A tu per tu con il cantautore marchigiano, in uscita con il suo EP di debutto intitolato “Maddai“
Esordio discografico per Claudio Caponetti, meglio conosciuto semplicemente come Caponetti, ispirato artista classe ’89, fuori dallo scorso 25 settembre con “Maddai”, EP edito Carosello Records, prodotto da Kattoo. Cinque tracce in scaletta che fotografano i gusti del cantautore marchigiano, con riferimenti agli anni ’90 in cui sei cresciuto e alla cultura pop in generale. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Claudio, benvenuto. Partiamo da “Maddai”, l’EP che segna il tuo debutto discografico. Da quali punti sei partito e come si è sviluppato l’intero processo creativo?
«Penso che il centro di tutto il disco sia riuscire creare un legame, una via di mezzo, un incontro tra il registro alto e basso della cultura pop. Ci sono elementi che rispecchiano il mio essere, cose che messe insieme riassumono la mia personalità, momenti di riflessioni con momenti più allegri e spensierati».
Quali stati d’animo e quali riflessioni ti hanno accompagnato nella fase di composizione di questo lavoro?
«Ho trentuno anni, suono da quando ne ho dieci, provo a fare il musicista da tanto tempo, per cui la sensazione primaria è quella di non sapere cosa sta per accadere, tipo quando ti manca la terra sotto i piedi e pensi di non avere punti saldi. Parallelamente però, anche la felicità nel poter fare ciò che ami, queste diciamo che sono state le sensazioni predominanti».
Un lavoro prodotto da KATOO, un nome una garanzia. Com’è stato lavorare con lui?
«Fighissimo, lo conosco da due anni, a livello musicale ci siamo subito presi. E’ stato molto divertente collaborare con lui, siamo riusciti a mantenere l’attività lavorativa su un piano allegro, festoso e di condivisione».
Il tuo è un linguaggio sicuramente originale, che non somiglia a qualcosa di già esistente, come sei arrivato a questo risultato? Immagino ci sia stato un bel lavoro di ricerca dietro…
«Non c’è un metodo esatto, sono semplicemente innamorato degli anni ’90. Avendo un fratello più grande, ho cominciato presto ad ascoltare i R.E.M. all’età di dieci anni, per cui ho semplicemente ascoltato, seguito e suonato tutta la musica che mi è piaciuta. Penso di avercelo come imprinting…».
La tua biografia ci racconta che ami i Beatles, Frusciante, David Bowie e Battiato, la serie B, Monicelli, Monica Vitti, George Orwell e le olive ascolane. C’è un ordine dietro tutte queste cose che io non riesco a comprendere, oppure ti riconosci in questa trasversalità di interessi e passioni?
«Non so se c’è un ordine (ride, ndr), forse sì, però sono tutte cose che mi piacciono. Ho pensato di mettere di pancia le cose che mi attirano di più, sia musicalmente che in generale. “1994” di George Orwell è stato un libro che ha segnato per me un piccolo salto di coscienza quando avevo diciotto anni, così come Bowie, Frusciante e Battiato, li considero artisti più rilevanti di altri nella mia vita».
Per concludere, in un momento storico così particolare, quali sensazioni e quali stati d’animo ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà questo tuo primo tassello discografico?
«Il sentimento principale del disco è la speranza, che c’è sempre anche nella canzone più malinconica. Mi piacerebbe trasmettere anche la voglia di fare qualcosa di bello, di sorridere un po’».
Nico Donvito
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