Costi, promozione o percorso dell’artista: Da dove nasce il problema dei concerti di cui tutti ora scrivono?

Un aggiornamento sulla situazione del concerti in Italia: sempre più live in posti sempre più grandi e pioggia di sold out. A che pro? Riflessione a cura di MisterY
Dietro le quinte è la rubrica che svela i segreti dell’industria musicale dal punto di vista di un insider che ha scelto di restare nell’ombra per preservare la purezza del suo pensiero. MisterY non si nasconde per paura, ma per offrire uno sguardo libero e autentico su un mondo dove spesso conta più chi parla che ciò che viene detto. Il tema di oggi riguarda il mondo dei concerti in Italia.
Grazie alla sua pluriennale esperienza alle spalle, l’autore di questa occasionale rubrica ci guida attraverso le dinamiche, le evoluzioni e le sfide di un settore in continua trasformazione. In ogni appuntamento un tema diverso, ma sempre con lo stesso obiettivo: portare alla luce ciò che resta nascosto nel frastuono del successo.
Costi, promozione o percorso dell’artista: Da dove nasce il problema dei concerti?
Noi lo avevamo anticipato già qualche mese fa, con una serie di articoli sulle vendite dei biglietti di alcuni grandi eventi di quest’estate. Oggi ne parlano tutti: i concerti e la bolla che prima o poi, come intuibile, sarebbe scoppiata. Se ne sta parlando su numerosi blog, sui social e nei podcast. Ne hanno parlato anche numerosi artisti, anche in modo dettagliato e critico come Federico Zampaglione, e anche molte persone appartenenti al mondo live come Ferdinando Salzano di Friends and Partners.
Da una parte è uscita una critica forte contro l’impresa dei live, con costi dei biglietti sempre più alti, e dall’altra è nata una interessante riflessione sulle modalità di messa in pratica di questi grandi eventi.
Quando si parla di costi bisogna sempre ricordare che quello che paghiamo per assicurarci un biglietto di un tale concerto non è il prezzo dei soldi che entreranno in tasca all’artista, anzi, tutto serve a coprire le spese della produzione dell’evento che, in base alla grandezza e alla complessità di creazione, variano ed aumentano in modo esponenziale. Sì, perché dietro a un concerto c’è un mondo di maestranze che hanno costi fissi e variabili, oltre ai prezzi di noleggio di service, effetti, logistica e perfino del catering. Eventi più grandi, semplicemente, significano più materiale tecnico e umano e significano più spese. Esiste un punto, chiamato break even point, dove si arriva a pari e i ricavi eguagliano i costi, quello è il punto minimo per la riuscita e la messa in piedi di un evento. Altrimenti si va in perdita e andare in perdita significa che qualcuno, spesso il promoter, dovrà farsi carico dei buchi causati da un tour senza troppi biglietti venduti. Come farà poi l’artista a recuperare i soldi? Semplicemente sarà costretto a suonare in giro secondo le leggi di chi ha coperto le spese fino a recuperare, poco importa dove e come.
E poi però, al netto della parte economica, c’è tutto il resto. E tutto il resto è: perché fare una / due date evento negli stadi al posto di un tour sicuro nei posti più piccoli? Perché lanciare nel mischione artisti ventenni senza un repertorio in missioni suicide condannandoli ad anni successivi di terapia per ritrovare se stessi? E qui le risposte possono essere tante, perché il pressing di fare sempre di più in sempre meno tempo non arriva solo dalla discografia o dalle agenzie di booking, ma arriva anche dalla volontà degli stessi artisti o dei loro management.
Una corsa al successo che è iniziata quando si è capito che palazzetti e stadi potevano non essere più posti sacri adibiti solo a mostri sacri. E così dopo che Vasco Rossi, Ligabue, Jovanotti e Cremonini, per citarne alcuni, dopo anni e anni di gavetta sono arrivati a fare tour negli stadi, qualcuno ha deciso dall’alto che era possibile anche azzerare questo tempo. E così negli ultimi anni abbiamo visto suonare chiunque in qualsiasi posto. Questa corsa all’oro però non può e non deve essere vista come un fattore prettamente economico. No, c’è molto di più.
Per artista e management è soprattutto questione di piazzamento. Anche una sola data evento in uno stadio trasforma l’artista X in qualcuno da serie A. E quindi, anche grazie a comunicati stampa pensati per l’occasione, si tenta di costruire l’immagine dell’artista in questione a suon di upgrade fini a sè stessi. L’artista questo lo sa? Forse, forse semplicemente rimane abbagliato dalle promesse di passare dalle piazze gratis agli stadi, forse sovrastimando la possibilità di riempire posti immensi. E così arriva poi l’altra faccia della medaglia: la parola flop che nessuno vuole più pronunciare. Si corre ai ripari con gli stratagemmi di cui ormai tutti sono a conoscenza. E allora via con i biglietti a 10 euro per riempire, al palco spostato più vicino per eliminare mezzo parterre, ai teloni neri per coprire etc etc…
Sarebbe bello ritornare a concerti dove i sold out sono veri sold out, e i casi comunque ci sono, attenzione a fare di tutta l’erba un fascio… Sarebbe bello che un concerto allo stadio tornasse ad essere l’arrivo e non il punto di partenza di una carriera. Sarebbe bello che, una volta scoppiata la “bolla”, si tornasse a ripensare che non sempre “più grande” debba per forza voler dire “meglio”.