“Dalla A alla Z”: B come Bresh

Bresh

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi ricominciamo dalla B come Bresh. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi ricominciamo dalla B, B come Bresh.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: B come Bresh

Apatici eredi del consumismo, figli dei social incapaci di tessere relazioni reali. C’è chi si affanna nel definire i ragazzi di oggi come dei mostri creati ad arte nel deleterio laboratorio distopico dell’omologazione. Fatti con lo stampino, privi di qualsiasi radice e tradizione.

E poi arriva Andre, l’artista della puntata di oggi. «Andre è chiunque, chiunque ha un pensiero sempre individuale, simile o uguale, felice o grave». Dice di avere le labbra salate e si presenta come un pirata. Più che pirata, è un marinaio sempre pronto a salpare per nuove rotte. Ma soltanto quando torna nel mare della sua Genova ritrova la pace e gioca a calcio con il vento. Il suo nome inizia con la B, B come Bresh.

È proprio vero come dicono, l’unione fa la forza. In nome di questo proverbiale monito, subito dopo la maturità, lascia la Liguria (che a differenza di Elisabetta Canalis è sua veramente) e si trasferisce nell’hinterland milanese. Tra il 2015 e il 2016, quando è soltanto un ragazzino sbarbato a caccia di sogni, vive a Calvairate nell’appartamento dell’amico Rkomi, insieme a loro c’è anche Tedua. «Stiamo arrivando», canta Bresh in “Baghera”, uno dei pezzi rap degli inizi. Ci crede lui prima degli altri. «Andre cantava, cantava, cantava senza lezioni, senza chitarra, senza nessuno che lo ascoltava». Sono passati dieci anni e da allora un fiume di dischi di platino ha inondato la loro arte. Quei pazzi mesi di convivenza, in cui si spalleggiano a vicenda e condividono tutto (tranne le donne) – come raccontano Andrea e Mirko nel ritornello del loro duetto “Brutti ricordi” del 2025 – pongono le basi di un successo che va oltre ogni purpurea aspettativa.

Sempre tra le barre di quel brano delle origini, si staglia un’avvisaglia che, alla luce dello stile dell’ultimo disco, è quantomeno rivelatrice: «Sono venuto su cibandomi a pane e De André». La canzone ligure gli scorre nelle vene e lo si evince dalle strumentali morbide e suonate, dalle strutture folk di un genere prettamente urban, ma fortemente contaminato dalle atmosfere di Faber. Non per altro, durante la serata delle cover del suo primo Festival di Sanremo, qualche mese fa, sceglie Cristiano, il figlio di Fabrizio, e canta con lui – per ben tre volte tra un problema tecnico e una scazzottata dietro le quinte – una strepitosa versione dell’iconica “Crueza de ma”. Il mare, il suo più fedele compagno. È lì che, da buon marinaio, trova rifugio e se ci vuoi parlare, ti devi calare dentro “La tana del granchio”, titolo dell’ondeggiante pezzo pop con cui conquista anche il pubblico della tv generalista.

Complice la vincente esperienza sanremese, Bresh sceglie ancora una volta la lingua genovese per un inedito che ti trasporta in un istante tra i caratteristici caruggi con una folata di vento delle montagne che ti spettina i capelli e il profumo della vicina distesa sterminata di mare nelle narici: “Aia che tia”. Ascoltare l’ultimo album “Mediterraneo” è come guardare “Oceania”, il film della Disney. È un’uscita in barca, una di quelle navi vintage con il timone in legno e lui è il prode condottiero che come molti liguri ha un “Umore marea”, ma se ti affidi alla sua voce ti guiderà attraverso il vento di “Kamala” e ti porterà alla meta prevista dalla “Rotta maggiore”

Nella sua musica, Genova c’è sempre e da sempre. Anche nella title track di “Che io mi aiuti”, il primo disco del 2020 figlio della fase hip hop: «Genova soffia il vento come il fischio in bufera, siamo il faro nel porto quando scende la sera». Tra i brani ci sono ovviamente gli immancabili featuring con i vecchi coinquilini, “Oblò” con Rkomi e “Parà” con Tedua. Ma con il primo duetta pure nella radiofonica “Parli di me” – estratta come singolo dal suo secondo progetto “Oro blu” del 2022, anticipato dalla hit “Angelina Jolie” – e in “Nuovo me” insieme a Mace e iako mentre con il secondo canta in “Step by step” del 2017, nel tormentone con Tony Effe “Dopo le 4” e nella recente “Capo Horn”, tra i pezzi più streammati di questo periodo su Spotify. A unirli tutti e tre è invece “Anime libere” del 2023 in cui si definiscono corsari coi diamanti, ancora una volta il tema del mare. Tedua è infatti ligure proprio come lui e sempre liguri sono Izi, con cui Andrea duetta in “Girano” e “Come stai”, e Sayf, suo compagno in “Erica”, il tragicomico racconto su note ballabili di una relazione finita male.

Ma c’è una relazione che a Bresh non andrà mai male, quella che lo lega alla sua città e al suo amato Genoa a cui dedica il suo successo più grande, una hit immortale da mezzo milione di copie vendute, la poetica “Guasto d’amore”. Un brano emotivamente impattante, da cantare in centomila in uno stadio e infatti è proprio quello che succede. Prima di ogni partita, i tifosi genoani si alzano in piedi, si mettono una mano sul cuore e la cantano a squarciagola come se fosse l’Inno di Mameli. Tutti uniti da una passione viscerale, più forte di loro. Vedono il Grifone e la pancia trema, la voce vibra. «Ho un guasto d’amore, non riesco a star bene perché non ti vedo per tutte ‘ste sere». Le parole che tutti vorremmo sentirci dire dalla persona che amiamo, lui le rivolge a una squadra di calcio perché una partita appassiona e può lasciarti senza fiato da quanto è imprevedibile. Servono strategia e istinto, sentimento e razionalità. Ma che si concluda con una vittoria, una sconfitta o un pareggio ha sempre una durata massima oltre la quale è vietato procedere. In fondo, a pensarci bene, il calcio non è poi tanto diverso dalla vita. Una vita così caotica che ci prende le emozioni e le spinge nel pieno della “Torcida”.

Ed è proprio così che Bresh racconta l’amore nelle sue canzoni. L’approccio all’altro sesso è spesso impacciato, in “Agave” lo confessa quasi imbarazzato: «Ho una compagnia di soli maschi che non ci sa fare, come impatto non è l’ideale, ti potresti pure spaventare». Ma lui la goffaggine la sfrutta sapientemente e questo lo rende spiritoso e sensuale. A giudicare dai commenti che si leggono sotto i post che condivide sui social (alcuni ai limiti della pornografia) direi decisamente che le ragazze non si spaventano. Anzi, se ne innamorano perdutamente. E anche lui, quando scoppia la scintilla, si lascia andare. Gli amori di cui parla nei pezzi, infatti, da “Altamente mia” a “Il meglio di te”, sono totalizzanti e vividi. Ti coinvolge grazie alla sua abilità nella scrittura, ricca di metafore articolate e raffinate, e sembra anche a te di vivere per tre minuti un’amore che ti morde come una “Tarantola”.

Nella nave del marinaio Bresh c’è spazio per tutto. È come uno “Svuotatasche” in cui ci puoi trovare le prime sigarette che ha fumato e quelle che ancora deve accendere, un pezzo di pane e burro che sa di infanzia e un 33 giri di Fabrizio De André per affrontare il viaggio. Ci trovi l’acqua del mare che filtra da un piccolo foro, ci trovi un soffio di vento. E tra un ricordo di ciò che è stato e una proiezione di quel che sarà, è capace che spunti fuori pure un pallone da calcio.

Di certo non può mancare una sua foto da ragazzino quando cantava, cantava sempre di più. Senza sapere chi stesse ascoltando, senza sapere nulla di nulla. Cantava, cantava, cantava con la valigia in mezzo alla piazza, in mezzo alla gente ma senza il tour. E anche se ora tutto è cambiato, la gente c’è e il tour è sold out, Andre rimane lo stesso marinaio 2.0 di sempre. «Ora comprerò la nuova vela per la nave che ho, anche se ho un buco nello scafo vabbè lo copriremo con un giro di scotch». Non gli importa dei rischi, è pronto a salpare da un momento all’altro perché tanto c’è il Grifone che veglia su di lui. E Genova lo sa, lui tornerà.

Scritto da Francesco Costa
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