Century Radio, intervista a Giancarlo Cattaneo

Un secolo di voci, musica e storie che hanno fatto grande la radio, tra passato e attualità, davanti e dietro il microfono. A cura di Pio Russo
Benvenuti a “Century Radio“, la rubrica dedicata ai cento anni della radio. In questo spazio esploreremo l’affascinante mondo della radiofonia, non solo attraverso ciò che ascoltiamo, ma anche svelando cosa accade quando i microfoni si spengono. Tema del giorno: l’intervista a Giancarlo Cattaneo.
Pio Russo racconta l’evoluzione e l’involuzione di un mezzo che ha segnato intere generazioni, portando musica, voci e storie nelle case di tutto il mondo. Dal fascino delle prime trasmissioni fino all’era del digitale, in un viaggio tra passato, presente e futuro della radiofonia.
Giancarlo Cattaneo, “La radio è la mia amante ed è salvifica”
Una conversazione con Giancarlo Cattaneo, una figura con oltre trent’anni di esperienza nella radio. Viene discusso il suo percorso professionale, iniziato per caso e sviluppatosi attraverso varie emittenti, e il suo amore per il mezzo radiofonico, che considera un’amante e salvifica. Giancarlo condivide le sue opinioni sull’evoluzione della radio, riflettendo sui cambiamenti avvenuti e sull’equilibrio tra creatività e logiche di profitto. Parla anche delle sue esperienze musicali e della sua partecipazione al progetto itinerante “Parole note”.
Sulle “frequenze” di Recensiamo musica, ospitiamo Giancarlo Cattaneo, benvenuto. E allora parliamo naturalmente di radio, facciamo un salto indietro. Tu quando e come hai cominciato?
«Grazie, sono molto contento di questa possibilità di fare una chiacchierata con te e con chi ci legge. Uh, facciamo un bel salto indietro. Allora, ho cominciato poco più di 30 anni fa, alla prima metà degli anni 90 per gioco, perché un amico era in una piccola radio locale e mi disse “Ma tu non hai una inflessione napoletana così marcata, perché non vieni? Ci divertiamo” E quindi ho cominciato così, a 18 anni era un bel divertimento e ho cominciato a fare i radiogiornali, tanto è vero che divenni anche giornalista pubblicista, ma poi non ero interessato a al giornalismo, mero e quindi sono passato all’intrattenimento. Ho fatto tutta la gavetta del caso, dalla radio di quartiere alla radio un po’ più grande, a quella sempre più grande, fino poi ad approdare, spiegato in quattro parole, a Milano con una semplice demo e quindi sono stato sicuramente fortunato».
Ma quando hai capito che la radio sarebbe stata la tua strada?
«Forse lo devo ancora capire perché poi la radio evolve e noi soprattutto evolviamo, per cui un momento preciso non c’è. Io ho sempre amato la musica, ho iniziato a fare il DJ per passione, per cui il percorso era già un po’ tracciato. E quando sono passato da quella fase giornalistica all’intrattenimento e ho iniziato a vedere i primi risultati, ho messo sul piatto la tecnica radiofonica, ho appreso tante tante cose, e ho compreso che la comunicazione potesse essere la mia strada. Allora allora ho detto sì, voglio provare e mi sono messo di buzzo buono, a mandare dei dimostrativi e mi è andata bene».
Ma c’era un piano B?
«No, non c’era assolutamente un piano B, anche perché poi a 14 anni il DJ, a 18 il gioco della della radio, quella è una fase abbastanza importante nella vita di tutti, per cui sei in evoluzione. C’era un percorso universitario, ma chissà a cosa avrebbe portato. Io ho studiato lingue all’Orientale di Napoli, non mi laureai a suo tempo perché, appunto, facevo anche altro, quindi lavoravo e conciliare le due cose non mi è mai riuscito. Poi ho chiuso poco più di 10 anni fa, per cui da adulto il percorso di studi, ma non c’era un piano B e nella vita, come dire, segui gli eventi, cerchi di creare gli eventi, cerchi di percorrere una strada che è stata tracciata o da te o dal caso e cerchi di percorrere questa strada. Dove ti porta poi è la meraviglia della vita, nessuno lo sa».
Hai iniziato a Napoli, poi adesso sei a Milano. Ti chiedo, ci sono o ci saranno sicuramente differenze anche organizzative tra Napoli e Milano?
«Bah, ti direi relativamente. Io a Napoli ho sempre trovato una grandissima creatività, probabilmente perché il mio percorso napoletano è stato nelle radio locali, per cui là magari a parte che erano altri tempi, ma si poteva sperimentare di più. A Milano, da una parte sì, hai un’organizzazione che potrebbe essere differente, ma poi sono entrati in questo nostro meraviglioso percorso i grandi gruppi editoriali, per cui cui si pensa al profitto e a volte la creatività è andata a farsi benedire in alcune fasi, come dire croce e delizia. Le cose buone, le cose meno buone ci sono qui come lì».
Dicevamo altri tempi, no? La radio, secondo te, in questi trent’anni in cui ci sei stato tu, come è cambiata? In meglio o in peggio?
«Ma è semplicemente evoluta, come tutte le cose. È chiaro che io magari possa essere un nostalgico del mezzo, perché ricordo la spensieratezza innanzitutto dell’età, la voglia di trascorrere ore e ore non pagato ai miei inizi nella radio semplicemente per sperimentare qualcosa, per affinare la tecnica, per cercare una comunicazione più efficace. Oggi non so dirti se è migliorata o peggiorata, è quello che è. Probabilmente se ti dicessi che è peggiorata, sarebbe soltanto il ragazzino che è ancora conservo e che ancora ha passione per questo lavoro che un po’ si ribella al fatto che gli anni siano passati. Eh, Damblé ti risponderei, era meglio un tempo, era meglio quando sceglievo io la musica, era meglio quando i clock erano un po’ più liberi e magari c’era tempo diverso, forse più tempo per parlare e altre cose. Adesso siamo tutti un po’ più omologati e forse è un po’ tutto più a ribasso».
Ecco la musica. Tu sei stato Radio Capital, l’esperienza di M2O e adesso Radio Montecarlo, il claim è musica di gran classe. E dal punto di vista musicale c’è stato mai un momento in cui hai detto “Questo disco non lo vorrei proprio passare”. Ma devo…
«Oh, sai quante volte? La scelta musicale più libera da una parte io la ebbi a One O One quando arrivai a Milano e quindi stiamo parlando del 2000 2001 e lì era bello entrare nell’ufficio musica, facevi ancora il DJ, arrivavi dai programmatori musicali e dicevi “Ho ascoltato questo, perché non me lo fate passare?” E c’era una certa libertà perché il mondo discografico conta. Mi piacerebbe fosse ancora così. Questo è il ruolo del DJ radiofonico. Io ho ascoltato questo, sentite se vi piace, perché vi propongo questo, ma tantissime volte mi è successo e mi succede di dire “Ma che cavolo c’entra questo brand? Che cosa c’entra nella sequenza? Che cosa c’entra con il suono della radio? Ci sono assolutamente brani che non c’entrano. Sono due discorsi. Un conto è il proprio gusto musicale, però lì siamo dei professionisti, per cui se una linea editoriale ti dice di passare un brano, anche se non incontra il tuo gusto, è giusto comunque farlo ascoltare e cercare di evidenziare poi quel brano. Un’altra cosa è invece un parere più tecnico dire secondo me qui hanno sbagliato la sequenza, secondo me questo brano non è in linea con questa radio e succede. Certo che succede, siamo umani. Anche i programmatori musicali sbagliano. E come, ma non osano e questa è la cosa che a me dispiace, che non osano più».
E invece tre canzoni che non dovrebbero mancare mai nei tuoi programmi?
«Allora, ti posso dire Stevie Wonder sicuramente, “Overjoyed”, poi ti potrei dire Curtis Mayfield, poi non so dirti il terzo. Talmente meravigliosa la musica, forse ti direi una “Rachmaninov”, musica classica».
Sei stato fra le voci di Ciao belli…
«Ah, sì, che bello. Mi sono divertito tantissimo. Ho trascorso 11 anni a Capital, 2 a M2O e in questi 11 anni sono stato la voce di Ciao belli. È stato molto molto divertente perché quello era ed immagino che sia ancora un bel gruppo editoriale dove c’era comunque una bella creatività, una bella creatività. È stato un privilegio avere Linus come direttore artistico e quindi sono stati anni molto importanti».
Però possiamo dire che Ciao Belli forse è uno degli ultimi programmi totalmente liberi della radiofonia?
«Beh, ma ce ne sono però di programmi liberi, nel senso che ci sono anche radio All News che ancora oggi hanno la possibilità di non avere paletti. Ci sono programmi come Ciao belli, dove c’è una certa libertà ed è l’intrattenimento puro, ma io non sono un grandissimo fruitore del mondo radiofonico, appunto perché credo che sia un po’ omologato, però ci credo e credo soprattutto nei ragazzi. Posso citare anche Wad, che piaccia o meno, ha portato un nuovo tipo di comunicazione negli ultimi anni e si è creato una sua fetta di pubblico, per cui chapot».
Compagni radiofonici, tu ne hai avuti, diciamo, qualcuno, adesso sei con Tamara Donà. Ti chiedo una parola con cui descriveresti Tamara e se hai una preferenza per uno dei tuoi compagni partner radiofonici?
«No, anche perché non sarebbe carino dirlo, ma ne ho avuti. Sai, si si crea o non si crea una bella alchimia e quando non si crea è un vero problema. Bisogna mettersi al servizio poi anche del proprio partner e prima ancora dell’editore, quindi della radio. Invece una parole per Tamara ti dico autoironica, è la cosa che mi consente di andare in onda molto sereno. Con lei puoi puoi giocare, non è una persona permalosa, non se la prende, ride anche molto di se stessa e secondo me è una qualità eccezionale. Questa è una qualità straordinaria che consente anche alla comunicazione di essere maggiormente efficace per chi ti ascolta, magari ha la possibilità di immedesimarsi con il tuo quotidiano. Quindi sicuramente è una collega della quale apprezzo, tra le altre anche questa questa qualità. Ne ho avuti di di partner con i quali mi sono trovato bene, abbastanza bene, male e con i quali ho cercato, magari a volte sbagliando magari no, di essere abbastanza empatico, perché poi se si crea l’alchimia e la sinergia, chi può dirlo? Può tranquillamente non crearsi, siamo persone e questo dovrebbe esserci richiesto, la nostra professionalità, ma anche il nostro modo di essere perché altrimenti andiamo verso quella direzione con tutte le voci preregistrate artificiali».
Certo. Attualmente trasmetti nel drive time, hai però coperto bene o male nella tua carriera tutte le fasce, ma c’è un momento preferito della giornata in cui vorresti trasmettere?
«Ma forse invecchiando non mi dispiacerebbe la notte, sebbene la notte per quanto riguarda l’ascolto radiofonico sia un po’ cambiata. Sono poche ormai le radio che coprono le 24 ore di programmazione, perché poi questo a conti fatti rappresenta un bel costo per le aziende. Un tempo erano di più. Mi piacerebbe la notte perché ha sempre il suo fascino, perché forse lì ci si potrebbe sentire più liberi nella comunicazione. Poi a me piace accogliere il pubblico, a me piace ascoltare la gente, interagire. La gente ha bisogno di conforto. Tutti quanti noi abbiamo bisogno di conforto. E se tu fai bene il tuo mestiere cerchi anche di accogliere chi è magari in un momento di difficoltà. Ciò che amo di più del mio lavoro è questo, quando mi scrivono gli ascoltatori o li incontro durante, che ne so, gli spettacoli dal vivo itineranti e mi dicono “Tu mi hai fatto compagnia in un momento complicatissimo della mia vita. Eh io sono in ospedale e è bello e mi dà familiarità, mi sento accolto quando vi ascolto, quando ti ascolto. Questo è il senso massimo poi del nostro lavoro, non per darci troppa importanza, però è un momento bellissimo della nostra comunicazione».
Hai citato gli spettacoli itineranti, quindi parliamo di parole note. Com’è nato?
«Ehm, allora, come è nato “Parole note”: anche lì per gioco, io credo che il gioco e la passione, chiaramente il gioco combinato alla passione possa portare degli ottimi risultati e degli ottimi guizzi. Il merito è assolutamente non mio, bensì di Maurizio Rossato che è il il fonico, il regista di Fabio Volo e Cattelan su DeeJay, il quale anni e anni fa ha avuto questa questa idea di declinare questo progetto di musica, elettronica e poesia in tanti modi, un libro, dei frammenti letti alla radio, una trasmissione radiofonica e poi anche insieme ragionando proprio nei corridoi di Radio DeeJay e Capital l’abbiamo detto portiamolo in giro. Lui ha una grandissima non soltanto manualità perché è veramente un polipo proprio in regia, un “purpetiello” bravissimo e velocissimo e ha dei guizzi proprio creativi, artistici molto alti e quindi abbiamo creato questa unione di arti, cinema, letteratura, testi, tante emozioni, musica elettronica. È uno spettacolo che tu conosci perché ho avuto il privilegio di averti nel pubblico, tra il pubblico diverse volte è uno spettacolo che spesso emoziona, altre volte fa sorridere e è una bella bellissima esperienza».
Il privilegio è quello di esserci e devo dire che è un’emozione pazzesca, quindi siateci quando ci sono gli spettacoli di “Parole note”. L’ultima domanda è uguale per tutti: 100 anni di radio, una frase o una parola con cui tu la definisci?
«È la mia innamorata, è la mia amante e è tutto questo. Io ho fatto delle scelte, come tutti, eh ci mancherebbe. che mi hanno portato a lasciare affetti, radici, città, a me manca tanto, appunto, Napoli, per questo mio amore, per questa mia amata bionda, bruna, rossa che sia, non importa. E’ questo per me la radio è da accudire e ti accudisce è salvifica molto spesso anche per chi la fa, non solo per chi l’ascolta».
Giancarlo, grazie mille, è stata una bellissima chiacchierata
«Anche. per me. Grazie quando vuoi e un saluto a te e a tutti».