giovedì 21 Novembre 2024

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Come si cantano mirabili vite: il pop biografico

Come la vita entra nei testi delle canzoni

Capita di cantare senza pensare un motivetto che entra nella testa e martella per tutto il giorno; altre volte, troppo poche in verità, succede di scoprire una canzone biografica, che narra la vita di chi ha cambiato la Storia con la passione, anzi che la Storia l’ha letteralmente fatta, mettendo a frutto i propri talenti. Come la canzone in cui Lucio Dalla ci presenta la biografia di Senna in forma dichiarativa, mediante l’uso della prima persona, “il mio nome è Ayrton, e faccio il pilota E corro veloce per la mia strada”. Un climax discendente, strutturato dall’anafora “e anche se non è più”, “la stessa strada (…) la stessa cosa” perché “qui non ci sono piloti (…) non ci sono bandiere (…) non ci sono sigarette e birra Che pagano per continuare (…) Per sponsorizzare, in realtà, che cosa?”, ci dice che Ayrton ha dovuto essere oltre la dimensione terrena per capire “che era tutto finto (…) che un vincitore vale quanto un vinto (…) che la gente amava me”, oltre il sistema in cui era inserito fino al giorno in cui Dio “rimbalzando nella curva insieme a me Mi ha detto <Chiudi gli occhi e riposa>”.

Un incidente mentre era in corsa, quando era all’apice della carriera e la sua vita era come la rima identica, “una vita al top Un amore al top”, della canzone di Canova su Diego Armando Maradona, mito del calcio contemporaneo. “Maradona è tutto quello che ho voluto fino ad adesso E non parlarmi di calcio sai che quelli come me Preferiscono giocarlo a piedi nudi senza più badare a niente”. È un testo immedesimazione, in cui il narratore si identifica con il soggetto raccontato, eccetto il passaggio in prima persona “sono figlio della gente”, per dare evidenza, forse, al motivo segreto che ha fatto amare così tanto Diego, oltre la sua avventura professionale.

Di nuovo, una dichiarativa “io sono un campione” apre il pezzo degli Stadio, ammantato di consapevolezza fin dall’incipit con “questo lo so”, che ci introduce alla storia di “Marco, Marco il ciclista”. Di chi si tratta? Certamente di un campione al centro di molte discussioni, rispetto alle quali è egli stesso a chiarire “è solo questione di punti di vista (… ) Ma è che alle volte si perde la strada”. Ancora in prima persona, “e se ho sbagliato non me ne son reso conto (…) Esagerato per sentirmi più vero”. Tra allitterazioni e versi in rima perfetta, Marco può rileggere la sua vita da un’altra angolazione, “adesso mi sembra tutto distante La maglia rosa e quegli anni felici E il Giro d’Italia e poi il Tour de France Ed anche gli amici che non erano amici”, fino al giorno della morte. “Poi di quel giorno ricordo soltanto Una stanza d’albergo ed un letto disfatto (…) Ma sono sparito in quell’attimo esatto”. Come un cerchio che si chiude, il testo recupera la parte iniziale “in questo posto dove io sto”, con la libertà di essere al di sopra delle umane sembianze, Marco si concede, finalmente, del tutto al suo pubblico: “chiedete di Marco, Marco Pantani.

Si fanno grandi le assenze di queste vite monumentali nell’immaginario collettivo di una o più generazioni. Ce lo ricorda Renato Zero col testo dedicato alla grande amica e collega Mia Martini, ”potevi amarti di più Dovevi vincere tu…” in  cui coglie, da subito, due caratteristiche che hanno contraddistinto la vita della cantante: la solitudine, “sola così Nel grande gioco dei no” e la sfortuna “la sorte poi È così miope, lo so”. Una domanda retorica “dov’è Mimì Dagli enormi cappelli? “ evidenzia il dolore ancora vivo perché “ho perso te”, mentre “tutto il resto è qua Compreso chi Ti ha condannata già”. Il pezzo si chiude con il ricordo del loro primo incontro che, anche per le grandi amicizie, ha il sapore dell’innamoramento: “<Perché vai via?> le chiedo <Rimani qui Improvvisiamo> E fu così Che mi conquistò Mimì E tutto iniziò da lì”. Chi conosce la storia di Mimì sa quanto male le abbia fatto il giudizio, anzi il pregiudizio negativo su di lei, come artista, ma soprattutto come persona; degenerato, in modo distruttivo, nell’etichetta di ‘portatrice di sfortuna’, ha provocato l’emarginazione totale della cantante fino alla sua scomparsa.

Come non citare, da questo punto di vista, il testo ammonitore di Caparezza, che ci racconta l’esistenza, geniale e fuori dagli schemi, di Vincent Van Gogh, confrontandola con quella di una persona comune, che non può permettersi di definire ‘pazza’ una personalità come quella del pittore olandese. “Prima di dare del pazzo a Van Gogh sappi che lui è terrazzo tu ground floor (…)Van Gogh, mica quel tizio là, ma uno che alla tua età libri di Emile Zola Shakespeare nelle corde Dickens nelle corde (…) Lui a piedi per i campi, lo stimola Tu, rinchiuso con i crampi sul Tapis Roulant (…) Lui olio su tela, e creò dipinti Tu olio su muscoli, e gare di body building (…)Tu in fissa con i cellulari Lui coi girasoli Girare con te è un po’ come quando si gira soli (…) C’è una novità, ragazzo Tu non sei più sano Tu sei pazzo Mica Van Gogh”. Un testo comparativo, a struttura binaria lui/tu, che ci fa riflettere sulle gabbie del mondo, sugli stereotipi in cui siamo irretiti e sulla grandezza di chi è riuscito a scioglierne i legacci attraverso la sua unicità, talvolta fino a morirne.

Così Riccardo Cocciante ci canta Marylin Monroe, mito di bellezza e sfortuna. Marylin non dovevi farlo cara anche se stai meglio dove sei Marylin”. Anche se “son trascorsi molti anni”, la sua fine ha fermato la sua immagine nel tempo, trasformandola in icona, a tal punto che “sei ancora bella qui tra noi (…) sei rimasta giovane come eri (…) non c’è ruga che ti sfiori”. Perdere una persona come Marylin è un castigo, “ci hai punito troppo dove sei”. Questo ‘dove sei?’ che ci domanderemo su ogni mito, su ogni personaggio diventato leggenda per aver vissuto, combattuto e vinto il ricordo eterno e, che anche la musica può contribuire ad alimentare nel tempo.

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.