giovedì, Marzo 28, 2024

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C’è vita dopo la trap? – PUNTATA 2

Viaggio all’interno di un mondo diventato ormai una solida realtà dello scenario musicale italiano

Seconda settimana di questo personalissimo esperimento sociale sulla trap, (chi si fosse perso la prima puntata può cliccare qui), come mi sento? Un pezzente! Eh già, a furia di ascoltare dalla mattina alla sera persone che ostentano vistosi orologi (in gergo “ghiaccio al polso”), capi griffati e Lamborghini parcheggiate in garage, mi sto convincendo anch’io che nella vita contano davvero queste cose. Forse, il ruolo sociale dei trappettari è proprio questo: farti capire che sei uno sfigato… ma, dopo una bella doccia gelata, ti rendi conto che a non stare bene non sei tu, così torni ad apprezzare le piccole cose, i valori di una volta e tutto ciò che non si può comprare con il cash.

Una cosa, però, l’ho capita: se io fossi l’amministratore delegato di Fendi, Louis Vuitton, o Gucci, non accetterei questo discutibile tipo di pubblicità, seppur gratuita, e agirei nelle sedi opportune. Sia chiaro, il lusso non è un reato ma ostentarlo è moralmente discutibile, specie per chi ha il potere di influenzare le menti di tanti ragazzini, inculcando loro ideologie del tutto sbagliate, ma vabbè.

Dove eravamo rimasti? Sono passati quattordici giorni dall’inizio di questa discutibile sperimentazione e già mi mancano le pause di Vasco Rossi che, tra un “ehh” e l’altro, almeno ti dava il tempo di capire qualcosa. Nei testi trap di parole ce ne sono miliardi, messe insieme per ragioni di metrica, a volte un po’ a caso, utilizzando uno slang giovanile di piazza che, ai più, risulta un tantino incomprensibile.

LE ORIGINI DELLA TRAP

Partiamo dalla definizione: tradotta dall’inglese all’italiano, la parola “trap” significa letteralmente “trappola”. Il termine nasce ad Atlanta, tra alcuni rapper statunitensi che definiscono con tale nome le tipiche villette in legno dove vengono abitualmente spacciati stupefacenti (le cosiddette “trap house”). Il genere comincia a prendere forma nei primi anni 2000, inizialmente come corrente di nicchia, grazie ai prodotti di T.I., Rick Ross, Young Jeezy e altri artisti che rappresentano la prima generazione di trapper, per poi trovare la propria consacrazione commerciale nella seconda decade del nuovo millennio. Incarnano alla perfezione il concetto di trap-mainstream: Lil Wayne, T-Pain, Gucci Mane, Future, 2 Chainz, Young Thug, Drake e Nicki Minaj, fino ad arrivare ad influenzare le produzioni di popstar del calibro di Beyoncé, Katy Perry, Miley Cyrus, Lady Gaga e Lana Del Rey. Nel giro di poco tempo, da costola dell’hip hop si trasforma in un vero e proprio genere, caratterizzato anch’esso da sottogeneri, che evitiamo di citare altrimenti ci ingarbugliamo e finiamo in una strada senza uscita.

CARATTERISTICHE E  PECULIARITÀ

La trap è caratterizzata da testi prettamente cupi e inneggianti alla violenza, che affondano le proprie radici nella criminalità, nel disagio e nel vissuto di ogni singolo artista. Dal punto di vista sonoro, invece, tutto parte dall’uso esponenziale della drum machine Roland TR-808 anni ’80, che produce un effetto sostenuto tipico della dub, con una frequenza più spinta rispetto al classico beet dell’hip hop. Anche il suono è molto più sintetico e la parte cantata è corretta dall’autotune che, al di là di rendere chiunque intonato, ha il “dono” di spersonalizzare ed omologare ciascun artista (argomento che avevamo approfondito in questo articolo a seguito della partecipazione di Biondo ad “Amici”).

Alla base una melodia minimale, ipnotica e a tratti ripetitiva, a disposizione di testi che, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno un senso particolare o dei contenuti degni di nota, non sono canzoni di protesta, anzi, spesso e volentieri inneggiano ad ideali completamente sbagliati, a differenza del rap che si nutre di ribellione e di tematiche sociali. E’ il modo di approccio alla musica ad essere differente, una visione nuova e distorta rispetto a quanto proposto sin ora, ad esempio, nella scena rap. Se non ascolti trap sei old school, vale a dire vecchio, ma parliamone. Preferisco mille volte ascoltarmi J-Ax che (marijuana a parte) ha sempre lanciato messaggi positivi nelle sue canzoni, scagliandosi più volte contro alcune piaghe della nostra società, infatti, non ha mai nascosto di essere stato vittima di bullismo da adolescente. Constatiamo come, a distanza di qualche decennio, sia totalmente cambiata la visione delle cose, come a dire: “non è bello ciò che bello, ma fa brutto ciò che è brutto”.

I RAPPRESENTANTI DELLA SCENA ITALIANA

La trap è un fenomeno di rottura, che ricorda per valenza culturale il genere punk. In Italia sbarca nel 2011, come una versione più indie del rap che, nel frattempo, aveva raggiunto gli stessi livelli di popolarità della musica pop. Il boom arriva quattro anni più tardi, con l’affermazione dei produttori Charlie Charles e Sick Luke, che possiamo considerare i padri spirituali di questo movimento, almeno nel nostro Paese. Tra i trapper più noti della scena italiana, citiamo Sfera Ebbasta (il suo secondo album “Rockstar” si confermerà essere il più venduto del 2018), Tedua (colui che ha importato per primo il Drill, martellante sottogenere della trap che segue una metrica di colpi diversa dai comuni quattro quarti), la Dark Polo Gang (al secolo Dark Side, Tony Effe, Wayne Santana e Dark Pyrex), Capo Plaza, Laïoung, Izi,  DrefGold, Rkomi, Vegas Jones, Tha Supreme, Gemitaiz, Achille Lauro, Enzo Dong, Lazza, Young Signorino e tanta di quella altra gente che pratica lo sport del “triplo salto carpiato sul carro del vincitore”.

Ma quali sono gli argomenti più comuni che ritroviamo nei testi dei brani trap italiani? Il leitmotiv di questo tipo di poetica urbana è sostanzialmente uno solo: “prima ero povero, adesso sono ricco”, inteso come riscatto sociale ottenuto attraverso le views e le vendite dei propri pezzi. I Rolex al polso, dunque, assumono un valore prettamente simbolico, si… ma una, due, tre volte, alla quarta diventi ufficialmente uno che ostenta i propri averi senza un minimo di buon gusto, il classico tamarro arricchito. Dai ghetti delle periferie agli alberghi extra lusso, il passo è breve. “Prima stavo sopra su una panchina, mò mi trovi in primo posto viral”, recita ad esempio Capo Plaza in “Non cambierò mai”. Insomma, tutta gente che non si è montata la testa e vive serenamente il proprio successo (…).

MENO MALE CHE GHALI C’E’

Per via delle tematiche e per l’ispirato modo di affrontarle, un solo artista si discosta da tutto ciò che abbiamo scritto fino ad ora: Ghali, la cosiddetta “luce in fondo al tunnel”. Lui non usa grillz (ossia la griglia di denti in oro 24 carati), non ostenta bensì racconta e resta affascinato da così tanto riscontro mediatico, proprio come scrive tra le barre di “Ricchi dentro”, manifesto che esprime il suo personale pensiero a riguardo: “Il successo è come una Ferrari, bisogna mantenere il turbo, fatti strada e fatti furbo”. Di conseguenza, possiamo definirlo un trapper atipico, un mammone romantico, con uno stile di scrittura caratteristico e ben distinguibile carico di contenuti. In più, è uno dei pochi della nuova generazione che non getta fango sul passato, anzi, ha più volte dichiarato di essere stato un assiduo ascoltatore dei Gemelli Diversi e non ha mai nascosto la propria stima per colleghi come Salmo e Guè Pequeno, altro che dissing.

C’è poco da dire ragazzi, l’atteggiamento per un artista è fondamentale quanto il suo talento, se vuoi andare davvero lontano devi possedere equilibrio e le giuste persone attorno, solo così riesci a tramutare in arte un insieme di note e di semplici parole. Oh, questa volta ci tenevo a lasciarvi con un messaggio positivo, per dimostrarvi che non mi sto facendo contaminare da alcun morbo. Non ho sintomi, infatti, prima di intraprendere questo esperimento sociale ho letto accuratamente le controindicazioni sul bugiardino. Bella frate, bella brò… ci si sente settimana prossima!

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Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Nico Donvito
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