lunedì 25 Novembre 2024

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C’è sempre una canzone (d’amore): Maneggiami con cura

Raccontiamo l’amore con una canzone

Recentemente ho letto un libro che parlava del Kintsugi, la pratica giapponese utilizzata per riparare gli oggetti. Quando cadono piatti tazze o teiere, siamo soliti a buttarli via, ma in Giappone, no. Li riparano con l’oro per dar loro una nuova vita. Questa tecnica fa diventare l’oggetto più prezioso, ma anche unico. L’oro colato tra le nervature rende ogni ciotola diversa dalle altre, con le sue crepe imperfette che diventano perfette quando la si guarda da lontano.

E come gli oggetti, ci rompiamo anche noi. Siamo cuori pulsanti più fragili del cristallo, siamo abbracci spezzati in due da un coprifuoco che arriva in anticipo, siamo cocci pronti a farci raccogliere, schegge impazzite di sentimenti che si muovono nell’aria. Siamo anime da maneggiare con cura.

Oggi vi parlo di una nuova canzone contenuta nell’ultimo album di Michele Bravi, La geografia del buio, uscito a gennaio. Il pezzo si chiama “Maneggiami con cura” ed è una dichiarazione di fragilità, un inno devoto a chi ci ha trovati, ci sa proteggere e custodire. Un pezzo delicato e struggente, che inietta un concentrato di speranza a chi sta raccogliendo i pezzi dopo averli sparpagliati per il pavimento a causa di amori sbagliati.

“Sono cresciuto distante da regole comuni
Che non valgono per tutti, soltanto per alcuni
Come un cervo senza un branco
Un alieno tra la gente
È diverso se mi guardi sotto un’altra lente”

Essere diversi non è poi così male, sentirsi fuori dal comune, distanti dalle regole e dalle banalità. Ci sentiamo fuori luogo, soli, senza nessuno al quale appoggiarci. Ci guardiamo attorno e vediamo amore ovunque mentre noi sembriamo alieni che si muovono tra la gente. Pensiamo di essere così strani che nessuno potrebbe mai avere il coraggio di innamorarsi di noi. Sì, perché la gente si innamora di chi è perfetto, simpatico, bello e intelligente, non di certo di noi. Ma sotto sotto siamo fieri delle nostre ferite e delle nostre cicatrici. Sembra che la nostra voce si perda tra milioni di persone, che viviamo in una terra di mezzo tra un inizio ed un addio, ma tutto quello che c’è in mezzo dove lo mettiamo?

“Ho cercato la bellezza anche dentro ad ogni errore
Come un ramo che si spezza ma ricresce verso il sole
Diverso da ogni cosa che io prima conoscevo
Con la testa sulla terra sotto i piedi il cielo”

Poi ci sono gli errori, quelli che proviamo ad evitare ma non ci riusciamo. Come quando diamo fiducia a chi pensiamo non ci farebbe mai del male e poi ci accorgiamo di ricadere sempre e solo nella stessa buca. Ad un certo punto ci guardiamo indietro e li contiamo tutti, uno per uno, classificandoli per data, per nome o per grado di dolore. Ripassiamo la storia per capire dove abbiamo sbagliato. Troviamo sempre una buona ragione per non essere un ramo secco che muore, ma una pianta che con il primo sole ricresce.

“E adesso che lo sai
Maneggiami con cura
Perché́ l’amore è una pistola senza la sicura
E adesso che tu sai qual è la mia natura
Che il buio certe notti ancora mi fa un po’ paura”

Arriva poi il momento in cui non vogliamo più soffrire, ci lasciamo alle spalle tutto e vogliamo ricominciare. Facciamo un bel respiro e recuperiamo quel briciolo di fiducia che è rimasta nel fondo del nostro cuore. Arriva una persona che sconvolge tutti i piani che noi avevamo calcolato al centesimo, arriva l’oro che inizia ad insediarsi tra i nostri cocci rotti. A noi non resta altro che ammettere la nostra fragilità e, senza alcun segreto, consegnarci totalmente nelle sue mani. Nelle mani di chi ci dà la forza di credere ancora nell’amore, in quell’amore che è una pistola senza sicura, che potrebbe sparare e ucciderci da un momento all’altro, coglierci alla sprovvista quando ci togliamo l’armatura che tutte le delusioni ci avevano costruito attorno.

“Ho imparato troppo in fretta a difendermi da tutti
A guarire le ferite anche senza dare punti
A tenermi tutto dentro, a bastarmi solamente
Che nessuno a questo mondo ti regala niente”

Quando veniamo feriti impariamo a camminare da soli, a difenderci con uno scudo lucidato dalle nostre lacrime, impariamo a bastarci anche se poi ci sciogliamo davanti a una coppia di anziani ancora innamorati che si tengono la mano oppure sogniamo che arrivi un mazzo di fiori in ufficio. Impariamo a nostre spese che l’amore è la bellezza di rendere speciali le cose normali ma è anche un giro sulle montagne russe quando ti siedi in prima fila.

Anche se abbiamo ancora paura dei fantasmi che ci tormentano e le cicatrici continuano a bruciare, per una volta decidiamo di non chiudere le porte in faccia all’amore e seguiamo il nostro istinto, il nostro cuore. Ed ecco che come un vaso giapponese, l’oro continua a scorrere tra le nostre ferite. Perché non ci si salva mai da soli, ma abbiamo bisogno di un complice che ci faccia sentire che la vita è un po’ più leggera. Qualcuno per il quale valga la pena tornare a risplendere, qualcuno che ci faccia sentire tutti interi. Così non dovremo più indossare armature, ma la forza più grande di tutti sarà una promessa: e avrò la stessa cura io per te.

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