Chi è Naska? La biografia di Recensiamo Musica
Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena musicale. Oggi parliamo di Naska, ecco la sua biografia curata da Francesco Costa
La musica è fatta di grandi storie e di grandi protagonisti. In questo articolo ripercorreremo la carriera di Naska, con la biografia curata da Francesco Costa aggiornata al 23 dicembre del 2025.
Chi è Naska? La biografia di Recensiamo Musica
Dice di sé che è irrecuperabile, uno scappato di casa per il quale non piangere, quello strano con i tatuaggi sulle mani e la maglia dei Nirvana indosso da una settimana. Ha smesso di essere un ragazzo a diciotto anni quando ha salutato mamma, babbo e tutti gli altri, quando tornava a casa dopo otto ore di lavoro e non c’era nessuno. Tutto per inseguire un sogno. L’artista della puntata di oggi ha poco da offrire se non la verità, ma è proprio quella verità con cui si mette a nudo nelle canzoni a renderlo unico. Il suo nome inizia con la lettera N, N come Naska.
Sincerità, un elemento imprescindibile, lo dice anche Arisa. Ed è proprio questa la caratteristica che ho subito riscontrato in Naska mentre ascoltavo l’intensa ballad chitarra e voce “Cattiva”, il suo primo pezzo che ho sentito, pubblicato nel gennaio del 2023. In quella voce così raffinatamente sgraziata e dolcemente veemente, ho percepito la schietta onestà di un ragazzo che racconta una relazione tossica senza edulcorarla, paragonando la propria fidanzata a una striscia di cocaina. Ho percepito il coraggio di invitarti a fare schifo con lui – un suo pezzo si chiama proprio “Fare schifo (con me)” – alla faccia degli ipocriti che si nascondono dietro a un dito in questo mondo che è «tutto finto come il “Ti amo” di una escort».
Il coraggio di mettere in valigia solo i maglioni bucati perché non sarà “Mai come gli altri”, di andare avanti nonostante gli dicano che «è ridicolo fare sto cazzo di punk rock» e di continuare a farlo anche nel singolo successivo “A testa in giù” in barba a chi gli diceva che sarebbe morto presto (da “Non me ne frega un cazzo”) che anticipa il secondo album “La mia stanza”. Nella copertina del disco, al suo interno troviamo pezzi di chiara ispirazione blinkiana come “Pronto soccorso” e “Fottuto sabato” ma anche ballad più emotive come “Wando” e “Male” in cui cita l’Ariston di Sanremo (al Festival sono sicuro che ci arriverà ed è solo questione di tempo), Diego è nudo con solo una tazza a coprirgli le parti intime.
L’immagine rappresenta la provocazione di chi sa di piacere proprio perché è “Fuori controllo”, tutto un altro tipo di nudità rispetto a quella esibita nella copertina di “Milanconia”, l’Ep uscito nel marzo del 2025. Anche in questa cover è nudo, ma il suo corpo è quello di una infelice marionetta che neanche i fili riescono a sorreggere. Una marionetta illuminata dal chiaro della luna, quella luna su cui si sente solo quando è con la sua lei perché altrimenti è spazzatura (da “Come te”) e che omaggia in una cover di “Guarda che luna”.
Una marionetta che sta seduta con il Duomo alle spalle e in giro per la città non c’è un’anima se non la sua ombra ma la sensazione è che nemmeno la sua ombra voglia stare con lui come canta nella sofferente “Non aspettarmi” in cui racconta di tutte quelle volte che cerca una scusa per non tornare a casa e dover dire che va tutto bene, di tutte quelle volte che poi torna la mattina presto e fa le scale perché nell’ascensore c’è lo specchio e se si guarda si detesta. Non vuole preoccupare nessuno, ma sta soffrendo e con queste tracce ci regala il lato più profondo di un giovane diventato uomo quando ha lasciato le Marche per il sogno milanese e si è messo a lavare un piatto dopo l’altro per pagarsi l’affitto e inseguire quella che per tutti era una chimera. «Tre quarti di stipendio lo davo allo studio e quello che restava sughi pronti e fumo», canta in “Ho smesso di essere un ragazzo a 18 anni”.
In queste canzoni si fa a pezzi per ritrovarsi senza rinunciare al solito graffio che emerge particolarmente nei testi come quando chiede alla sua ragazza di usarlo come i suoi “Sex Toys” perché tanto quello che succede sotto le lenzuola rimane tra di loro. «Non dite le preghiere, che cazzo vi piangete? Tanto non me ne sarò accorto», canta invece in “Quando sarò morto” con J-Ax. Ma il manifesto di questo viaggio introspettivo è indubbiamente la devastante ballad “Milano” in cui canta le contraddizioni di una città che ti mangia se vuole («Io metto il cappuccio per proteggermi»), i controsensi della Milano bene che in realtà è un manicomio a cielo aperto in cui lui gira con i capelli tipo Ozzy e vede nella faccia della gente il sorriso di chi pensa “Menomale che non è mio figlio” (da “7 su 7”).
È scrivendo canzoni che Naska fa pace con tutte queste incoerenze e con i sacrifici fatti quando se n’è andato di casa come “Polly” che lascia il suo paese perché le stava troppo stretto. La stessa cosa è successa a lui che durante le superiori si avvicina alla musica e una volta diplomato approda nel frenetico capoluogo meneghino e nel 2017 pubblica il primo singolo “X Season”, pezzo ebbro di stereotipi della trap in cui parla dello xanax come fa nel successivo “Xanny”.
Da questo primo assaggio possiamo pensare che la sua strada sia già segnata da questo genere che va per la maggiore, ma non ci dobbiamo fidare di lui e degli altri tutti bugiardi (da “Non fidarti”) e già con l’ep di debutto “Alo/Ve” del 2020 c’è qualcosa di più dark e di pop come nella ballata “California”. C’è ancora un frequente utilizzo di autotune e di stilemi prettamente derivanti dal mondo rap come in “A letto sveglio”, ma nelle chitarre decise di pezzi come “2024” con Knowpmw si legge la svolta punk che avvia definitivamente pochi mesi dopo con “Settembre” in cui si allontana dal passato («Non voglio più bitch o X, no, tornare che striscio a casa di chi mi ospita»).
Una volta sancito questo taglio, Diego dà vita a pezzi punk come “Spezzami il cuore” che lo accompagnano al primo album, “Rebel” del 2022. A discapito di questa parola così forte, la title track è il pezzo più dolce di tutto il disco, una toccante dedica d’amore in cui confessa alla sua amata che anche se spinge, se lo sputa o gli spara, lui non si sposterà e non la lascerà sola come tutti quelli che le hanno sempre detto che era sbagliata, che non era abbastanza. La maggior parte degli altri brani, invece, tiene fede alla sua vocazione anarchica.
Si avverte infatti la voglia di gridare “Vaffanculo per sempre” che è il pezzo più punk insieme a “Punkabbestia”, termine che ritorna anche nell’ultimissimo singolo prettamente rock “Favola” uscito a fine novembre. Si ribella per rispondere ai grandi che hanno fatto schifo ma dicono il contrario, è per questo che quando ci chiede di fare schifo apertamente – e senza ipocrisie – con lui accettiamo l’invito e rispettiamo il suo volere. Che ha un nuovo tatuaggio, che ha venduto l’oro a casa per le droghe ai festini, che non fa trap ma ha riportato il pop punk, che a Capodanno magari va al Berghain, tutto questo non dobbiamo dirlo.
Ce lo chiede in “Non ditelo ai miei”, ma non è che cambia molto se poi mette storie su Instagram con in mano una canna (da “Mamma non mi parla”). Ma il pezzo più introspettivo del disco, il mio preferito, è “Horror”, è lì che sputa in faccia tutta la verità di cui è capace e mette in guardia la sua ragazza del fatto che è irrecuperabile. Glielo dice proprio apertamente, sciogli quello che ti lega a me o cadremo a fondo insieme. Ma non basta una canzone per convincerla e un po’ come fanno i suoi amici La Sad con cui collabora in “Summersad 4”, scrive un seguito. «Tanto rovinerò tutto, tu hai solo un difetto, che ti fidi di me», canta in “Horror 2”, ballad contenuta nell’album “The Freak Show” del 2024.
Nei testi di questo disco, Diego rivela ancora una volta la sua natura e ci porta nei suoi ricordi. Ci porta a quando c’era solo un bar con l’insegna che andava a metà, a quando lui e i suoi amici erano quelli strani con i tatuaggi sulle mani, gli “Scappati di casa (62015)” che fanno il devasto a “Berlino”, feat con Greg Willen e Gemitaiz uscito come singolo, ed uscivano di casa solo per fare un macello. E di tutto questo non si pente, come confessa in “E mi diverto”. Eppure c’è qualcosa che non torna in questa vita da artista. Come sempre, c’è il rovescio della medaglia. «Quanto vorrei chiudermi in bagno, spegnere tutto e pensare un po’ a me stesso ma oggi non posso, ho uno spettacolo», si sfoga in “Pagliaccio”. Deve ridere, ballare, fare lo scemo, salire sul palco come se nulla fosse.
Poco conta se anche in mezzo a tutte quelle persone si sente solo, ciò che conta è non piangere perché così nessuno lo saprà mai. Non si deve piangere, lo canta anche nel primo assaggio estratto dal disco, “Baby don’t cry”. Ma perché non si deve piangere? Perché bisogna farsi vedere forti, bisogna essere i migliori. «Ma in un mondo di merda dove si nasce e si muore perché devo essere io il migliore?», si chiede Diego nella rock “Corona di spine”.
In questo mondo in cui fanno tutti a gara a chi è il migliore, Naska rivendica il diritto di essere il peggiore. Non è un modello da seguire, è uno scappato di casa nato dove non c’è niente su una strada che si perde tra rottami e fabbriche. Ma non è mai sceso a compromessi. Ha smesso di essere un ragazzo a diciotto anni, ha dormito in divani e divani aspettando che toccasse a lui. Ha un cappio intorno al collo e se ne sbatte del futuro. Si fa a pezzi per ritrovarsi ogni volta che scrive una canzone perché non lo fa per i soldi e nemmeno per il successo. Fa musica per Diego e «se poi andrà tutto a fanculo», ci inviterà al funerale e noi saremo lì con le bottiglie e la musica a mille per celebrare un punkabbestia nato povero ma morto con il sangue blu dell’inchiostro di mille tattoo.