Century Radio, intervista a Carlo Nesti

Century Radio

Un secolo di voci, musica e storie che hanno fatto grande la radio, tra passato e attualità, davanti e dietro il microfono. A cura di Pio Russo

Benvenuti a “Century Radio“, la rubrica dedicata ai cento anni della radio. In questo spazio esploreremo l’affascinante mondo della radiofonia, non solo attraverso ciò che ascoltiamo, ma anche svelando cosa accade quando i microfoni si spengono. Tema del giorno: l’intervista a Carlo Nesti.

Pio Russo racconta l’evoluzione e l’involuzione di un mezzo che ha segnato intere generazioni, portando musica, voci e storie nelle case di tutto il mondo. Dal fascino delle prime trasmissioni fino all’era del digitale, in un viaggio tra passato, presente e futuro della radiofonia.

Carlo Nesti, la radio è “vedere” con la fantasia

Giornalista sportivo, radio e telecronista, scrittore, Carlo Nesti inizia la sua carriera sul settimanale Calciofilm, per poi passare al Guerin Sportivo e a Tuttosport. Nel 1980 entra in Rai e commenta sei edizioni dei mondiali di calcio e sei degli europei. Come telecronista segue la nazionale Under 21 nelle tre vittorie consecutive agli europei di categoria.

Fino al 1994 è radiocronista di “Tutto il calcio minuto per minuto” seguendo le partite di Juventus e Torino. Tante le esperienze nelle emittenti di stato che lascia nel 2010, per diventare libero professionista. Fonda il Nesti Channel canale di informazione ed approfondimento sportivo.

Benvenuto sulle “frequenze” di Century Radio. Come è iniziata la sua carriera radiofonica?

«Innanzitutto, grazie dell’ospitalità! Cominciò a metà degli anni 70, con l’emittente diocesana di Torino: Radio Proposta. Formai la redazione sportiva, assegnando ad ogni mio amico una disciplina da seguire. L’ambiente era suggestivo, perché gli uffici erano ubicati nel solaio della chiesa della Consolata. Per salire, si doveva passare, obbligatoriamente, davanti all’altare. Che incantesimo! Ci si inginocchiava, e cominciava il lavoro».

C’è stato un riferimento radiofonico al quale si è ispirato?

«Io avevo 6 anni, nel 1960, quandò cominciò “Tutto il calcio minuto per minuto”. Uno degli inviati era Andrea Boscione, che, 20 anni dopo, diventerà il mio primo capo in Rai. Figurarsi, se potevo rimanere indifferente ai quei magici suoni! Il calcio, il giornalismo, e le figurine Panini, per immaginare i giocatori, che non riuscivamo a vedere. Fu lì, inevitabilmente, che scoccò la scintilla: il mio futuro era già cominciato».

Qual è il ricordo più bello legato alla radio?

«Il 6 maggio 1984, si disputava l’ultima giornata di campionato, e la Juve festeggiava lo scudetto. In scaletta, durante “Tutto il calcio minuto per minuto”, il primo campo era di Enrico Ameri, il secondo di Sandro Ciotti, e il terzo… ero io. Da bambino, avrei voluto essere, un giorno, amico di Ameri e Ciotti, che mi tenevano compagnia. Tuttavia, immaginare, che il pensiero infantile si sarebbe realizzato, era pura utopia. E invece…».

Lei era all’Heysel il 29 Maggio 1985 con Bruno Pizzul in telecronaca ed Enrico Ameri in radiocronaca. In particolare, quanto fu difficile raccontare quello che stava accadendo per chi non aveva il supporto delle immagini in quel momento?

«Qui sta il punto! Il monitor non ci sarebbe servito granché, perché, purtroppo, il collegamento internazionale cominciò, quanto 39 innocenti erano già morti. Avevamo visto, con i nostri occhi, le cariche degli hooligans, ma nell’illusione che, nello spicchio finale della Curva Z, ci fossero le uscite di sicurezza. Io diedi il microfono a tutti i tifosi, che, dicendo nome e cognome, volevano tranquilizzare le famiglie. I cellulari sarebbero nati solo 5 anni dopo, cambiando il mondo».

Ha scritto libri, ha un suo canale web, lavorato per giornali, televisione e radio. Ha una preferenza per uno di questi modi di comunicare?

«Prendere un microfono, e raccontare una partita di calcio: radio o telecronista. In tivù, all’estero, stavo, magari, descrivendo una partita, con il ritmo della telecronaca, e cioè lasciando degli spazi. Mi comunicavano che le immagini erano saltate, e allora io non facevo una piega, e proseguivo, con il ritmo più incalzante della radiocronaca, perchè sapevo che la gente non vedeva. Ora, telecronaca e radiocronaca si somigliano troppo: errore!».

Tre canzoni che accompagnano la sua vita e la sua professione:

«In tempi diversi, “Azzurro” di  Adriano Celentano, “Emozioni” di Lucio Battisti, e “Si può dare di più” di Morandi-Ruggeri-Tozzi. Poi, c’è il ricordo meraviglioso di tante serate finali del Festival di Sanremo, seguite con mamma, papà e nonna, sul divano di casa. E un sogno, che mi è capitato sul serio, nel quale ho chiesto scusa a Luigi Tenco, perchè il 26 gennaio 1967, avevo solo 12 anni, e non capii quella splendida canzone, che era “Ciao amore ciao”».

Ultima domanda uguale per tutti: cento anni di radio, una frase o una parola per definirla:

«Io credo che la radio sia, sì, “sentire”, ma soprattutto “vedere” non con gli occhi, ma con la fantasia. E quindi “vedere” in un modo molto più suggestivo, perché l’immaginazione va sempre oltre la realtà. Non so, se possa essere così per tutti, perché i giovani nascono in un universo mediatico, che è Marte, rispetto alla Terra. Però, per quelli della mia generazione, che sono cresciuti con un solo canale televisivo, è una grande ricchezza».

Grazie mille per essere stato con noi.

«È stato un piacere! Grazie a voi!».

Scritto da Pio Russo
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