venerdì, Marzo 29, 2024

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Canzoni sopra le nuvole: i testi sospesi tra la testa e il cielo

Tutti i testi delle canzoni dedicate al cielo

L’estate è già rovente, anche se appena cominciata. Troppo caldi noi, tanto caldo il cielo; questo spazio siderale che si lascia abbagliare, bruciare e arrossire dal sorgere del Sole fino al tramonto. Stagliato come il fondale di un palcoscenico, vede accadere ogni giorno lo spettacolo della vita e capita di immaginarlo coinvolto nelle nostre vicende, così che diventa la cornice più romantica per Gino Paoli nel memorabile “quando tu sei vicino a me Questo soffitto viola No, non esiste più Io vedo il cielo sopra noi”, ripreso nell’intro di Fabri Fibra.

Altre volte percepiamo con Noyz Narcos che “il cielo non è così alto, è qui sopra di me”, raggiungibile e amico nonostante “i buoni consigli che non ho seguito mai Quando i figli iniziano a non ascoltare più Come dirgli “se esci qui non ci rientri più” Come pigli la strada dei soldi non la lasci Finché la vita la sfasci, ma forse muori e rinasci E non vuoi starci più, vuoi sensazioni forti Vuoi che una brezza ti porti distante Per una notte o per un’ora soltanto Perché questo mondo in fondo è solo questo soltanto”. Tutto questo sa o ha capito il cielo e, per questo, è tanto presente nei testi delle canzoni; perché ride e piange con noi, senza rimanere mai uguale a se stesso, anzi amplificando, molte volte, il nostro stato d’animo a tal punto che sembra ascoltare o ignorare i pensieri e le invocazioni che gli rivolgiamo, e forse lo fa per davvero.

Trattare il cielo nei testi della musica italiana significa imparare a cogliere l’opportunità di alzare lo sguardo all’insù e riuscire a rileggere tutto ciò che ci accade secondo una visione trasformativa. I cieli di Patty Pravo sono proprio questo: prospettiva dopo la fine di una storia d’amore; di quel tempo in cui “a noi bastava solo l’amore Il resto ci poteva mancare”. Ora che manca tutto, ci chiediamo, “ma tu chi sei Che cosa vuoi E come mai mi pensi Non sono io Nemmeno lei Ma i cieli sono immensi“. Proprio l’avversativa introdotta dal “ma” è la chiave di volta della canzone che invita a sperare nell’infinità del cielo per trovare nuove strade, nuove vite. Con l’intensità viscerale che la contraddistingue, Mia Martini esprime lo stesso concetto, quando intona “e non finisce mica il cielo anche se manchi tu (…) Perché aspettando te Potrei scoprirmi ancora sulla strada Per ritornare a me”.

Anche nei Nomadi, mentre “cammino solo e non ti sento più” perché se prima “al mio fianco c’eri tu E il giorno che nasce cancella ogni segno di te”, rimane la certezza di quel “cielo grande, cielo blu”, che in Rino Gaetano aumenta d’intensità grazie all’uso della locuzione avverbiale “sempre più blu” e colora la varietà delle vite umane, appese, sospese, affermate o ai margini. Iperbolici, i testi contemporanei paiono puntare più all’effetto e allo stupore che alla poesia.

Se Salmo, per esempio, corteggia senza mezze misure “lo vuoi toccare il cielo?”, garantendo “posso darti un passaggio Ho la testa tra le nuvole E mi godo il paesaggio”, Sangiovanni, esagera “cielo, dammi la luna Solo per stasera, stasera Poi te la riporto qua Poi te la riporto in mano Te la devo regalare“. Più saggio Guè Pequegno canta “oh, So che il cielo è il limite la mia strada il mio rap”, come a dirci che se guardiamo l’orizzonte, quella linea è il confine a cui puntare, la meta estrema da raggiungere come una sfida a non perdere mai di vista i nostri sogni, ma a cercare la strada per raggiungerli. Per questo, diventa una Bibbia il messaggio di Lucio Dalla, “prendi il cielo con le mani vola in alto più degli aeroplani Non fermarti sono pochi gli anni forse sono solo giorni”; ci ricorda quanto sia fondamentale vivere il momento, attingendo all’infinito spazio delle possibilità in cui si può sempre operare una scelta.

In quante occasioni ci affidiamo al cielo per chiedere protezione, magari attribuendogli poteri eccezionali, divinatori o immaginando che Dio, se esiste, abiti davvero lì. Come in una preghiera Ornella Vanoni chiede clemenza e un’intercessione, “se il cielo concedesse un po’ di grazia ad ogni anima quaggiù” per alleggerire il peso di questo tempo difficile in cui non basta più nemmeno l’ironia. Nel cielo viaggiamo, ma ci sono anche viaggi che ricorderemo per la vista dei suoi cieli; come quello d’Irlanda, cantato da Fiorella Mannoia, “ha i tuoi occhi se guardi lassù Ti annega di verde e ti copre di blu Ti copre di verde e ti annega di blu (…) Dovunque tu stia viaggiando (…) Dovunque tu stia ballando (…) Dovunque tu stia bevendo con zingari o re con zingari o re Il cielo d’Irlanda è dentro di te (…) si muove con te”.

La sfera celeste non finisce con la parte percepibile ad occhio nudo e continua verso quella dimensione ‘oltre’, ‘extraterrestre’ e ci mette in contatto con altre possibili forme di vita, di incontro e, chissà, di viaggio. Ce lo dice Alice, “segni nel cielo Hei ma chi sei? Io non ti avevo visto mai da noi; come ti va? Io non ero stata mai da voi. Maghi e marziani che ci spiano, maghi e marziani che ci scrivono lettere d’amore per spiegarci un po’: sembran stelle cadenti d’estate mentre d’inverno ci sembran comete”.

Quello che ad un tempo sembra essere la realtà cambia del tutto aspetto in un secondo momento; lo sa bene Irene Grandi quando canta, “eppure un tempo ridevi E mostrandomi il cielo Mi disegnavi illusioni e possibilità E la Cometa di Halley ferì il velo nero Che immaginiamo nasconda la felicità”. D’accordo con Renato Zero, “quanti amori conquistano il cielo Perle d’oro, nell’immensità Qualcuna cadrà Qualcuna invece il tempo, vincerà Finché avrà abbastanza stelle Il cielo”, dobbiamo diventare consapevoli che vivere è sì un’azione di natura, “gli spermatozoi, l’unica forza tutto ciò che hai”, da nutrire però con una dimensione interiore. È qui l’approdo più grande e complesso: il cielo come ‘senso’ da trovare e ridefinire finché siamo vivi, ma soprattutto per sentirci pienamente vivi, altrimenti “ma che uomo sei se non hai il cielo”.

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.
Francesco Penta
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Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.