venerdì 22 Novembre 2024

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Cento: “Nei miei testi c’è poco di astratto, preferisco la concretezza” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore messinese, in uscita con il suo primo disco intitolato “Lato B

Una musica concreta e vicina al vissuto di tutti, questo il manifesto di Giuliano Cento, alias Cento, al suo debutto discografico con “Lato B”, disponibile negli store digitali e sulle piattaforme streaming a partire dallo scorso 14 febbraio. Otto brani inediti che pongono l’accento sulla sua visione musicale per nulla astratta o troppo arzigogolata, al punto da renderlo un vero e proprio cantastorie 2.0, figlio dei tempi seppur influenzato da un certo tipo di sonorità del passato che, ascolto dopo ascolto, risuonano assolutamente contemporanee. In occasione di questo lancio, abbiamo incontrato il cantautore messinese per approfondire la sua conoscenza.

Ciao Giuliano, benvenuto. Partiamo dal tuo album d’esordio intitolato “Lato B”: quali sapori, quali odori e quali suggestioni contiene per te questo progetto?

«Le sensazioni non te le saprei spiegare a parole, fanno parte del mio quotidiano, le vivo momento per momento. Quando scrivo è come se mi calassi completamente in una determinata situazione, cerco di descrivere ciò che mi passa per la testa».

A cosa si deve la curiosa scelta del titolo?

«Volevo un titolo che fosse in qualche modo equivocabile, l’ho scelto apposta. Ricordo quando ascoltavo le musicassette, molto spesso capitava che le cose interessanti fossero nel famoso “Lato B”, o almeno quelle che mi piacevano di più. La mia intenzione era quella di rievocare quel tipo di sensazione».

Chi ha lavorato con te alla realizzazione di questo tuo primo tassello discografico?

«Siamo stati in due, colgo l’occasione per ringraziare il mio produttore Stefano Radice, una persona fantastica che è riuscita a valorizzare la mia essenza, perché non è facile tirare fuori dagli artisti ciò che gli passa per la testa».

Hai dichiarato che l’ispirazione per te arriva da qualcosa di concreto. In un’epoca astratta e molto concentrata sul virtuale, condizionata dai social, quali sono esattamente queste concretezze che ti hanno ispirato?

«Nei miei testi c’è poco di astratto, ho scelto di raccontare in maniera concreta quello che vivo e quello che vedo, allacciandomi a discorsi comuni, cercando di essere il più poetico possibile».

Facendo riferimento ad un verso del brano “Champions League”, dici: “la realtà non è come su Instagram”. Ecco, com’è la realtà?

«La realtà non è tutta rose e fiori, su Instagram non posti mai i momenti brutti, mentre nelle mie canzoni c’è tutto, certo alcune sono più autobiografiche di altre, ma in tutte ci sono sensazioni che ho vissuto sulla mia pelle».

A livello testuale, c’è un qualche fil rouge o un tema ricorrente, che unisce le otto tracce in scaletta?

«Sai, non ho un filo conduttore ben preciso, non parto mai con un’idea prestabilita. Di solito nelle mie canzoni tendo a parlare di rapporti, mi autodefinisco orgogliosamente un cantastorie».

Dal punto di vista musicale, invece, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare?

«Sono un patito degli anni ’70 e ’80, ho sfruttato in qualche modo l’onda del momento, perché nelle sonorità di oggi sento molti riferimenti appartenenti ad entrambi i decenni. Ho colto l’occasione per inserirli perché fanno parte da sempre del mio background. Personalmente sono concento di questo ritorno e di questa ricerca sonora,  credo che il grado musicale generale si stia un pochettino alzando».

“Stavo pensando che” è il titolo del singolo che ha anticipato l’uscita del disco, una canzone d’amore. In che modo il nobile sentimento per antonomasia influenza e ispira la tua musica?

«Parto dal concetto del cercare di non essere mai banale quando scrivo, parlare di un argomento strautilizzato come l’amore può nascondere insidie, per cui è abbastanza facile scivolare in retoriche come “sole, cuore e amore”. Dal mio canto, cerco  di essere originale, seguendo sempre l’ispirazione».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?

«E’ stato tutto un po’ casuale, ho scritto il primo pezzo all’età di ventidue anni, in maniera giocosa. Precedentemente mi ero avvicinato alla musica durante un live, ho visto suonare un bassista e mi sono innamorato di questo strumento, da lì ho cominciato a prendere lezioni ed è stato tutto un crescendo, così ho iniziato a pensare ad un progetto tutto mio e,  finalmente, adesso ci siamo (sorride, ndr)».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone?

«La cosa che mi affascina è la poesia, mi piace la genialità dei versi, quando scrivo mi concentro molto sull’intuizione, sul guizzo. Quando penso ad esempio ai testi di Lucio Dalla e di Lucio Battisti, mi domando come facessero a scrivere in quel modo ed è proprio questo aspetto che mi affascina tantissimo».

Per concludere, dove e a chi ti piacerebbe arrivare attraverso la tua musica?

«Non ho un pubblico di riferimento, penso che la musica sia universale, per tutti. Spero di arrivare a più persone possibili e trasmettere loro il mio messaggio».

© foto di Stefano Radice

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.