“Dalla A alla Z”: D come Diodato

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla D di Diodato. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla lettera D, D come Diodato.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: D come Diodato
L’Arena di Verona è vuota, non c’è nemmeno il palco. Non c’è la platea, non c’è nessuno. Luci soffuse, un’asta al centro e un cantante che impugna il microfono camminando per l’anfiteatro, avvolto da quel silenzio innaturale che non possiamo scordare.
No, non è un video musicale. È una versione post apocalittica dell’Eurovision Song Contest. Una versione atipica come atipico è il personaggio di oggi. Nato ad Aosta, cresciuto a Taranto. Vince Sanremo e il mondo si blocca. L’artista della terza puntata inizia con la lettera D, D come Diodato.
Quando Amadeus arriva al Festival nel 2020, decide di concentrarsi solo sulle canzoni e sceglie volti meno noti al pubblico generalista. Tra tutti i brani ce n’è uno che lo stupisce al primo ascolto, senza indugio chiama il suo autore. “Sei in gara” e la reazione dall’altra parte è festosa ma incredula. Ringrazia con la sua umiltà taciturna, eppure c’è qualcosa che sotto sotto non gli torna.
Al direttore artistico, continua a chiedere: “Con chi me la fai cantare?”. Che vogliano lui, uno sconosciuto per gli spettatori talvolta attempati di Rai 1, da solo, è qualcosa a cui proprio non riesce a credere. Convinto che lo facciano duettare con qualcuno di successo per giustificare la sua presenza, si sbalordisce alla realizzazione che su quel palco tra i big ci sarà soltanto lui. Ma Diodato non si esibisce e basta, con la sua “Fai rumore” vince il Festival di Sanremo e la sua vita viene stravolta.
Un risultato incredibile che raggiunge all’età di 39 anni, quando ha ormai già accettato che difficilmente farà successo con la musica. È lì sul palco, travolto dalle emozioni, con i conduttori che gli danno il premio. Davanti agli occhi, nel frattempo, ripercorre rapidamente tutta la sua vita, la lunga gavetta. E pensa ai suoi vent’anni, al periodo in Svezia quando sperimenta con le prime canzoni e presta la voce a un pezzo del cugino Sebastian Ingrosso che poi diventerà celebre con il suo gruppo, gli Swedish House Mafia. Pensa alle sue origini, a quando passava tutto il giorno a giocare con i videogiochi. Pensa al nonno e alle uscite in mare con la famiglia, alla sua terra che tanto ama. Ai concerti nei luoghi più disparati, a quando sognava di fare cinema, a quando tutto è iniziato.
Nato ad Aosta, dove i suoi genitori si trovavano in vacanza incuranti del fatto che potesse venire al mondo da un momento all’altro, in un giorno di fine estate del 1981, Antonio è un bambino tranquillo. Non parla molto, si ferma ad ascoltare i discorsi dei grandi tra un viaggio e l’altro. Con il padre commerciante di abbigliamento all’ingrosso, è sempre in giro. Eppure con Taranto, la città in cui cresce, sviluppa un rapporto viscerale. Rapporto che lo porterà a ricevere una Benemerenza Civica da parte del sindaco, ma che soprattutto gli farà vincere il secondo David di Donatello per la Miglior Canzone nel 2024.
Il brano, “La mia terra”, fa da sfondo al primo film alla regia del suo amico Michele Riondino che, in “Palazzina LAF”, racconta il dramma dell’Ilva. Insieme al conterraneo, e all’amico Roy Paci, collabora nel 2016 quando gli affidano la direzione artistica del Concertone del Primo Maggio. Ma come è nata la sua passione per la musica? Se siete stati a un suo concerto, è possibile che lo abbiate visto esibirsi con un minuscolo pianoforte. Ecco, quello strumento giocattolo è un regalo che gli hanno fatto da piccolo. Tutto parte da lì. Poi iniziano le medie con indirizzo musicale, i terribili approcci con il violino che sua madre ricorda ancora come un incubo e la chitarra che impara da autodidatta.
La prima esibizione davanti a un pubblico a 18 anni nella palestra della scuola. Canta “One” degli U2, la prof di inglese lo ascolta incantata e gli alza il voto da 4 a 7. Ma non è questo quello che conta, conta che in quel momento impara a stare sul palco per non scenderci più. E calcherà i palchi di tutto il mondo, addirittura in Brasile. Perché la sua natura artistica così vagabonda lo spinge lontano dalla Puglia da cui, però, non si disunisce mai fino in fondo, come Battiato con la Sicilia o Chappell Roan con il Midwest.
È a Roma mentre studia cinema al DAMS che mette in piedi una band con cui suona ai matrimoni e alle feste. Si produce un ep da solo e poi conosce il produttore Daniele Tortora che lo introduce nel mondo della discografia, quello serio. Nel giro di due anni, le cose sembrano ingranare. Esce il disco “E forse sono pazzo” e arriva il primo Festival tra le nuove proposte nel 2014, occasione che sfrutta al massimo con il pezzo pop rock “Babilonia” classificandosi secondo dietro Rocco Hunt.
Non vince, ma il suo sound raffinato e la sua riservatezza conquistano subito il conduttore Fabio Fazio che lo chiama a chiudere tutte le puntate di “Che tempo che fa” interpretando ogni sera un successo diverso della musica italiana. Gli anni successivi trascorrono brulicanti tra canzoni scritte per giovani artisti e collaborazioni di spicco come quelle con Daniele Silvestri. Per Carosello Records, l’etichetta di cui fa tutt’ora parte, esce nel 2017 l’album “Che cosa siamo diventati” e nel 2018 partecipa per la prima volta tra i big di Sanremo. Ovviamente non da solo. Ad accompagnarlo ritrova il trombettista Roy Paci che è più conosciuto di lui. Con “Adesso”, brano sontuoso arricchito da fiati pazzeschi, si classifica ottavo e il pubblico comincia finalmente a scoprirlo.
Tutti questi ricordi, e molti altri, gli riaffiorano mentre lo premiano con il leoncino d’oro. E da quel giorno, gli impegni si inseriscono sempre più fitti nella sua agenda. C’è un album appena uscito da promuovere, il disco di platino “Che vita meravigliosa”, l’Eurovision da organizzare e il tour da pensare. Peccato che in questa nuova e meritata frenesia da cantautore di successo, c’è un imprevisto. Un nemico che gli blocca ogni autostrada musicale e lavorativa proprio sul più bello, in quel delicato momento in cui avrebbe dovuto imporsi consolidando i consensi ottenuti: il Covid.
Avrebbe dovuto portare la sua “Fai rumore” nei programmi televisivi, farla conoscere sempre di più, fino al tetto d’Europa e invece non ha potuto. Ma in quei giorni così grigi, la fiammella della sua arte non si spegne. Rimane accesa e lo fa sui balconi degli italiani. Chiusi nelle case per il lockdown, accolgono l’invito di Diodato e fanno rumore urlando a squarciagola quel ritornello liberatorio che sconfigge il silenzio e scalda i cuori afflitti, consolandoli.
Da Milano a Palermo passando per Bologna, Firenze e Roma. Tutti la cantano e si fanno forza in un flashmob da pelle d’oca, la soddisfazione più grande. “Che in tanti abbiano scelto di manifestare la propria voglia di vivere, di comunicare, di rompere il silenzio con questa canzone, mi riempie di emozioni forti, mi fa piangere, cantare, come un pazzo, da questa piccola casa in cui sono rinchiuso, insieme a voi”. Il 2020 è stato un anno difficile per molti, paradossalmente non per lui che vince tutto.
Pure il suo primo David di Donatello con “Che vita meravigliosa”, la canzone scelta da Özpetek per “La dea fortuna”. Con questo premio, può ufficialmente dire di essersi laureato in cinema per qualcosa. Il legame tra Diodato e la cinematografia diventa infatti un vero e proprio must. Dopo molte esperienze da comparsa per sbarcare il lunario, adesso per i film ci fa le colonne sonore. Nel 2021 scrive e interpreta “L’uomo dietro il campione” per il film “Il Divin Codino”, dedicato al suo idolo Roberto Baggio, mentre nel 2022 cura una colonna sonora musicalmente di bondiana memoria per “Diabolik”.
Il focus rimane ovviamente sulla musica, anche se i giornali e i pettegoli social parlano spesso della sua vecchia relazione con Levante. Una storia d’amore importante che viene raccontata spesso nei testi dei due artisti. Lui lo fa in maniera discreta nella sua “Quello che mi manca di te” e lei in “Antonio”, evitando ai curiosi qualsiasi sforzo interpretativo. Qualche anno dopo, l’artista siciliana, parlando con Gianluca Gazzoli, ha tirato le orecchie all’ex fidanzato accusandolo di essersi fatto vedere come la vittima della coppia. Ma da questi gossip, Diodato si tiene sempre distante. Ed effettivamente ci riesce perché nella nostra memoria, quando pensiamo a lui, ci vengono in mente ricordi di spensieratezza.
Quella gioia della finale di Sanremo, l’ultimo momento televisivo di serenità prima della pandemia. Dal baratro, però, ci si rialza e si va finalmente al mare. Dopo i primi mesi duri, canta la rinascita in “Un’altra estate”. Ma dura poco perché poi si torna alle chiusure e in quell’autunno complesso ci tiene compagnia uno dei suoi più grandi successi, “Fino a farci scomparire”. Per la vera rinascita dobbiamo aspettare maggio 2022 quando si esibisce con una performance travolgente alla finale dell’Eurovision di Torino.
Due anni dopo aver cantato “Fai rumore” in un’Arena deserta, ora la intona a tutta voce davanti a migliaia di spettatori. Non si risparmia e si fa accerchiare da ballerini. Con quel brano ci ha reso più tollerabili le ferite e poi, una volta completamente guariti, ci ha fatto capire che potevamo finalmente andare avanti. Dalle ceneri sono spuntati di nuovo i fiori che mette nella copertina dell’album “Così speciale” nel 2023. Un disco importante, maturo. Molto melodico, ma mai banale. Un disco che può finalmente promuovere in un tour estivo italiano ed europeo. Si esibisce addirittura in Cina.
Sono passati quattro anni da quella vittoria. Amadeus è alla sua ultima edizione da direttore artistico, quella del 2024, e non ha dubbi, in gara rivuole Diodato che gli aveva portato così tanta fortuna nel 2020. Antonio accetta emozionato e porta all’Ariston “Ti muovi”, il perfetto seguito al precedente brano sanremese. Un pezzo pop strutturato che sfrutta l’orchestra come si deve, il testo è delicato e forte al tempo stesso.
Tocca le corde più intime delle persone che lo rendono un successo da disco di platino e da quel momento in poi non si ferma più. Ha acceso un fuoco, come dice nel titolo di un album in cui riarrangia le canzoni più amate della sua discografia, che si propaga costantemente. Sempre più lontano, fino in America e poi in Brasile, stregando ogni volta il pubblico. E poi il ritorno in Italia nei teatri più importanti. In seguito a tutti questi concerti, non ne vuole sapere di fermarsi ed è già in programma una tournée per l’estate 2025.
Con questo racconto abbiamo fatto un viaggio nei ricordi, in quelli di questo artista e nei nostri. Ricordi intensi, a volte dolorosi. Viviamo in tempi strani, difficili come quelli del romanzo di Dickens. Abbiamo dovuto dividerci, fare rumore senza fare rumore. Quando tutto sembrava finito ed eravamo pronti per ricominciare, sono arrivati altri problemi. Problemi su problemi. Siamo stremati dai problemi. Ci siamo annichiliti, procediamo per la forza di inerzia e non crediamo più nel futuro. Tiriamo a campare, ma c’è una cosa che deve rincuorarci e ce la insegna Diodato. Forse esiste una parte di noi che spera ancora che sia possibile ed è a quella parte che ci dobbiamo aggrappare.
Ricordandoci sempre che dopo un’Arena vuota, ce n’è sempre una piena che ci aspetta per cantare. Forse è questo il senso di un artista, stare sul palco. È questo il senso di Diodato e lo ha capito 26 anni fa in quella palestra dove ha cantato gli U2. La sua fame di concerti, di musica lo tiene in vita. E allora coraggio Antonio, ci sono ancora nuove vette da raggiungere. Nuovi palchi da conquistare.