Cimini: “Credo nella forza delle canzoni” – INTERVISTA
A tu per tu con Cimini che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo disco “Mondo tragico quasi magico”. La nostra intervista al cantautore calabrese trapiantato a Bologna
Dopo aver calcato i palchi di tutta Italia con il Tragico Tour Estate, Cimini torna con un nuovo progetto discografico che ne conferma il talento autoriale e la forza comunicativa: “Mondo tragico quasi magico”, fuori dallo scorso 10 ottobre per Garrincha 373 e distribuito da Ada Music Italy. Un titolo nato quasi per caso, o come ci racconterà per ispirazione notturna, che riflette alla perfezione i contrasti dell’album, sospeso tra disillusione e meraviglia.
Anticipato da brani come “Myromantica”, “L’urlo” e “Ave Maria”, il disco mescola synth, chitarre e introspezione in un racconto sincero e generazionale. Canzoni che affrontano il tempo che viviamo, tra rabbia, speranza e malinconia, portando in superficie paure collettive e visioni personali. «Io faccio da filtro – ci spiega – e lascio che le canzoni dicano quello che io non saprei esprimere a parole».
Abbiamo incontrato Cimini alla vigilia del suo Magico Tour nei club per parlare del nuovo disco, del lavoro dietro il suono, della relazione speciale con il suo pubblico e del ruolo che la musica può avere in un mondo tragicomico come il nostro.
“Mondo tragico quasi magico” è un titolo che racchiude già un contrasto fortissimo. Quando hai capito che sarebbe stato questo il nome giusto per il tuo nuovo album?
«L’ho capito sul lungomare di San lucido, il mio paesino in Calabria, una sera mentre facevo un giro in macchina con il mio amico Pietro. Stavamo ascoltando i provini del disco, che ai tempi si doveva chiamare “Manifesto dell’amore della mia generazione”. Mentre ascoltavamo una canzone – che poi è rimasta fuori dal disco – che dava la morale di “che mondo tragico, quasi magico”, ho detto “Pietro, secondo me si deve chiamare così il disco: mondo tragico, quasi magico”. Il giorno dopo mi sono svegliato e ho capito che questa piccola visione non era data dall’alcol della sera prima, ma era più efficace del nome precedente».
C’è un filo conduttore che li lega e che rappresenta il cuore emotivo del disco?
«Il filo conduttore è il punto di incontro tra il mondo esterno e il me più interno. Io forse in questo disco rappresento un filtro: sono canzoni che sono uscite non so per quale necessità, però sono uscite. A volte, quando mi trovo a scrivere delle canzoni, è come se ci fosse qualcun altro che si mette a esprimere quello che io, a tavolino o ragionandoci mille volte, non riuscirei a fare. Quindi sono felice che siano letteralmente usciti questi undici piccoli sfoghi emotivi e sociali».
A livello musicale, che tipo di lavoro c’è stato dietro la ricerca del sound da restituire al disco?
«C’è stato intanto un lavoro di ascolti attuali e passati, fatti con Claudio Marciano, che è un mio amico, una persona che suona con me tutti i giorni nonché la persona con cui è stata fatta la produzione del disco. Tra l’altro questa è stata la sua prima produzione discografica. È un percorso figlio delle mie serate passate a guardare film e serie TV, apprezzandone la musicalità. È un percorso nuovo che non si rifà ad un mondo già preconfezionato come quello della musica italiana che siamo abituati ad ascoltare negli ultimi anni, quindi quell’indie un po’ “da supermercato” mi viene da dire: a questo giro ho voluto fare la boutique».
Qual è la traccia nata più di getto e quella meno immediata che ha richiesto più tempo per la sua gestazione?
«Allora, quella nata più di getto è stata forse “Puntino” e anche “Ave Maria”. Ave Maria, per esempio è uscita davvero in poco tempo. Quella invece che ha richiesto più tempo probabilmente è stata “Non ti ho detto mai”, però non lo so perché, sarà perché ho iniziato a scriverla in Calabria e l’ho finita a Bologna».
Dopo l’estate in tour e l’uscita del disco, riparti con il “Magico Tour” nei club. Qual è l’aspetto che più ti affascina della dimensione live?
«Il fatto che si crei empatia col pubblico. Per me questa cosa è importante perché forse io non mi sento mai capito da nessuno. Non mi sento capito da alcuni addetti ai lavori, non mi sento capito dai miei genitori, non mi sento capito a volte neanche dagli amici. Però dal pubblico, anche quello nuovo che continua ad arrivare, mi sento sempre capito perché c’è sempre in mezzo il filtro delle canzoni e questa è una liberazione, una salvezza per me».
Per concludere, in un mondo tragico e (forse) anche un po’ magico, che ruolo credi che ricoprano, oggi, la musica e l’arte in generale?
«La musica e l’arte in generale ricoprono il ruolo di accompagnare le persone nella vita di tutti i giorni: quando si va al lavoro, quando si va a correre, quando si va a dormire. Io, ad esempio, non riesco ad ascoltare canzoni prima di andare a dormire perché se no mi carico troppo. Credo nella forza delle canzoni e nella forza delle parole e penso che per le persone sia così. Anzi, le persone hanno degli ascolti migliori di me, perché riescono a credere anche nel mood della musica. Io mi fermo spesso alle parole ed esse mi fanno arrabbiare».