“Dalla A alla Z”: I come Imagine Dragons

Imagine Dragons

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla I come Imagine Dragons. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla lettera I, I come Imagine Dragons.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: I come Imagine Dragons

Sono le sei di sera, il sole batte ancora ostinato a Milano. È una calda giornata di giugno, siamo nel 2022 e tra i 65mila occhi in attesa all’Ippodromo ci sono anche i miei. Sul palco si sta esibendo Rkomi, ma lo si evince dagli sguardi che le orecchie in rigoroso ascolto sono poche. A lui è toccato l’ingrato compito di anticipare una band da record. Con 75 milioni di dischi venduti, sono tra gli artisti più di successo di sempre. 

C’è chi giura di non sapere chi siano, chi ignora il loro nome ma ha presente. Come Mara Maionchi che a X Factor li ha chiamati “Immagina i draghi”. E poi parte la prima nota di una canzone di dodici anni fa, tutti dicono “Bella questa” e alzano il volume perché quando li senti per radio li riconosci subito. Sono il gruppo che ha reso più rock il pop e più pop il rock. Il loro nome inizia con la I, I come Imagine Dragons.

In questo percorso dalla A alla Z della musica, quella americana sembra diventare via via una perenne tendenza alla contraddizione. Lo abbiamo imparato con Chappell Roan e Halsey, non è detto che ciò che ci immaginiamo poi effettivamente sia come lo pensiamo. Chi lo conosce lo sa, il leader di questa band ha una vera e propria avversione nei confronti dei vestiti. Lo capiamo, con quel fisico possente, che tiene allenato per combattere i suoi mostri, ci spoglieremmo tutti. A giudicare dal genere che fa, ti aspetteresti però un corpo pieno di tatuaggi. Un altro coso dipinto, per dirlo alla Gasparri. Ma lui, di grossi disegni incisi sulla pelle, non ne ha nemmeno uno, neanche un drago sul petto o sulla schiena per omaggiare il nome d’arte.

AlI’Ippodromo quella sera, e su tutti gli altri palchi che calca, si esibisce semi nudo come a dire “Questo sono io”. Natural, Dan Reynolds è un tipo natural, come il titolo di un successo della band del 2019. Non ha paura di mostrarsi senza filtri o di esprimere la sua visione delle cose ed è con quella estrema naturalezza, insita nella sua personalità, che ondeggia una bandiera arcobaleno subito dopo aver sventolato il tricolore italiano. Se tra il pubblico c’era qualche leghista avrà probabilmente perso i sensi, e non certo per il caldo.

Anche questo fa parte del “Mercury World Tour”, una gigantesca tournée mondiale che gli Imagine Dragons portano in giro per celebrare il doppio album “Mercury”, uscito tra il 2021 e il 2022. La prima parte introspettiva, la seconda estroversa. Ci sono testi che parlano di salute mentale, convincendoti che è ok non essere ok e testi che ti suggeriscono di stare in guardia perché il rischio di nuotare tra gli squali è sempre dietro l’angolo. C’è la struggente “Wrecked” che il frontman dedica alla cognata morta di cancro e c’è la hit elettronica “Enemy”. C’è tutto quello che ci deve essere, si piange e poi si balla. «Ho visto i miei amici morire di tossicodipendenza, lo scopo dell’arte è quello di condividere i nostri momenti più bui così come quelli chiari. Questo disco affronta un sacco di ricerca e solitudine, ma ho voluto concluderlo concentrandomi su tutte le cose che mi rendono felice». Ed è con quella felicità, contagiato da una poderosa energia, che ricordo quel concerto. 

Il loro ritorno in Italia era attesissimo, l’ultima volta che si erano esibiti a Milano era il settembre del 2018. In quell’occasione, nessun sole ostinato. Solo una crudele e incessante pioggia battente a coronare l’annata più trionfale di sempre per la band di Las Vegas, ai vertici delle classifiche di tutto il mondo con il disco “Evolve”. Pensate che tutti i singoli usciti da quell’album hanno ottenuto almeno due dischi di platino in Italia e nel mondo addirittura dischi di diamante. Stiamo parlando di successi inarrestabili come “Thunder” e la preferita di Mario Draghi, “Whatever it takes”. Ma soprattuto del singolo apripista che conta quasi tre miliardi di visualizzazioni su Youtube, “Believer”. «Quest’ultimo anno della mia vita è stato il più centrato e positivo di sempre. Questa canzone spiega come il dolore e le difficoltà che ho affrontato mi hanno portato a diventare una persona più sicura di se stessa», lo ha raccontato in un’intervista. Forse sono state proprio le avversità a farlo imbattere con i musicisti della band che avrebbe creato, a renderlo l’artista che è oggi. Lui che fin da quando era molto giovane, si sentiva rotto dentro, “I was broken from a young age”. 

L’infanzia di Dan non è stata una passeggiata, per utilizzare un eufemismo. Settimo di nove figli, nasce in Nevada nel 1987 in una famiglia di mormoni e cresce in una dicotomia impossibile da dipanare: in casa il rigore e la fede in Dio come unico obiettivo da raggiungere nella vita e fuori la società sempre più moderna e fluida. Essere adolescente nel ventunesimo secolo, con tutte le tentazioni che ne derivano, collide inevitabilmente con lo stile di vita promosso dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Sulla spalla sinistra l’angelo della religione, su quella destra il diavolo della perdizione. E anche se per due anni serve come missionario mormone in Nebraska, non riesce realmente a seguire la strada che avevano disegnato per lui.

È troppo suadente il richiamo della giungla urbana e Las Vegas, la città in cui ha emesso il primo vagito, lo chiama inesorabilmente a sé. Tutte le bugie dette, tutte le bravate e le notti insonni vissute dai genitori che lo aspettavano allarmati, lo segnano profondamente. Ma il valore fondamentale dei mormoni è la famiglia. E la famiglia non te la scegli, ti capita e la devi amare pure se non ne condividi i pensieri. «La prima volta che gli ho detto che avrei voluto fare il musicista non hanno avuto una reazione positiva, anzi penso fosse l’ultima cosa che volessero sentire. Ma del resto per gran parte della mia vita sono sempre stato visto come la pecora nera della famiglia, sempre invischiato in qualche guaio». Da quei guai ha sempre imparato qualcosa di utile e ha capito persino come superare le differenze con la mamma Christine e il papà Ronald. Di questo parla “I bet my life”, pezzo del 2015.

Prima di arrivare a questa saggezza, combatte però un lungo conflitto con le rigide politiche del mormonismo contro cui sbatte più volte. Come quando la Brigham Young University dello Utah, un’università gestita da mormoni, lo caccia dopo averlo colto in flagrante. Nessun reato commesso, non vi preoccupate, Dan Reynolds è incensurato. Ma aveva questa macchia intollerabile per il Magnifico Rettore e per la sua Chiesa severa, faceva sesso con la sua ragazza. Eppure, è grazie a quel collage che gli si accenda una lampadina. E se trasformassi la passione per la musica in un lavoro? È il 2008 quando incontra Andrew Tolman, batterista ed ex studente alla Brigham Young. Iniziano a suonare insieme e poi accolgono un chitarrista, un bassista e una tastierista. I giochi sono fatti, i Ragged Insomnia sono realtà. Giusto il tempo di esibirsi in qualche contest locale e intuiscono che per avere successo devono cambiare nome.

E giocando un po’ con le lettere, come ha fatto anche Halsey, che fatalità aprirà i loro concerti nel 2016, ecco l’anagramma giusto. Imagine Dragons. Passa un anno e ci sono già i primi abbandoni. Della formazione originale non rimane praticamente nessuno, solo il cantante e il batterista che verrà successivamente rimpiazzato da alcuni turnisti. Ma tra i nuovi acquisti ci sono Wayne Sermon e Ben McKee, il chitarrista e il bassista che tutt’ora fanno parte della band. In questi anni performano su palchi più prestigiosi della sagra della porchetta, ma comunque minori. Incidono quattro EP che però non vendono molto. 

La ruota della fortuna fatica a girare fino al 2011 quando firmano un contratto discografico con la Interscope Records e in pochi mesi registrano negli studios più importanti di tutta Los Angeles. Lanciati dal producer Alex da Kid, potevano schiantarsi al suolo. Ma si sa, i grandi produttori non sbagliano mai. E così, un brano uscito l’anno prima, invade prima le radio americane e poi quelle di tutto il mondo. È il loro tempo e la canzone si chiama proprio “It’s time”. Una ballad rockettara dedicata a Tyler, un loro fan di 17 anni morto per un tumore. Con questo successo giungono sul tetto del mondo, on top of the world, come recita un loro tormentone.

Gli Imagine Dragons erano pronti. Stavano solo aspettando il loro kairos, il momento perpetuo per agire. Nel primo album, “Night Visions” del 2012, ci sono tutti pezzi già usciti nell’ultimo EP, ma ora se ne innamorano milioni e milioni di persone che riconoscono in loro uno stile, una personalità. Sono quelli della travolgente mina “Radioactive”, il singolo rock che ha venduto più copie digitali negli Stati Uniti in assoluto. Il primo che supera la soglia dei sette milioni e vince un disco di diamante, e pure un Grammy. Nello stesso disco c’è la hit che li fa arrivare alle orecchie di tutti anche in Italia, quel brano che mi riporta al lontano 2013: “Demons”.

Avevo undici anni e la cantavo a pieni polmoni con il karaoke della Wii, ancora non perfettamente consapevole del suo significato profondo. La società è avida, corrotta. Nessuno è realmente libero e le persone sono costrette a nascondere i propri demoni. Ma non è una canzone annichilente, è un pezzo forte che ti spinge a trovare il coraggio di portare a galla i mostri che si nascondono nei tuoi occhi, di nuotarci insieme e poi andare avanti. È questo che avrebbe voluto Tyler ed è anche per lui che dobbiamo resistere. 

Demons” è diventata in breve tempo un simbolo della lotta a sostegno dei bambini affetti da tumore. Lo stesso anno, nasce “The Tyler Robinson Foundation” con cui il gruppo raccoglie tutti gli anni milioni di dollari da destinare ai reparti di oncologia pediatrica. Non c’è una causa sociale che gli Imagine Dragons non abbiano sposato. Dall’associazione “Do The Write Thing” contro la violenza giovanile al sostegno ai popoli coinvolti nelle guerre, è nella loro natura schierarsi dalla parte degli ultimi. Da ragazzo, Reynolds ha avuto modo di conoscere diversi giovani mormoni omosessuali. Alcuni di loro erano degli amici e si sono tolti la vita perché non venivano accettati. È per il loro dolore che fonda nel 2017 la “Loveloud Foundation” a sostengo proprio dei diritti arcobaleno. «Nelle case di fede, devi scegliere tra ciò in cui credi e chi ami. Nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere. Prometto di essere il miglior missionario possibile, un missionario mormone per la comunità LGBTQ e spero di usare questo privilegio che mi è stato dato per dare loro una voce». 

Ma se c’è una battaglia che emerge infrangibile, con rabbia e dolcezza al tempo stesso, in tutte le canzoni della band è quella di Dan per la sanità mentale. Non va sempre bene, a volte prevale il disprezzo verso sé stessi, una loro canzone di qualche anno fa si chiama proprio “I Don’t Like Myself”. Altre volte, da quell’oscurità che cela al suo interno non si lascia sormontare e la affitta come location per un ballo in cui invitare la sua bella, lo canta in “Dancing in the Dark”. È questo che insegna Reynolds ai suoi quattro figli avuti con l’ex moglie, la cantante Aja Volkman. A non reprimere le debolezze, a non mascherarle con i sorrisi di circostanza. Bensì a inglobarle, a renderle esse stesse le fondamenta dei successi che verranno. Senza inculcare nelle loro giovani menti un modo di pensare univoco. «Il mio più grande obiettivo ogni giorno è non manipolare i miei figli. Cerco di proteggerli e mi prendo cura di loro, assicurandomi che abbiano la libertà di scegliere ciò che vogliono».

Lo dimostra la statica metamorfosi di questa band che evolve, ma senza stravolgersi i connotati come fanno certe dive con scarsa personalità. Nei dischi degli Imagine Dragons trovi la loro essenza, anche nell’ultimo “Loom” del 2024, che presenteranno la prossima estate in un tour che li riporterà nuovamente in Italia. Tre anni dopo quell’abbagliante serata, sette anni dopo quel piovoso concerto che li ha segnati. E ancora una volta ci traghetteranno in viaggio all’insegna della più spavalda delle energie, della più romantica delle malinconie. Perché anche se le stagioni cambiano e la vita ci farà crescere. Anche se i sogni ci potranno ridurre in lacrime e tutto ci sembrerà instabile, l’amore non morirà mai. Gli uccelli, come i sentimenti, voleranno in tante direzioni differenti e noi non li potremo certo fermare. E allora che volino liberi, sempre più in alto. So fly high, so fly high.

Dal rock al pop e viceversa, la loro è la statica metamorfosi di una band che evolve, ma senza stravolgersi i connotati come fanno certe dive con scarsa personalità. Nei dischi degli Imagine Dragons trovi la loro essenza, anche nell’ultimo “Loom” del 2024, che presenteranno la prossima estate in un tour che li riporterà nuovamente in Italia.

Scritto da Francesco Costa
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