La recensione del concerto milanese del nuovo tour del cantautore
Quando mi sveglio, la mattina dopo il concerto, passo ore a scorrere foto e video per cercare di rivivere quei momenti, quando ancora la voce non è delle migliori e l’adrenalina continua a scorrere nelle vene come se avessimo bisogno di un altro concerto ancora. Due anni e qualche mese sono passati da quando acquistai il biglietto per il concerto a San Siro di Cesare Cremonini e ieri sera, finalmente, Cesare è salito su quel palco. Ci è salito per crearne nuovi, di ricordi, per scattare tutte le fotografie e custodirle nel telefono, come canta lui.
Nonostante i quaranta gradi percepiti, San Siro ha abbracciato Cesare e Cesare ha abbracciato 56 mila persone con la sua energia, la sua poesia, la sua musica, la sua magia. Il concerto è stato ripensato e cucito su misura perché si potessero alternare perfettamente i brani più introversi e riflessivi e quelli durante i quali non si può non ballare (qui la scaletta del concerto).
È sulle note di “La ragazza del futuro” che il cantautore bolognese sale sul palco, con la prima delle innumerevoli giacche cosparse di lustrini che illumina il Meazza. Già dal primo pezzo del concerto, San Siro è incontenibile. Allora Cesare sale sulla pedana mobile infondo alla passerella e fa quello che deve fare: volare sopra il pubblico, volare sopra la sua gente. Da lì, poi, non si ferma più. Una carrellata di emozioni con “PadreMadre”, “Il Comico”, “La nuova stella di Broadway” che fa accendere migliaia di lucine e trasforma anche San Siro in una promessa d’amore.
Il momento acustico arriva sulla passerella, quando Cremonini imbraccia la chitarra e, come un eterno ragazzo con il cuore spezzato, unisce la sua voce con quella del pubblico e si cimenta in una versione senza fronzoli di “Qualcosa di grande” che ti colpisce proprio lì, dove hai ancora una ferita, ma puoi urlarla a squarciagola ed ecco che la ferita si rimargina. Al pianoforte, invece, esegue “Moonwalk”, dedicata al padre scomparso e con “Ciao” infiamma, letteralmente, lo stadio, incendiando anche il pianoforte.
La scenografia fa da padrona, sono giochi di luci, laser, fuochi, fiamme. Ma soprattutto c’è Cesare, al centro, che tiene il palco con una naturalezza che mi fa pensare a come abbia fatto a starne lontano per tutto questo tempo. È una festa, un’esplosione di gioia e di colori con “Mondo”, “Logoco”, “Grey Goose” e “Lost in the weekend” che canta ancora sorvolando sul parterre.
I respiri si fermano per un attimo quando è il momento del duetto virtuale con Lucio Dalla nella sua “Stella di Mare”, tutto San Siro si commuove e anche Cremonini dal lato suo, sembra non esserne immune. Tornano poi a gran velocità gli anni novanta ed è lì che i 56mila, stremati dal caldo e dai pantaloni che si appiccicano ai seggiolini, fanno tremare San Siro perché una Vespa “50 special” ti toglie davvero tutti i problemi.
Prima del bis si torna a cantare di cuori spezzati con “Marmellata#25”, di amore e di vita con “Poetica” e con “Nessuno vuole essere Robin”, che ci lascia con una cascata di stelle filanti e un nodo alla gola. Dopo l’ennesimo cambio di giacca, Cesare e i ragazzi tornano sul palco per salutarci con “Al telefono” cantata tra il pubblico, quel pubblico che i telefoni li accende e che cerca di immortalare quei momenti per tenerseli per sempre. Chiude poi con l’augurio più bello che ci si possa mai dare: “Un giorno migliore”.
Le luci a San Siro si spengono, ma la luce e l’energia di Cesare Cremonini rimarranno ancora per molto e gireranno tutta l’Italia quest’estate. Mentre torno a casa in radio passa ancora “Nessuno vuole essere Robin” e allora mi pongo quel fatidico quesito: come mai sono venuta stasera? Bella domanda.
Sono venuta per vedere come si ricomincia a vivere dopo due anni chiusi in casa, per riempire la galleria di fotografie, per Cesare e quella magia che pochi sanno dare. E poi ho capito anche che sbagliare i rigori pesa un po’ di più quando hai il 10 sulle spalle, ma infondo domani potrà essere sempre un giorno migliore. Me lo ha insegnato un artista bolognese che cantava più o meno così.
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