mercoledì 18 Settembre 2024

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Claudio Baglioni e l’arte della progettazione: “Tra musica e architettura ci sono molti punti in comune”

L’architetto e il musicista Claudio Baglioni si racconta a Verona, alla vigilia dei suoi ultimi concerti nell’anfiteatro scaligero, un incontro speciale condito da una nomina importante

Nella mattina di venerdì 13 settembre, si è svolto a Verona un inedito incontro con Claudio Baglioni, con l’Ordine degli Architetti che ha conferito all’artista, già laureato in architettura nel 2004, l’iscrizione ad honorem all’Elenco d’Onore dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia scaligera.

La motivazione: aver deciso, nell’ambito dei suoi concerti all’Arena, di mettere il palco al centro invece che su un lato, uno “spostamento spaziale” che ha fatto recuperare “il suo ambito di anfiteatro” alla struttura e un progetto che “ha portato valore e ricchezza alla città di Verona”.

L’arte in grado di restituire una connotazione di libertà. Queste le parole dell’artista nel corso dell’incontro: «Sono contento di essere a Verona in una veste che non mi aspettavo – commenta Claudio Baglioni – perché sono un architetto credente, ma non praticante. Mi sono laureato da grandicello, nel 2004, quando già lavoravo. Una laurea vera, che è stata voluta da mia madre. A tutti gli effetti sono un architetto che ha effettuato l’esame di stato. Tra musica e architettura ci sono molti punti in comune: si dice che la musica sia un’architettura senza edificio, addirittura molti termini si somigliano, ad esempio in una canzone tra la strofa e il ritornello mettiamo un ponte.

L’Arena di Verona è il luogo che mi ha iniziato in questa arena, quando nel 1975 ci entrai per la prima volta con la sensazione degli artisti o dei guerrieri che mi hanno preceduto. Una sensazione di raggiungimento, e ci capitai in una manifestazione a più voci. Era la mia prima esibizione importante, nel periodo delle contestazioni. Prima di me fu fischiato addirittura Charles Aznavour. Nel mio caso, per fortuna, il pubblico mi regalò solo applausi. Ma già dalle prove mi resi conto di questa sensazione di un grande spazio non ben distribuito. Così cominciai a coltivare inconsciamente l’idea di un palco centrale.

Gli anfiteatri nascono per creare spazi più grandi rispetto ai teatri, perché se avessero esteso la platea le ultime file avrebbero sentito e visto meno delle prime. Con la sistemazione di una scena centrale, invece, anche il suono viene meglio distribuito e con il fatto che ci siano molti più post a bordo ring, lo spettatore si sente maggiormente immerso nello spettacolo. E si crea un collegamento emozionale notevolmente forte.

Alle volte, per un cantante veterano, l’esibizione rischia di diventare una celebrazione di sé e una messa cantata. Il pubblico sa cosa deve fare, si alza e si siede come se fosse un rito ecclesiastico. In questo, il compito di un artista che ha ancora un po’ di voglia è quello di andare un centimetro più avanti rispetto a quello che gli altri si aspettano».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.