venerdì 22 Novembre 2024

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C’è sempre una canzone (d’amore): Pastello bianco

L’amore raccontato con una canzone

Ricordo ancora il primo giorno di prima elementare, quando entrai in classe con il mio zaino di Barbie, i denti che ballavano e il grembiule che indossavo come fosse il vestito più bello del mondo. Nella mia scuola di montagna non era difficile ricordare i nomi di tutti i miei compagni, perché si conoscevano già ed io trovai subito i miei tre soci inseparabili con i quali passai i restanti cinque anni. Il primo giorno di scuola, poi, che fosse elementari, terza media o superiori, tutto doveva essere perfetto: l’astuccio pulito, il diario pronto per essere pasticciato, i quaderni con la copertina di plastica e i pastelli nuovi con la punta affilata.

Di quei pastelli ce n’era uno che colpiva sempre la mia attenzione e mi chiedevo sempre “a che cosa serve?”. Il pastello meno utilizzato del mondo: il pastello bianco. Ognuno di noi nella vita ha avuto un pastello bianco nell’astuccio, tanti lo hanno perso, altri lo hanno usato ed altri ancora non hanno ancora capito a che cosa serva.

Lo hanno capito i Pinguini Tattici Nucleari che gli hanno dedicato una canzone, una ballata all’antica ma moderna, una ballata che parla d’amore. Un amore nato anni fa quando si passavano ore a disegnare sul diario e finito con un nodo in gola proprio tra queste righe.

Se solo potessimo vedere uno spoiler di quello che sarà il futuro, se solo potessimo avere un trailer della nostra vita, le delusioni farebbero meno male e noi ci arriveremmo con un barattolo di vernice rossa e non con un semplice pastello senza punta. Ma i protagonisti di questa storia sono stati innamorati per anni in silenzio, tra i banchi di scuola, tisane thai e segreti che solo a chi ha un cuore come il tuo vuoi rivelare.

E se m’hai visto piangere
Sappi che era un’illusione ottica
Stavo solo togliendo il mare dai miei occhi
Perché ogni tanto per andare avanti sai, avanti sai
Bisogna lasciar perdere i vecchi ricordi

Essere complici per una vita, amarsi e poi tornare due estranei. Due estranei che portano sulla pelle e nel cuore i segni di ciò che è stato e si nutrono di ricordi dolci come il miele ma che fanno male come la minestra quando brucia. Fotografie di giornate passate al sole, canzoni che ci riportano lì, maglioni dimenticati a casa e Instagram che ci propone storie che non vorremmo rivedere. Bisogna andare avanti, mettere un punto e ricominciare. Diciamo tutti così, ma poi casualmente ci entra il mare negli occhi e ci lasciamo andare. Lasciarsi è difficile. Lasciarsi e tornare estranei dopo una vita intera passata insieme è impossibile.

Mi chiedi come sto e non te lo dirò
Il nostro vecchio gioco era di non parlare mai
Come due serial killer interrogati all’FBI
I tuoi segreti poi a chi li racconterai?
Tu che rimani sempre la mia password del Wi-Fi
E chi sa se lo sai

Forse la sfida è proprio quella di rimanere in piedi: chi cade per primo perde. Ma in questo gioco non cadere non significa non farsi male, ci si fa male di più fingendo di stare in piedi da soli. Come si può fingere di cancellare tutto quando ormai quella persona fa parte della nostra vita quotidiana? Quella persona che entrava in casa nostra senza nemmeno bussare e che stava seduta a tavola insieme a noi per il pranzo della domenica, quando la nonna preparava i suoi ravioli speciali. Poi ci sono i segreti, quelli raccontati alle tre di notte sdraiati in un prato, in una di quelle sere in cui sai che hai la sveglia alle sei ma vorresti che non finisse mai.

E ti auguro il meglio, i cieli stellati
Le notti migliori e le docce di altri
Dove tu forse non stonerai più

Allora quei cieli stellati e quelle notti migliori le auguriamo, perché di cosa ce ne facciamo se non hanno più scritto il nostro nome? Quanta amarezza, quanta nostalgia. Qualcosa di desiderato così tanto, come quando ci spiavamo da lontano o avevamo paura di sfiorarci. Tutto crolla, tutto affonda. Un augurio che sa di un augurio al contrario, perché quei cieli stellati non saranno mai stellati abbastanza. Condividere vittorie e cadute, canzoni al karaoke e canzoni stonate sotto la doccia: ma lui non stonerà più perché alla fine ha imparato a cantare, e anche bene.  

Per favore non piangere
E non ci rimanere male
Che noi due ci conosciamo bene
Dalla prima elementare
E scrivevo tutti i miei segreti
Col pastello bianco sul diario
Speravo che venissi a colorarli
E ti giuro, sto ancora aspettando

Non so se sia più difficile dire al tuo migliore amico che sei innamorata di lui o se è più difficile dirgli addio. Che poi certi adii non esistono davvero, non contano e non si contano. Le strade sono troppe ma alcune sono fatte per unirsi, quando due persone sono legate non c’è addio che tenga. Nelle nostre storie possono passare anni e poi ci si ritrova dentro ad un bar come se nulla fosse cambiato, ci si scrivono messaggi che fanno paura ma alla fine basta un abbraccio per sciogliersi.

Ricordo che a scuola facevamo a gara a chi avesse i pastelli più belli. Per me i più fortunati avevano l’oro e l’argento che, anni fa, si trovavano solo nelle scatole da quaranta pezzi. Il pastello bianco non l’avevo mai calcolato. Però con il pastello bianco potevamo scrivere cose che nessuno avrebbe mai saputo. Poi, ad un certo punto, nella vita, arriva quella persona che con un pastello colorato svela la magia e tutto il tempo che abbiamo speso a scrivere parole d’amore nascoste viene compensato. Anche a distanza di anni ci servirebbe davvero un pastello bianco, a volte per dire ti amo, a volte per chiedere scusa, altre per scrivere “mi manchi” ed altre ancora, invece, per urlare “non te ne andare”.

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