“Dalla A alla Z”: G come Gazzelle
Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla G come Gazzelle. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla G, G come Gazzelle.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: G come Gazzelle
Che ci fanno Harry Styles, Valerio Lundini e l’artista della puntata di oggi in una piazza gremita di persone? Aspettano l’elezione del Papa! Sembra una barzelletta, ma per quanto faccia sorridere immaginarlo in mezzo alla ressa di San Pietro con le sue vibes da scappato di casa, è successo realmente. Senza una ragione precisa, risulta involontariamente comico come in quel filmato virale su TikTok in cui una fan lo abbraccia stringendolo un po’ troppo e lui rimane immobile e sorridente accennando un flebile “Ahia”. Impacciato come un bimbo il primo giorno dell’asilo, quando di notte si fa buio si sente l’ultimo sopravvissuto e la mattina solo occhiali neri. Ma nonostante i destri che riceve tutti i giorni della settimana, alla domenica trova la forza di dirsi “Dai Flavio dai”. Il suo nome inizia con la lettera G, G come Gazzelle.
«Sono stufo di andare a ballare nel solito posto di merda, le solite facce distrutte, i soliti discorsi senza impegno», canta in “Nero”, singolo pubblicato nel 2017. In queste parole di immediato impatto si legge l’essenza di un ragazzo più vicino ai trenta che ai venti che rivendica – in un mondo pieno di brio – il diritto di non essere energico ed entusiasta, il diritto di non andare in discoteca perché la trova “Démodé”. Nelle sue parole, così come nella sua musica, trova casa il disagio vissuto da più generazioni, quel disagio di una “Vita paranoia” con il cuore in salamoia e la testa che vola via e a volte non riatterra.
La sua vocazione artistica – iniziata a soli sei anni e poi continuata da adolescente e da giovane adulto nei locali in cui suona da quando ha 22 anni – nasce per questo, per esprimere l’insoddisfazione di vivere in una realtà ebbra di contraddizioni e dominata dall’immagine. È per questo che – come una Myss Keta completamente depennata di qualsiasi forma di joie de vivre – oscura i suoi connotati e non si mostra almeno fino all’uscita del primo disco, è per questo che ne passa di tempo prima che su un giornale ci sia la sua faccia in copertina come canta in “Smpp”, acronimo del festante motto “Stavi male pure prima”. In questa ballad calda e intima racconta di qualcosa che non c’è più, di partenze rimandate, di tutto quello che non dice mai. I nostalgici rimpianti sono il fil rouge che lega i suoi testi fin dal primo inedito uscito nel dicembre del 2016. «Mi ricorderò dei giorni pallidi quando pioveranno lunedì», si apre così “Quella te” perché ci sono lunedì che ti riportano a quell’estate passata a bere e fingere non sia la proiezione di noi stessi negli altri a piacerci degli altri.
Ci sono lunedì che ti mettono le mani addosso, lunedì che ti rompono il naso, lunedì che ti fanno venire voglia di drink e di venerdì come quelli di “Non sei tu”: pezzo struggente e dilaniante che esplode in crescendo, un diamante dell’indie pop italiano in cui Flavio sfoga il rifiuto di rivedere la donna che ha amato – quella con cui tornava tardi pieno di graffi, con cui rideva come un matto e correva come un pazzo – negli occhi blu di una sconosciuta che non è lei. Ma ci sono anche dei lunedì, come quello di “Balena”, in cui ti senti che qualcosa cambierà, che crollerà il pavimento. Un’altra immagine forte, archetipo del suo indie umbratile e melanconico che lui definisce provocatoriamente sexy pop.
Sexy come le mutande abbassate nella copertina del primo album “Superbattito” (certificato già con il disco di platino) per esprimere un controsenso rispetto ai pezzi dolci come lo “Zucchero filato”, titolo del secondo singolo estratto. Il primo sentimento che provo quando ascolto Gazzelle è proprio la dolcezza perché nessuno come lui, nella nuova leva di cantautori, racconta l’amore in modo così convincente e dalle mutande dell’album di esordio si passa al panda del delicato brano di debutto sanremese che mi scombussola ogni volta come un “Meltinpot” di emozioni che ti fanno sentire “Stupido” e felice come chi è innamorato. «Vorrei guardare il soffitto con te stesi su un letto col raffreddore, chiudere gli occhi e vedere com’è», si chiude con questa scena vivida, sincera e profondamente romantica “Tutto qui”, il pezzo con cui arriva undicesimo al Festival nel 2024 e dopo i giovani conquista anche le orecchie e i cuori dei boomer.
Sanremo arriva a distanza di otto anni dall’inizio della sua carriera, non come un punto di partenza, ma come un premio dopo gli importanti risultati che racimola negli anni contando solo sulle sue gambe – risale al 2022 il primo tour nei palazzetti – particolarmente a partire dall’autunno del 2020 quando spopola nelle radio e nelle cuffie di milioni di italiani la sua canzone più iconica, una hit destinata a rimanere nel tempo: “Destri”. Sei dischi di platino per un pezzo che riesce a intercettare il sentire comune in una fase buia per l’umanità, quella del Covid che fa da sfondo già al singolo precedente.
«Mentre sul mondo piove forte suoniamo un pianoforte e cantiamo insieme na na na», canta in “Ora che ti guardo bene”. È il sentire comune di chi non vuole più fare caso ai destri che ti colpiscono per tornare a quei momenti lì, a quando andava tutto a gonfie vele. Tra le luci di Natale, le Winston Blue smezzate e le facce come zombie di questo successo, la gente riscopre un pop punk alla Blink182 che Flavio presenta anche l’anno dopo in “Fottuta canzone”, brano da strillare finché non c’hai voce con cui anticipa “OK un c***o”, la riedizione del terzo album “OK”, pubblicato nel febbraio 2021. Il disco si compone come un puzzle di tutti i tasselli della sua anima, quelli più “Blu” che danno voce a chi si è perso e cerca dentro il cappotto qualcosa per essere sé e quelli scanzonati come nella orecchiabile “Però”. E poi c’è il duetto con thasup in “Coltellata” (due anni dopo uniranno le loro voci e le loro penne anche in “Quello che eravamo prima”) a cui segue pochi mesi dopo il feat con la sorella Mara Sattei in “Tuttecose”.
«Mare, fammici stare bene. Dentro c’è tuttecose, stiamocene io e te», recita il ritornello di quello che è a tutti gli effetti un pezzo per l’estate. Perché contrariamente a quello che si potrebbe pensare, Gazzelle è anche leggerezza e non lo dimostra solo in questo singolo ma anche nella anti hit estiva “Polynesia” del 2019 in cui sotto il sole di agosto grida che di andare al mare proprio non gli va. Il brano è contenuto nell’edizione “Post Punk” del disco precedente “Punk” (anche questo sancito da ben tre dischi di platino) che nelle sonorità non è particolarmente punk e apparentemente sembrerebbe un’incoerenza, come chiamare una canzone “Sopra” e ripetere la parola “sotto” dodici volte soltanto nel martellante refrain. Il sound è più che altro un synth pop come quello di “OMG” in cui il punk trova espressione nel testo che parla di quella innata voglia di dare fuoco al divano.
Nella allegra “Non c’è niente” torna invece l’astio nei confronti delle discoteche, ma non manca neanche la sua solita intensità. «È che ho scoperto che le cose belle appassiscono e che i sogni dentro ai cassetti marciscono», canta in “Coprimi le spalle”, la canzone più invernale del disco in cui confessa che se fuori piove, lui dentro nevica. Arancione come le “Foglie” dell’autunno è invece “Settembre” che – oltre a essere mese perfetto per ricominciare – è la power ballad uscita come singolo dopo l’anti hit estiva. Sempre per l’estate pubblica cinque anni dopo “Mezzo secondo”, irresistibile dedica d’amore («Sei bella come Kurt Cobain») dal gusto saudade elettro pop che anticipa insieme a “Come il pane” e “Noi no” il nuovo attesissimo album.
Un anno dopo Sanremo, nel gennaio del 2025, vede la luce “Indi”, il suo disco più maturo in cui fa pace con i fantasmi e accetta di convivere con questo vento gelato che ci sposta e che ogni tanto fa bene e ogni tanto fa male, il vento vitale di cui parla nella delicata traccia introduttiva “Piango anche io”. Ma l’apice della consapevolezza lo raggiunge comprendendo che l’odio è solo un sassolino nella scarpa, che il buio è solo un’invenzione perché il buio è dentro le persone, che ci conviene lasciare fare alla vita le cose e che quando finisce l’amore dobbiamo avere il coraggio di lasciarlo andare con un sincero e affettuoso augurio: “Stammi bene”, si chiama così uno dei pezzi più intensi della sua carriera da cantare a squarciagola in uno stadio (cosa che ha già avuto l’onore sia all’Olimpico che a San Siro).
Nel disco non mancano ovviamente i pezzi orecchiabili più synth come “Grattacieli meteoriti gli angeli” e il singolo “Da capo a 12” nel cui testo riscontriamo una inedita positività («Penso pure che la pioggia prima o poi finirà»). Quella stessa positività e capacità di accettare che “È andata come è andata”, di capire che tutto s’intreccia e alla fine si spezza ma se non si spezza hai ragione te come canta in “Idem”, dolcissima dichiarazione molto indie («Se tornassero i tirannosauri io vorrei stare con te»), contenuta in “Dentro” del 2023. E se in quel brano, il miele lo destina all’amata, in “Roma” con Noyz Narcos è per la sua città. È per ogni momento che gli ha regalato, per tutte le notti che gli tolto il fiato, per quello che ha preso, per quello che ha dato. Quella stessa città che gli ha fatto fare un sorriso, che fosse anche uno solo ma sufficiente a farsi forza come in “Flavio”.
«E tutti insieme: “Flavio, dai, Flavio, dai, Flavio, dai, Flavio, dai, Fla”», canta ripetutamente nei ritornelli di questa canzone che lo rispecchia perfettamente. Gli occhiali neri, la vita fatta di sogni grossi e canzoni. Ed è grazie a tutte queste canzoni, scritte per avere ricordi in più al posto di quelli cancellati, che ha imparato a trasformare l’odio per sé stesso in qualcosa di buono. È grazie alle canzoni che ora riesce a spegnere la tv e rimanere al buio. «Quando sei al buio lì fuori, gli altri tutti lampioni, ma lo sai che è solo un generatore».