Century Radio, intervista ad Antonio Iovane: “Radio e Podcast, rette parallele”
                    Un secolo di voci, musica e storie che hanno fatto grande la radio, tra passato e attualità, davanti e dietro il microfono. A cura di Pio Russo
Benvenuti a “Century Radio“, la rubrica dedicata ai cento anni della radio. In questo spazio esploreremo l’affascinante mondo della radiofonia, non solo attraverso ciò che ascoltiamo, ma anche svelando cosa accade quando i microfoni si spengono. Tema del giorno: l’intervista ad Antonio Iovane.
Pio Russo racconta l’evoluzione e l’involuzione di un mezzo che ha segnato intere generazioni, portando musica, voci e storie nelle case di tutto il mondo. Dal fascino delle prime trasmissioni fino all’era del digitale, in un viaggio tra passato, presente e futuro della radiofonia.
Antonio Iovane: “Radio e Podcast, rette parallele”
Giornalista, scrittore, podcaster, Antonio Iovane ha lavorato per Radio Città Futura e Radio Capital e realizza podcast per il gruppo GEDI e One Podcast. Autore di diversi libri di successo, in questa intervista parla di radio, podcast e giornalismo
Ciao Antonio, benvenuto sulle nostre “frequenze”
«Ciao e grazie per l’invito».
Quando hai capito che volevi diventare un giornalista?
«Credo alle elementari, quando col mio amico Giuseppe c’eravamo inventati un giornalino scolastico realizzato su fogli protocollo: tiratura venti copie. Ma la verità è che non sono ancora sicuro di averlo capito, quello che ho capito è che voglio raccontare cercando di far confluire in una storia più forme espressive: il giornalismo, le tecniche radiofoniche e quelle del romanzo, il teatro di narrazione, il cinema. Per questo oggi realizzo podcast: è il terreno sperimentale perfetto per questo tipo di narrazione».
Come sei arrivato a Radio Capital?
«Era il 2003, lavoravo per Radio città futura, una radio romana, e mi sentivo maturo per “il salto”. Così ho cominciato ad assediare l’ufficio del personale del Gruppo Espresso ottenendo, alla fine, un colloquio, forse li presi per stanchezza. Ricordo però che andò molto bene, con il capo del personale finimmo a parlare di letteratura. Ti faccio una confidenza: gli dissi espressamente che avrei lavorato in qualsiasi settore del Gruppo, l’importante era che non fosse la radio, sai, davanti al microfono mi emozionavo, non riuscivo a essere controllato, i tempi radiofonici mi angosciavano. Due settimane dopo mi chiamò Rossana Giorgetti, vicedirettrice di Radio Capital: “vieni a fare una prova in voce, ma devo premettere che siamo al completo”. Pensai: che ci vado a fare Nemmeno mi sento portato, per la radio. Andai lo stesso, la prova andò bene, Giorgetti mi richiamò una settimana dopo: “c’è una giornalista in maternità, se vuoi posso farti un contratto di sostituzione”. Cominciò così».
Realizzi Podcast per il gruppo GEDI e One Podcast, ti chiedo la differenza tra essere in onda in radio ed essere un podcaster?
«Tante, ma direi che la differenza principale ha un nome preciso: la diretta. I podcast narrativi, quelli di cui mi occupo io, sono per lo più inchieste che richiedono tempo: per l’ascolto e per la realizzazione, e quindi la mediazione dello studio, della costruzione e della riflessione sono fondamentali. Non c’è diretta. Chi fa informazione in radio agisce in un infinito presente, riferisce di una realtà che muta attimo per attimo, costantemente in diretta, appunto».
Potrebbe esistere, secondo te, una radio con un palinsesto basato interamente sui podcast?
«No, radio e podcast sono due rette parallele che convivono benissimo, non c’è bisogno di contaminazioni».
Da giornalista, come consideri l’andamento dell’informazione in radio?
«Ho l’impressione che segua il corso del giornalismo in generale: meno approfondimento, meno spazi, più leggerezza di un tempo. E poi una maggiore interazione non solo con l’ascoltatore, ma con il fornitore di notizie che adesso si trova anche sui social. Detto questo ci sono giornalisti eccezionali, penso ai miei ex colleghi di Radio Capital, che sanno trovare la giusta alchimia: sono in grado di scavare a fondo nonostante le formule rapide e leggere richieste da questo presente».
Ultimamente studio l’andamento delle canzoni trasmesse in radio, secondo te, è sempre la stessa musica?
«Non credo di rappresentare un campione indicativo, mi piace e mi è sempre piaciuto scegliere, sono abbonato a una piattaforma audio e ho comunque sempre evitato il mainstream, quindi non ascolto molto quanto viene trasmesso musicalmente in radio. Quello che noto è che manca un mondo musicale di mezzo, quello tra la musica ricercata e quella considerata pop di oggi. In genere con me vince chi mi fa ascoltare quel mondo lì, magari visto da un’angolatura originale e schivando banalità e frasi fatte».
La notizia che ti ha coinvolto di più dal punto di vista emotivo, data mentre eri in onda?
«Quella che dovetti dare il 26 maggio 2019, quando morì il mio direttore, Vittorio Zucconi».
Tre canzoni che non possono mancare nella tua giornata?
«Le canzoni che più amo cerco di non ascoltarle troppo spesso, ho paura di sciuparle, di abituarmi all’ascolto. Ti do tre titoli che non possono mancare nella mia vita: “Wild is the wind“ di Nina Simone, “Supplique pour être enterré à la plage de Sète” di Georges Brassens, “Cosa sono le nuvole” di Domenico Modugno».
Ultima domanda, uguale per tutti: una parola o una frase per definire la radio
«Il momento in voce»
Grazie mille per essere stato con noi