambiare».
Nico Donvito
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