sabato, Aprile 27, 2024

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Calcutta come Dante Alighieri: “2 minuti” per una “Vita Nova”

La poetica di un incontro d’amore (mancato) tra musica e letteratura

“Scrivo le canzoni per creare sensazioni, paesaggi, cose”, afferma Calcutta in un’intervista. Con il testo di “2 minuti”, primo singolo tratto dall’album “Relax”, fa anche di più: crea un collegamento diretto con l’illustrissimo Dante Alighieri. Ecco perché.

Nella canzone di Calcutta, il tema dell’incontro, volutamente mancato, con un amore passato o impossibile, richiama la “Vita Nova” dantesca, dove lo scrittore racconta come la dinamica degli incontri con Beatrice lo ha fatto prima innamorare (“questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo di due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via, volse gli occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia [ …] mi salutò”) e poi soffrire, negando il saluto in un successivo incontro (“dico che in poco tempo la feci mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia; onde molte fiate mi pensava duramente. E per questa cagione, cioè di questa soverchievole voce che parea che m’infamasse viziosamente, quella gentilissima, la quale fue distruggitrice di tutti li vizi e regina de le virtudi, passando per alcuna parte, mi negò lo suo dolcissimo salutare, ne lo quale stava tutta la mia beatitudine”).

L’elemento che differenzia i due testi è  la dimensione temporale: il lasso di tempo dilatato dell’Alighieri che incontra per la prima volta Beatrice quando è una bambina di nove anni e dovrà aspettare altri nove anni per ricevere il saluto dalla donna, diventa quello ristretto di “due minuti” in Calcutta che deve decidere lesto se affrontare la persona amata o cambiare strada. Dunque, l’attesa contro la rapidità fulminea rispetto a un incontro inaspettato con un comune denominatore: l’indecisione e l’impaccio che porta a risolvere in modo inadeguato la circostanza. Calcutta, infatti, cambia strada per evitare fisicamente la persona (“Come un lampo sopra la città Ti ho vista in un angolo da sola nel traffico Ma magari non eri neanche te E ho accelerato il passo per andare via”) mentre Dante maschera il sentimento reale, rivolgendo il saluto a un’altra donna. Quello che rimane è una tempesta emotiva annichilente (“Il mio cuore è nel panico, la faccia d’intonaco Ma magari non eri, magari non eri neanche te”) e il travaglio interiore che trasforma la beatitudine (“parve allora provare tutti li termini della beatitudine”) in turbamento.

Come uno scrittore stilnovista, Calcutta idealizza i particolari più amati della persona amata, mantenendo la giusta distanza che si deve alle icone sacre (“E pensare a te, alle tue braccia Forse è l’unica cosa che mi salva È come se nel pensare a te, alle tue labbra Forse è l’unica cosa che mi salva, oh no, oh no, oh no”) e irraggiungibili. In Calcutta non c’è nessun richiamo ai dettagli della relazione amorosa, perché, probabilmente, come in Dante, la storia è tutta nella testa, nel cuore e nel corpo dell’innamorato; un dato interessante perché allinea il testo all’idealizzazione del Dolce Stilnovo e, insieme, alla possibilità che possa ancora concretizzarsi, forse. Un avverbio che apre il cuore di ogni cantore d’amore all’infinito, anche quando questo si consuma in quei “Due minuti”, dove “tutti i pensieri da dimenticare e da lasciare qui”, su un piano di realtà che ci fa dire, “ma poi non va mai così”.

Perciò cosa resta se non trasformare il leopardiano arido vero in un racconto collettivo, (“E ho scritto un vangelo che parla di tе”, anche se “Ma ormai è troppo tardi e ho paura di dirtelo, oh”) in questa perenne incapacità di intraprendere un’azione e portarla fino in fondo; proprio come fa Beatrice con Dante, quando infrange le regole e lo saluta inaspettatamente. E se Calcutta avesse lo stesso? Cosa sarebbero stati quei due minuti, se avesse infranto le sue resistenze interiori?

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.
Francesco Penta
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Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.