venerdì 22 Novembre 2024

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Cromo e il rap poliedrico di “Oro cromato” – INTERVISTA

Dall’11 maggio disponibile, sia in formato fisico che digitale, l’album di debutto del rapper genovese

CromoNon è tutto oro quel che luccica, questo potrebbe rappresentare un ottimo slogan di presentazione per Matteo Cerisola, talento hip hop classe ’98, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Cromo. Protagonista della scena freestyle e delle views su YouTube, grazie ai videoclip di “Italieno”, “Quando mi sveglio” e “Ci siamo”, singoli che hanno anticipato la pubblicazione di “Oro cromato”, album che segna il suo personale battesimo discografico. 

Ciao Matteo, partiamo da “Oro cromato”, il tuo album d’esordio. Come stai vivendo questo importante momento?

«Molto bene, grazie. L’intento era quello di costruire un giusto equilibrio tra melodia e rap, anche attraverso i featuring, perché in tutte le collaborazioni presenti in questo disco ho avuto modo di lavorare con artisti che vedono la musica un po’ come la vedo io, da Vegas Jones a Young Slash, da G Pillola a Vaz Tè, protagonisti che ringrazio per il loro sostanziale contributo».

Infatti, come filo conduttore delle tue canzoni c’è sempre molta tecnica e metrica nelle strofe, ma tendi anche a lasciare spazio alla melodia nell’inciso. Come riesci a trovare il giusto equilibrio?

«Non è facile, ma cerco sempre di trovare un buon compromesso, diciamo un 50 e 50. Provengo da una cultura del rap un po’ old school, ascoltavo Jay Z, Kanye West, i Public Enemy, tutti artisti che hanno sempre prestato attenzione alla tecnica, fino ad arrivare a dare spazio anche alla melodia perchè, nel corso degli anni, la base si è molto evoluta».

Qual è la tua personale formula per realizzare il cosiddetto “brano che spacca”?

«Tutto parte dalle parole che mi ronzano in testa, da una frase nascono in maniera del tutto spontanea quelle che io definisco canzoni-slogan, come “Tonico”, “Italieno” e “Cromito loco”. Da alcuni spunti inizio a costruire i pezzi veri e propri, in modo naturale e genuino. A livello testuale, cerco di curare ogni minimo dettaglio e tirare fuori tutto la mia personalità».

Com’è stato lavorare a stretto contatto con la supervisione di un guru dello scena hip hop italiana come Don Joe? Come è avvenuto il vostro incontro?

«Mi ha contattato lui per farmi i complimenti dopo aver visto un mio pezzo condiviso da Ghali, un gesto di stima che mi ha permesso di farmi conoscere a tante persone, tra cui Joe. Da lì abbiamo cominciato a trovarci musicalmente, a scambiarci pareri e a condividere questa idea del rap contaminato da incastri tecnici e melodici. Il suo apporto è stato fondamentale, i suoi consigli davvero preziosissimi».

Visto che ultimamente se ne parla così tanto, qual è il tuo rapporto con l’autotune? Sia per quanto riguarda la lavorazione in studio che nelle esibizioni dal vivo, in generale, qual è il Cromo-pensiero su questo strumento?

«Usare l’autotune fa figo, ma non è quello che ti rende originale. Nel disco ci sono pezzi in cui l’ho utilizzato, alcuni meno, altri dove non è presente perché non lo considero fondamentale. Aiuta molto ad arricchire, soprattutto con le melodie, però non penso sia così importante. Sicuramente, è uno strumento in grado di attualizzare la musica, ma non bisogna abusarne perché altrimenti si corre il rischio di snaturare il proprio lavoro. Nei live solitamente non lo utilizzo, è capitato raramente, perché alla fine è bello cantare le canzoni ed essere se stessi davanti al proprio pubblico».

Com’è il rapporto con il tuo pubblico? Ti sei fatto un’idea del target di persone che ti seguono?

«Dalle statistiche che guardo su Instagram, gran parte del mio pubblico ha una fascia d’età tra i 18 e i 25 anni, ma ho incontrato anche fans più piccoli e più grandi. Sono molto contento di questo, perché in tanti hanno compreso il messaggio che voglio esprimere attraverso i miei pezzi».

Buona la prima, qual è la strada che intendi percorrere in futuro per arrivare sempre a più persone possibili?

«Continuare sicuramente a mostrare attraverso la musica i vari aspetti della mia personalità, mantenere questo animo poliedrico e continuare a sperimentare, per crescere e dimostrare che sono in grado di ottenere con il tempo un’evoluzione. Non mi piace seguire le mode, come quelli che fanno un certo tipo di canzone perché il singolo precedente è andato bene. Ogni brano ha una sua storia e deve nascere dalla spontaneità di un momento creativo, dalla sincerità del voler lanciare un messaggio e non dall’esigenza di restare in classifica o passare in radio». 

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.